ANALISI ECONOMICA: STATICA E DINAMICA
. Generalità. - Problema centrale nell'a. e. è quello delle relazioni esistenti tra a. statica e dinamica. Peraltro questi termini, come accade anche in altri casi e in altre discipline, in cui s'impiegano gli stessi termini per esprimere concetti differenti, sono stati in economia riferiti ad almeno due concetti diversi. In un primo senso si è fatto riferimento alle condizioni o caratteristiche fondamentali di un sistema economico, parlandosi di sistema statico (o stazionario) nel caso di un sistema in cui le grandezze economiche rilevanti sono costanti nel tempo, e di sistema dinamico nel caso in cui le grandezze rilevanti sono viceversa variabili nel tempo. Ancora, con riferimento a un sistema dinamico, si è distinto tra il caso di un sistema in cui tutte le grandezze crescono (o decrescono) allo stesso tasso e il caso in cui avvengono mutamenti relativi nei rapporti tra le grandezze rilevanti di un sistema economico. In un secondo senso, si è parlato di statica e dinamica come di due diversi metodi di a. in un modello economico, intendendosi per a. statica quella in cui si prescinde dall'elemento "tempo" e per a. dinamica quella in cui il tempo viene introdotto "in modo essenziale" (cioè come variabile in funzione della quale vengono considerate le altre variabili, nel senso che collega intrinsecamente tra loro grandezze valutate in tempi diversi).
Chiediamoci ora qual è il rapporto intercorrente tra i due diversi concetti corrispondenti ai due termini di statica e dinamica. La risposta è che, mentre l'a. dinamica può in genere essere impiegata per esaminare sia un sistema dinamico sia un sistema statico, l'a. statica può soltanto in certe circostanze servire per interpretare un sistema dinamico. In realtà, nel primo caso va tenuto conto del fatto che un sistema statico rappresenta il limite di funzionamento cui tende un sistema dinamico quando, col passare del tempo, le grandezze rilevanti vengano indefinitamente ad avvicinarsi appunto a certi valori-limite. Viceversa, nel secondo caso, un modello di a. statica, che è composto di equazioni algebriche, può considerarsi idoneo a interpretare un sistema dinamico soltanto quando le soluzioni di tali equazioni rappresentino anche le soluzioni di equazioni funzionali (differenziali o alle differenze finite) che descrivono appunto il sistema dinamico. Un esempio corretto di applicazione di questo secondo caso è quello del noto moltiplicatore keynesiano; in quanto il moltiplicatore statico rappresenta una soluzione anche all'equazione del moltiplicatore dinamico, equazione questa che ammette una soluzione con valore stazionario. Ciò, invece, non si verifica in molti altri casi, in cui pure tradizionalmente s'impiega in modo esclusivo l'a. statica. D'altronde, va sottolineato che la stessa legittimità dell'uso dell'a. statica può essere accertata soltanto in base a considerazioni di ordine dinamico, essendo possibile stabilire la liceità dell'impiego di equazioni algebriche (statiche) soltanto dopo avere appurato che le equazioni funzionali (dinamiche) hanno soluzioni che ammettono valori stazionari.
Equilibrio e squilibrio in statica e dinamica. - Occorre poi notare che non coincidono affatto in economia a. statica e concetto di equilibrio. In realtà, nell'a. statica prevale il concetto di equilibrio statico, ma si fa anche riferimento all'esame delle situazioni di squilibrio e della convergenza o meno all'equilibrio. Ugualmente, nell'a. dinamica, si può avere a che fare con l'esame di una situazione di equilibrio, come anche di una situazione di squilibrio. In generale, l'equilibrio, che rappresenta sempre una situazione d'incontro di tendenze differenti, può distinguersi in stabile e instabile: il primo si realizzerà quando, verificandosi un certo disturbo, si è in presenza di un sistema in cui esistono forze che lo riporteranno nella situazione di equilibrio; si tratterà, invece, di un equilibrio instabile quando, verificandosi un certo disturbo, si avrà uno spostamento sempre maggiore del sistema dalla situazione di equilibrio. D'altronde, di stabilità si può parlare in senso statico (stabilità statica) e in senso dinamico (stabilità dinamica).
