CORNER, Andrea
Primo dei quattro figli di Giovanni (1575-1636) di Andrea (1548-1610) e di Dieda di Pietro Grimani, nacque a Venezia il 3 ag. 1610. Non è da confondere con l'omonimo figlio di Girolamo, morto in combattimento a Retimo nel 1646. Il padre proveniva da una famiglia patrizia che disponeva di poche ricchezze e non aveva ricoperto cariche di rilievo al servizio della Repubblica. Grazie all'estrazione della balla d'oro nel giorno di S. Barbara, il C., a soli vent'anni, entrò nel 1630 a far parte del Maggior Consiglio.
Nonostante l'esiguo sostegno economico della famiglia (i fratelli Girolamo e Giovanni erano sposati) il cursus honorum del C. fu intensissimo e lo vide ricoprire cariche tra le più ambite e prestigiose all'interno del patriziato dirigente veneziano. Intorno al 1675 un anonimo cronista nel suo Esame istorico politico di cento soggetti della Repubblica veneta, tracciando un breve profilo del C., osservava che "in tutta la guerra del Turco non vi sarà stato altro personaggio più adoperato di questo a cariche di principio".
Iniziò l'attività politica nel marzo 1631 con l'elezione a sopracomito. Dopo un lungo periodo di silenzio, a noi inspiegabile, nell'agosto 1646 venne eletto capitano di galeazza e, nell'autunno dell'anno seguente, si segnalava per il soccorso portato a Tommaso Morosini, che in vista del Negroponte era stato assalito da 45 galee turche. Nel febbraio 1648 è tra i sei nobili inviati in Dalmazia per decisione del Senato, che, il 19 genn. 1649, lo incaricava, in qualità di capitano, di scortare alcune navi dirette a Candia. Nell'ottobre 1649 è provveditore sopra le Galee dei condannati; dal 12 marzo 1649 all'11 marzo 1651 provveditore nell'isola di Zante e poi, sino al settembre, provveditore all'Armar. Al ritorno in patria entrò nel Consiglio dei pregadi e il 10 genn. 1653 venne eletto provveditore generale e inquisitore delle tre isole del Levante.
Nelle tre isole di Cefalonia, Zante e Corfù egli incontrò una situazione molto tesa a causa delle lotte cruente tra le fazioni nobiliari e tra queste e i contadini del luogo. A Corfù i villici erano insorti violentemente contro i nobili locali., che li opprimevano con "violenze... strapazzi... lievi di robba". Il C. giunse con rapidità nell'isola, provvisto di "forze gagliarde di militia", e costrinse i ribelli alla resa. Egli si comportò però con prudenza e moderazione, ottenendo la presentazione di quasi tutte le persone coinvolte nella rivolta, che inviò al servizio coatto nelle galee venete. Invitò, inoltre, con un proclama, tutti i contadini "aggravati da cittadini" a presentare le loro rimostranze, promettendo loro una pronta giustizia senza il sostenimento di alcuna spesa. Il C. rimase alcuni mesi nell'isola, applicandosi incessantemente all'esplicazione dell'attività giudiziaria, ma dovette ben presto rendersi conto che era impossibile espletare le pendenze penali senza prima definire le cause civili. Nel giugno 1653 il Senato gli comunicò che la situazione a Cefalonia era divenuta esplosiva a causa dei disordini generati dalle diverse ed inquiete fazioni nobiliari. La sua partenza venne però ritardata dalle scorrerie delle navi barbaresche che pattugliavano le acque al largo dell'isola e da una paventata sollevazione delle milizie che attendevano da tempo di essere pagate. Nel frattempo si occupò della vicina Zante, dove pure gli insopprimibili rancori che intercorrevano tra le principali famiglie dell'isola minacciavano l'accensione di un nuovo cruento conflitto. Finalmente, nell'ottobre dello stesso anno, in seguito alle notizie sempre più allarmanti che provenivano da Cefalonia, decise d'imbarcarsi per l'isola anche senza la scorta necessaria. Al suo arrivo, le rivalità, accese tra le famiglie Anino, Caruso e Pottamiano dall'una e la famiglia Antippa dall'altra, erano già degenerate in aperto conflitto, sconvolgendo l'esistenza del villaggio di Antippata, uno dei più floridi di Cefalonia, devastato dagli incendi, dalle uccisioni, dai furti e dalla distruzione dei raccolti. Il C. ristabilì prontamente l'ordine, citando centodiciannove persone coinvolte nei fatti e inviando i colpevoli al servizio coatto alla galea. Nel corso del suo provveditorato egli si occupò, inoltre, del fontico, del Monte di pietà e della Camera delle tre isole, che a causa di un'amministrazione illecita erano stati intaccati in gran parte dei loro fondi.
