BIANCHI, Andrea
Nato a Genova nel 1587, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1602. Molto dotto, insegnò per vari anni umanità, retorica e filosofia nei collegi tenuti dai gesuiti a Milano. Qui, nel collegio braidense, diede anche eccellenti prove delle sue doti di predicatore (De singulari sapientia S. Caroli Borromaei, Mediolani 1610) e di poeta (Epigrammata, Mediolani 1635). Trasferito a Genova, sotto lo pseudonimo di Candidus Philaletes, pubblicò l'opera De opinionum praxi, (Genuae 1642), intervenendo fra i primi nella disputa sul probabilismo: il libro ebbe un rapido successo e conobbe tre successive edizioni (Madrid 1645, Cremona 1646, Genova 1651).
Il B. vi sostiene che nell'agire non è sufficiente, per evitare il peccato, seguire l'opinione semplicemente probabile, ma occorre possedere la certezza morale della bontà della propria azione; perciò egli, appoggiandosi all'autorità di Aristotele, S. Tommaso e S. Agostino, entra in polemica con il parere "multorum theologorum huius fere saeculi", come Suarez e Vasquez, secondo i quali sarebbe lecito nella morale seguire anche l'opinione meno probabile, tralasciata la più probabile. Molto severo è il suo giudizio nei confronti di costoro, la cui dottrina provocherebbe una profonda e rovinosa corruzione dei costumi. Allontanandosi, però, da un eccessivo rigorismo morale, il B. combatte anche il "tuziorismo", sostenendo che fra due opinioni, una più probabile (tale cioè che abbia più capacità di inclinare l'intelletto a prestarvi l'assenso) e una più sicura o "tuta" (più lontana, cioè, dal pericolo di peccare) ma meno probabile, siamo tenuti a scegliere la prima e non la seconda.Dopo aver scritto altre due opere di meditazione spirituale,Pistomachia seu pugna fidei (Genuae 1645) ed Animae suspiria (Genuae 1645), il B. affrontò un altro tema allora controverso fra i moralisti: quello della liceità del cambio con recorsa, che da alcuni veniva condannato nella convinzione che fosse equivalente al prestito con usura. Nell'opera De cambio,tractatus brevis atque dilucidus in quo eius essentia et iustitia declaratur et impugnantium argumentis respondetur (Genuae 1653), che pubblicò nascondendosi sotto lo pseudonimo suddetto, il B. cercò di difendere la legittimità dei cambi di Besançon in generale e del cambio con recorsa inparticolare, negando, dopo aver fatto un approfondito esame sulla natura di esso, che si trattasse di un prestito usurario, in quanto richiedeva sempre un cambio di denaro di diversa specie o un trasferimento comportante rischi e lavoro.
In sostanza, il problema era quello di decidere se tale tipo di cambio doveva ritenersi un cambio reale: il B. concludeva affermativamente, valendosi anche dell'autorità della costituzione papale del 1º febbr. 1571, emessa da Pio V, con cui si permettevano gli usi della piazza di Bologna. Il suo parere si accordava con quello già espresso dal teologo Diana e combatteva la tesi rigorista di Bernardo Giustiniano, autore del Trattato delle continuationi de' cambi (Genova 1619): più che a tacitare eventuali rimorsi di coscienza dei mercanti genovesi, che ormai avevano accolto l'uso della lettera di cambio senza alcuno scrupolo, il B., con un procedimento tipicamente gesuitico, cercava di accordare l'uso pratico, negandone la peccaminosità, con le leggi della Chiesa.
Nell'ambito del casismo gesuitico nacque un'altra opera del B.: Quistioni filosofiche facili ad intendersi,utili,vaghe a sapersi (Genova 1653). Degna di ricordo è anche un'opera teologica, pubblicata sotto il solito pseudonimo: De praescientia Dei ac praedestinatione (Genuae 1656).
Il B. morì a Genova il 29 marzo 1657.
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