BUONDELMONTI, Andrea
Nacque a Firenze, da Giambattista e da Elisabetta di Andrea Ricasoli, nel 1465. Fu destinato alla carriera ecclesiastica e ottenne ancora assai giovane la pievania di S. Pietro in Bossolo. Uno zio, Manente Buondelmonti, rinunziò in suo favore nel 1493 a un canonicato nel duomo di Firenze. Cinque anni più tardi, nel 1498, il B. ottenne anche la pievania di S. Maria dell'Impruneta. Dopo il 1503 si trasferì a Roma, dove ottenne da Giulio II la carica di segretario ai brevi pontifici. Appartenendo ad una famiglia tradizionalmente fedele al partito mediceo, il B. doveva naturalmente migliorare le sue fortune durante il pontificato di Leone X: il papa fiorentino, infatti, lo volle tra i propri familiari, con le cariche di cameriere segreto e di scudiero pontificio.
La fortuna finanziaria del B. doveva essere notevole: questo lascia infatti supporre la sua partecipazione, durante il medesimo pontificato di Leone X, alla società finanziaria presieduta dai cardinali Antonio Pucci e Francesco Armellini, denominata "Uffici dei Cavalieri di San Pietro"; ad essa, che aveva la struttura di una società per azioni e il fine dello sfruttamento delle miniere di allume di Tolfa, partecipavano i maggiori esponenti del mondo finanziario internazionale, tra i quali Agostino Chigi, il fiammingo Gerardus de Dorren e i tedeschi Conrad, David e Hieronimus Rehlinger, Raimund e Hieronimus Fugger. Non si sa di più sulla attività finanziaria del B., ma essa doveva essere cospicua e i giudizi contemporanei su di lui confermano che egli vi si dedicò assai più volentieri che ai suoi compiti ecclesiastici.
La protezione che gli aveva accordatoLeone X gli fu rinnovata dal secondo pontefice mediceo, Clemente VII, a maggior ragione in quanto il B. si schierò decisamente nel suo partito quando a Firenze riprese vigore e fortuna la fazione repubblicana. Il papa lo premiò con la concessione della carica di presidente delle Ripe, un ufficio dal quale dipendevano tutti i traffici romani di importazione e di esportazione. Nel 1530 il B. rinunziò in favore di Filippo Buondelmonti alla pievania di S. Maria dell'Impruneta, in cambio di una pensione sui benefici della stessa e su quelle di S. Pietro a Montebuoni e di S. Colombano.
L'episodio saliente della carriera ecclesiastica del B. fu la sua elezione all'arcivescovato di Firenze, il 4 ott. 1532. La carica gli fu ceduta dal precedente titolare, il cardinale Nicola Ridolfi, il quale ottenne in cambio dal B., oltre alla riserva di una metà dei benefici della mensa arcivescovile, anche una grossa somma in contanti.
Il vistoso episodio di simonia fu assai sfavorevolmente commentato dai contemporanei, come testimonia il Varchi a proposito del solenne ingresso del nuovo arcivescovo nella diocesi il 24 nov. 1532: "E perché si sapeva chiaramente da ognuno che egli con grand'infamia dell'uno e dell'altro aveva comperato cotale dignità dal cardinale de' Ridolfi, si ragionò per tutta la città d'amenduni sinistramente" (p. 342).
II successivo contegno del B. nel suo nuovo ufficio non fu certamente tale da smentire le "sinistre" considerazioni dei concittadini: sua costante preoccupazione fu infatti quella di risarcirsi delle spese sostenute per l'acquisto dell'arcivescovato, con i sistemi che gli stessi suoi protettori, i pontefici medicei, avevano ormai generalizzato in tutta la cristianità: in particolare, si ricorda una sua taglia di un grossone d'argento imposta a chiunque volesse ottenere l'assoluzione per non avere ritualmente santificato la domenica. Tali sistemi indussero Paolo III, dopo la morte del B., avvenuta in Firenze il 27 novembre del 1542, a invalidare il testamento da lui redatto il 26 luglio di quello stesso anno: in esso il B. lasciava tutti i suoi averi all'ospedale fiorentino degli Innocenti, ma il pontefice avocò alla S. Sede tale patrimonio, inviando all'uopo a Firenze un commissario pontificio. Alla morte del B. il cardinale Ridolfi tornò in possesso dell'arcivescovato fiorentino.
Ancora il Varchi ha lasciato del B. un giudizio pesante, ma senza dubbio non eccessivo: "Era quest'uomo veramente meccanico, d'animo tanto più tosto gretto e meschino che avaro, e di tale sordidezza e gagliofferia che miseria, che tutto il fatto suo non era altro che una non mai udita pidocchieria. Le miserie e meschinità che di lui si raccontano sono tante e così fatte, che farebbono storia da commuovere parte a riso, e parte a indegnazione chiunque l'udisse" (p. 343).
Fonti e Bibl.: B. Varchi, Storia fiorentina, in Opere, a cura di A. Racheli, I, Trieste 1858, pp. 342 s.; G.Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Monasterii 1923, p. 197; P. Litta, Le famiglie celebri italiane,s.v. Buondelmonti, tav. IX.