La stabilità statica si occupa di stabilire se le forze che agiscono nel sistema tendono o meno a portarlo verso l'equilibrio; ma non ci dice nulla sull'effettivo movimento nel tempo del sistema, né se esso in effetti tende o meno a raggiungere l'equilibrio. Lo studio della stabilità statica, che è compito dell'a. della statica comparata, non è quindi sufficiente a fornire una risposta adeguata al problema della stabilità dell'equilibrio. Il vero concetto di stabilità è quello dinamico, nel senso che è lo studio della stabilità dinamica che, basandosi sull'a. di equazioni funzionali, è in grado di determinare l'effettivo andamento delle variabili rilevanti verso l'equilibrio. Per analizzare la stabilità dell'equilibrio, occorre fare delle ipotesi precise sulle "funzioni di comportamento" e pervenire alla definizione delle "condizioni di stabilità" del modello. Dato che è possibile fare in teoria differenti ipotesi di comportamento, si comprende la relatività delle condizioni di stabilità, nel senso che una stessa situazione di equilibrio può essere stabile o instabile a seconda delle ipotesi di comportamento adottate. In realtà, però, di solito - cioè nei casi normali - ipotesi di comportamento differenti danno gli stessi risultati. Va inoltre osservato che, mentre sono possibili numerose ipotesi, sono in numero limitato quelle che possono essere ritenute in teoria plausibili nello studio della stabilità dell'equilibrio; spesso poi si può accertare che è una sola l'ipotesi di comportamento più realistica, cioè meglio in grado di esprimere il comportamento delle variabili oggetto di studio.
Nell'a. dinamica, a parte l'impiego di questa nell'esaminare problemi di stabilità dell'equilibrio statico in senso dinamico, si fa anche riferimento alla distinzione fra equilibri stabili ed equilibri instabili. Il problema qui è di vedere se un certo "sentiero" di crescita del sistema economico nel tempo è stabile oppure no. Si noti anzitutto che va fatta una triplice distinzione: andamento dinamico d'equilibrio uniforme (quello nel quale tutte le variabili crescono a un tasso percentuale identico e costante); andamento dinamico di equilibrio (in cui le variabili rilevanti crescono a tassi non costanti, ma si realizza sempre l'equilibrio dinamico fra risparmi e investimenti); andamento dinamico di squilibrio (in cui si verifica una temporanea divergenza fra l'andamento dei risparmi e quello degl'investimenti). Ora, il problema della stabilità nell'a. dinamica si può dividere in due parti: la cosiddetta dinamica dell'equilibrio, che consiste nello studiare se gli andamenti dinamici in equilibrio non di crescita uniforme convergono o meno verso il movimento in equilibrio di crescita uniforme, e la cosiddetta dinamica di squilibrio, che consiste nel vedere se il sistema, trovandosi in una situazione di squilibrio dinamico, tende a convergere o meno verso un "sentiero" di equilibrio dinamico (di crescita uniforme oppure no).
L'analisi statica e la stabilità dell'equilibrio. - L'a. dinamica ha una tradizione rilevante nella teoria economica, essendo stata al centro delle elaborazioni degli economisti classici ed essendo oggi tornata a rappresentare il fulcro dell'economia politica. Nell'a. e. moderna si è poi affermata la distinzione tra dinamica di breve periodo, di cui lo schema del moltiplicatore periodale (col suo corrispondente statico, come si è accennato) rappresenta il cardine, e dinamica di medio e lungo periodo, che s'incentra sulle teorie del ciclo e dello sviluppo. L'a. statica, viceversa, è lo schema d'a. dominante della teoria marginalista e, più in generale, della teoria neoclassica. Va però sottolineato che della teoria neoclassica è parte importante anche lo studio dei problemi di stabilità dell'equilibrio in senso dinamico, cioè delle condizioni dinamiche di stabilità di una situazione di equilibrio statico.