Il 15 genn. 1654 venne eletto provveditore generale delle Armi nel regno di Candia.
Il C. giunse nell'isola, da un decennio esposta agli attacchi turchi, il 7 maggio 1654, in un momento in cui le operazioni militari ristagnavano. Nella commissione, rilasciatagli il 14 marzo precedente, aveva ricevuto l'incarico di provvedere alla conservazione del regno e di recuperare i territori perduti; egli doveva, inoltre, "amicarsi" i sudditi dell'isola e in particolare "d'haver principalmente alla divotione" le facoltose famiglie Papadopoli, Condi e Pateri, che avrebbe dovuto cercare d'impiegare al servizio della Repubblica. Il C. portò con sé 62.000 ducati per provvedere ai bisogni più urgenti dell'isola che "languisse più mesi". Tale somma si rivelò presto insufficiente ed egli informò il Senato che per soddisfare a tutte le occorrenze erano necessari, ogni mese, 49.350 ducati. I magazzini erano scarsi di viveri e di munizioni; e, soprattutto, di legname, necessario per la costruzione di "tavolazzi", senza cui dormiva "per lo più la militia sul nudo terreno"; molti soldati erano inoltre "senza vestiti e poco meno che ignudi". Se non si fosse rimediato a tutto ciò, il destino dell'isola si sarebbe trovato ben presto "sull'orlo del precipitio". Egli chiese perciò quasi quotidianamente l'invio di denaro "l'unico instromento che move et opera tutte le cose".
Al ritorno in patria si riprometteva un lungo periodo di riposo per curare la salute malferma e per reintegrare il proprio patrimonio, intaccato dalle forti spese in cui era incorso sostenendo i precedenti incarichi, ma nel 1656 fu tra i 41 elettori del doge Bertucci Valier; il 10 febbr. 1657 consigliere per il sestier di S. Croce e il 9 novembre seguente capitano straordinario delle galeazze. Partito da Venezia nell'aprile 1658, al comando di sei galeazze, per mettersi a disposizione del capitano generale da Mar, nel settembre dello stesso anno, a causa della grave indisposizione che l'aveva colpito, ottenne il permesso di rientrare in patria. L'11 dic. 1658 venne eletto provveditore generale in Dalmazia.
L'incarico era di notevole importanza, poiché questa regione, come osservava nella propria relazione presentata il 28 luglio 1662, era "la diffesa esteriore dello Stato di terraferma e di tutta la Serenissima". A presidiarla però egli non aveva a disposizione che 4.475 soldati, insufficienti a "diffender una piazza sola". Poiché movimenti di truppe nemiche ai confini accreditavano un possibile attacco del Turco, egli visitò le fortezze per accertare la consistenza dei depositi di munizioni e l'efficienza delle milizie al servizio della Repubblica. Ebbe così modo di accertare, ancora una volta, le misere condizioni di vita dei soldati, molti dei quali, per sottrarsi agli "stimoli della fame", si gettavano nelle mani del nemico il quale, perduta la consueta "ferita", li accoglieva "con dolcezza... e... con doni".
Rientrato a Venezia, nel settembre del 1662 fu consigliere dei Dieci; nell'ottobre del 1662 e 1663 entrò nel Consiglio dei pregadi; il 4 ott. 1663 venne eletto capitano generale da Mar.
Nella commissione, rilasciatagli l'8 marzo 1664, il Senato, conferendogli poteri straordinari di vita e di morte su chiunque, gli ordinava di occuparsi della difesa del regno di Candia e di riconquistare il terreno perduto. L'elezione del C. giungeva in un momento in cui le operazioni militari ristagnavano; ma la pressione turca sull'isola si manteneva costante. Inizialmente gli sforzi del C. si rivolsero ad impedire i soccorsi turchi alla Canea e, l'anno seguente, con un'azione fulminea, predò quattordici saiche della carovana d'Alessandria, che s'erano rifugiate nel porto di Chitres. Nel 1665 condusse un'attiva campagna di vigilanza e di preda nel Mediterraneo, ma i suoi sforzi di giungere ad uno scontro diretto con la flotta nemica furono frustrati dalle intenzioni del Turco, che non intendeva esaurire le proprie forze sui mari: Nel 1666 il duca Carlo Emanuele Il inviava in soccorso dei Veneziani alcuni reggimenti al comando del marchese Gianfrancesco Villa e il Senato decideva di dare il via ad una fase più attiva delle operazioni belliche, ordinando al C. di condursi con tutta la flotta all'isola di Candia. Gli sforzi degli alleati si rivelarono però infruttuosi e la tattica dilatoria dei Turchi impedì che gli sporadici successi campali potessero tramutarsi in una vittoria decisiva. Il C., che nel frattempo aveva chiesto più volte di essere richiamato in patria, decise di rifugiarsi con tutta la flotta nell'isola di Andro, dove tenne una consulta con gli altri comandanti per decidere sul da farsi; ma questa mossa non fu gradita dal Senato, che decise di sostituirlo con Francesco Morosini. Nella sua relazione, letta al ritorno, egli pose in evidenza l'inferiorità delle galee veneziane che, seppur "prevagliono in potere, altretanto cedino in leggierezza di moto alli turcheschi", i quali, grazie a questa caratteristica, sfuggivano ai combattimenti e all'inseguimento delle galee sottili veneziane che, per loro sicurezza, non potevano separarsi dalle pesanti galeazze. Le ciurme erano formate da prigionieri turchi e vogatori forzati che servivano per un periodo ben superiore alla loro condanna ed erano perciò propensi ad "abbracciar con ardore qualunque appertura che le permettesse essimersi dalla soggetione".
Il 13 sett. 1667 fu provveditore all'Armar; nell'ottobre del 1667 e 1668 entrò nel Consiglio dei pregadi; il 14 giugno 1669 fu savio alla Mercanzia; il 14 luglio 1669 venne eletto podestà a Brescia.
Fece il suo ingresso nel gennaio del 1670 ed ebbe come colleghi dapprima Benedetto Dolfin e poi, dal 22 giugno 1670, Francesco Contarini. Tra i vari problemi, connessi con l'amministrazione "di una podesteria così vasta e rilevante come quella di Brescia, egli dovette occuparsi dei possedimenti temporali goduti dagli ecclesiastici, "nei quali si tentano sempre subterfuggi", provvedendo al loro riordinamento. Poiché l'armata navale veneziana aveva un'assoluta necessità di nuovi rematori, provvide, in qualità di giudice ordinario della città, a condannare alla pena della galea anche per un periodo inferiore ai diciotto mesi, stabiliti dalle leggi, "con l'intiera e mezza paga, secondo la qualità delle colpe". Notevoli difficoltà incontrò nel rifornire la città del fabbisogno di grano, poiché quello proveniente dal territorio era appena sufficiente per metà dell'anno, essendo i terreni destinati in gran parte "alla semina dei lini et alla raccolta copiosa de' fieni"; e il suo prezzo, nei mercati di Lonado e Desenzano, s'era in pochi giorni raddoppiato. Assieme al collega Contarini vigilò perché non fossero introdotte nel Bresciano merci provenienti da Stati esteri, che non fossero state "estratte da cotesta Serenissima Dominante". A tal fine represse severamente il contrabbando che prosperava con gli Stati confinanti, ma l'attività giudiziaria veniva rallentata dai sotterfugi dei condannati che ottenevano dai magistrati dell'Avogaria numerose proroghe, anche su "atti essecutivi e summarii".
Al ritorno, nell'agosto 1671, fu consigliere dei Dieci e nell'ottobre del 1672 entrò nel Consiglio dei pregadi. In questo periodo pose la sua candidatura a procuratore di S. Marco, carica tra le più cospicue della Repubblica, ma ottenne uno sgradevole e inaspettato rifiuto, al quale contrappose un contegno equilibrato e prudente. Il C. era, d'altronde, un uomo d'indole modesta e riflessiva, non incline ai facili compromessi e alieno dall'invischiarsi nelle complicate trame politiche delle diverse fazioni del patriziato veneziano. Dal 21 dic. 1672 al 20 dic. 1673 fu provveditore all'Artiglieria; nell'agosto 1673 consigliere dei Dieci; nell'ottobre 1674 e 1676 consigliere dei Pregadi; il 29 sett. 1674 provveditore all'Armar; nell'ottobre 1675 consigliere dei Dieci e inquisitore di Stato; il 14 nov. 1676 savio alla Mercanzia. Il 22 maggio 1677 venne provvisoriamente eletto alla carica di provveditore generale da Mar, in luogo di Antonio Barbaro, allora ambasciatore a Roma, e la proseguì poi per la morte di questo.
La guerra contro il Turco era stata da poco ripresa, e il C., cui il Senato, con la commissione del 29 maggio 1677, aveva conferito poteri vastissimi, si diresse a Corfù e il 5 luglio 1677 affrontò la flotta turca, costringendola a ritirarsi sulla costa di Butrinto. Nel corso del suo incarico, che durò trenta mesi, egli ebbe modo di constatare la grave inefficienza della flotta veneziana, "corpo... mal organizzato e... fuor di simetria": il numero delle galee era eccedente, quello delle navi insufficiente e le galeazze "poco meno che inoffitiose", mentre i corsari erano provvisti di vascelli veloci e ben muniti d'artiglieria. Egli consigliava, nella relazione presentata al suo ritorno, di diminuire il numero delle galee ed aumentare quello delle navi, il che avrebbe permesso una più sicura ed adeguata protezione del traffico mercantile, già da tempo illanguidito a causa dei frequenti attacchi dei corsari.
Il 28 apr. 1678 venne eletto procuratore di S. Marco; il 21 febbr. 1680 provveditore all'Armar; il 9 maggio 1680 provveditore sopra i Monasteri; il 21 genn. 1682 provveditore sopra le Pompe. Il 5 maggio 1682 fu eletto deputato sopra le Fortificazioni in Terraferma e il Senato l'incaricò, assieme ad Andrea Valier e Francesco Morosini, di visitare le fortezze di Peschiera, Legnago, Orzinuovi e Crema, dove erano iniziati i lavori di rinnovamento progettati da Bartolomeo Grimaldi. Il parere del C. e dei colleghi fu positivo, ma i lavori vennero presto abbandonati per la ripresa della guerra con il Turco. Il 20 maggio 1682 era savio alla Mercanzia; il 26 apr. 1684 savio alle Acque e il 15 luglio 1684 sovraprovveditore alle Pompe.
Morì a Venezia il 22 marzo 1686, colpito da "febre e cattaro".
Il suo corpo venne fatto inumare dal fratello Giovanni e dal nipote Girolamo nella chiesa di S. Croce alla Giudecca. Il 6 febbr. 1668 il C. s'era sposato con Marina Barbaro, vedova di Girolamo Corner che gli aveva portato una dote di 6.000 ducati. Le facoltà del C., nella decima del 1661, appaiono irrilevanti: egli dichiarava, con i fratelli Giovanni e Girolamo, una rendita annua di 749 ducati; mentre quest'ultimo godeva, da solo, un'entrata di ducati 605. Il patrimonio della famiglia consisteva in alcune case in Venezia, concesse per lo giù ad affitto, quattro "campi" e mezzo nel Mestrino, diciassette nel Veronese e cinquantuno nel Trevisano.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 57 (Libro d'oro nascite, VII), c. 94v; 92 (Libro d'oro matrimoni, V), c. 51v; 120 (Contratti di nozze, X), fasc. 2688; Ibid., Segretario alle voci, Grazie della Barbarella, reg. 4, c. 53r; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 16, c. 183v; reg. 19, c. 152v; reg. 20, cc. IV, 2v; reg. 21, c. 171v; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni del Pregadi, reg. 15, cc. 148v, 153r, 170v, 183r; reg. 16, cc. 29v, 63v; reg. 17, cc. 42r, 92r; reg. 18, cc. 26r, 77v, 91r; reg. 19, cc. 26v, 33v, 34v, 35r, 70v, 77r, 103r, 110r, 111r, 129v; reg. 20, cc. 47v, 54v, 91v; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni di senatori, di membri della Quarantia e di consiglieri dei Dieci, reg. I, cc. 97v, 104v, 109v, 110v, 114v, 115v, 119v, 121v, 123v; Ibid., Cons. dei dieci, Misc. Codici, reg. 63, cc. 7r, 10v, 12v, 38v; reg. 64, s. c.; Ibid., Senato, Commiss., filza 6, cc. 8588; filza 8, cc. 235-239; filza 10, cc. 75-77; Ibid., Senato, Provveditori da Terra e da Mar, filze 487, 488, 805, 898, 942, 1108, 1111, 1163, 1381; Ibid., Senato, Relazioni, buste 75, 80; Ibid., Misc. Codici di storia veneta, reg. 131; Ibid., Senato, Deliberazioni rettori, filza 55; Ibid., Senato, Lettere Bressa e Bressan, filze 76, 77, 78; Ibid., Cons. dei dieci, Lett. rettori, busta 34; Ibid., Savi alle decime, Condiz. di decima, busta 215, fasc. 1201 e 1269; Ibid., Avogaria di Comun, Necrologi, reg. 159; Ibid., Giudici di Petizion, Inventari, busta 387, fasc. 57; Ibid., M. A. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti,III, cc. 10, 66; Ibid., G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 924; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 600 (= 7949): Libro dei procuratori di S. Marco, c. 188; Ibid., Mss. It., cl. VII, 1888 (= 8427): Libro de' nobili;Ibid. Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Gradenigo 15: Esame istor. politico di cento soggetti d. Republica veneta, cc. 120, s.; G. Erizzo, Il glorioso eroe... A. C. fu de sier Zuanne prov. gener. estr. dell'armi nel regno di Candia, Venezia 1655; B. Nani, Istoria della Repubblica veneta, in Degli istorici delle cose venez., IX, Venezia 1720, pp. 124 s., 335, 488, 496, 511; G. Brusoni, Historia dell'ultima guerra tra' Veneziani e Turchi..., I, Bologna 1674, pp. 155 s.; A. Valier, Historia della guerra di Candia, Venetia 1679, pp. 615, 642; M. Foscarini, L'istoria della Repubblica veneta, in Degl'istorici delle cose venez., Venezia 1700, X, p. 86; G. Soranzo, Bibliografia venez., Venezia 1885, p. 363; C. F. Bianchi, Mem. sull'antichiss. e nobiliss. famiglia patrizia veneta de Cornaro, Zara 1886, p. 14; R. Quazza, Preponderanze straniere, Milano 1938, pp. 229-235 passim;A. Valori, Condottieri e generali del Seicento, Roma 1943, p. 97; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia venez. del Seicento, in La civiltà veneziana nell'età barocca, Firenze 1959, p. 304.