Consideriamo il problema della determinazione del prezzo e della quantità d'equilibrio in base alle curve di domanda e offerta, problema questo che è centrale nella microeconomia neoclassica. Com'è noto, in un mercato perfettamente concorrenziale, il prezzo d'equilibrio e la correlativa quantità scambiata si trovano in corrispondenza del punto in cui le funzioni di domanda e di offerta si uguagliano. È questa una situazione di equilibrio statico, descritta formalmente da un sistema di equazioni nelle quali compaiono, oltre alle variabili i cui valori di equilibrio sono appunto determinati dalla soluzione del sistema, anche alcuni parametri considerati come esogenamente dati rispetto al sistema di equazioni. L'a. statica si occupa della determinazione delle soluzioni del sistema, cioè dei valori d'equilibrio di prezzo e quantità (per es., se ne può dare una dimostrazione grafica mediante la nota figura delle curve di domanda e offerta rappresentate su un diagramma cartesiano con il prezzo in ordinata e la quantità in ascissa). D'altra parte, la statica comparata si propone di esaminare come reagiscono i valori di equilibrio delle variabili a una variazione dei parametri del sistema, e cioè di determinare il nuovo equilibrio corrispondente alla nuova configurazione delle equazioni del modello. Nell'esempio considerato, compito della statica comparata è di rispondere a quesiti relativi alla posizione del prezzo e della quantità nella nuova situazione di equilibrio, per vedere come hanno reagito prezzo e quantità alla variazione di ognuno dei parametri, senza soffermarsi sull'esame dell'andamento effettivamente seguito dalle variabili tra un punto di equilibrio e l'altro. Spetta all'a. della stabilità dinamica dell'equilibrio lo studio del cammino seguito dalle variabili tra il vecchio e il nuovo punto d'equilibrio e la risposta al quesito se il nuovo equilibrio verrà effettivamente raggiunto o meno. In realtà, le difficoltà sorgono nella statica comparata perché non si dispone, nella teoria economica, di precise informazioni quantitative (cioè numeriche) sulle funzioni e sui parametri dei modelli, bensì soltanto di informazioni qualitative sulla natura delle funzioni in questione. Pertanto, per trovare i valori numerici delle variabili, conseguenti, per es., a diversi valori numerici dei parametri, si deve ricorrere all'impiego di metodi matematici basati (sostanzialmente) sulla teoria delle funzioni implicite e della derivazione di funzioni composte. Si ottengono allora come risultati delle espressioni che forniscono il segno delle variazioni dei valori di equilibrio interessati (se cioè dette variazioni sono in aumento o in diminuzione). Tuttavia, nella valutazione del segno di tali espressioni possono sorgere difficoltà, in quanto in esse possono comparire termini di segno opposto ma di grandezza incerta proprio perché su di essi si dispone soltanto di informazioni di tipo qualitativo. Soccorrono però l'ipotesi di comportamento massimizzante e l'impiego di quello che il Samuelson ha chiamato "principio di corrispondenza". Questo consiste nel fatto che tra la statica comparata e la stabilità dinamica esiste uno stretto collegamento; nel senso che, siccome sia le condizioni di second'ordine per un massimo (o minimo) che le condizioni di stabilità dinamica comportano che certe espressioni siano maggiori o minori di zero, le seconde spesso coincidono con le prime e quindi risulta possibile determinare il segno delle espressioni della statica comparata. In base al "principio di corrispondenza", allora, vengono impiegate le condizioni di stabilità dinamica per la soluzione del problema di convergenza o meno nella statica comparata. Si noti da ultimo che, nel caso dell'a. di un sistema in equilibrio dinamico, costituisce oggetto della dinamica comparata lo studio delle conseguenze su detto equilibrio di una variazione dei parametri (anche qui a prescindere dal problema della transizione fra l'equilibrio dinamico iniziale e quello corrispondente al nuovo valore dei parametri, che ovviamente è un problema di "condizioni di stabilità dinamica" simile a quello che sorge nell'a. statica).
La dinamica classica e marxiana. - L'a. dinamica di lungo periodo era al centro dell'economia politica dei classici (in particolare Smith e Ricardo), i quali avevano individuato nel processo di accumulazione del capitale il fatto caratterizzante di un sistema economico (capitalistico). D'altra parte, per i classici il processo dinamico dell'economia veniva rapportato allo sviluppo delle "capacità produttive" del lavoro e quindi a un processo di modificazioni strutturali, rese possibili proprio dall'accumulazione di capitale. Centrale era, in questo schema, il ruolo del profitto, visto in particolare come incentivo all'investimento e al processo di accumulazione: tant'è che la condotta del saggio di profitto, a lungo andare legata a molteplici cause ma soprattutto (come in Ricardo) all'andamento dei rendimenti decrescenti nella produzione agricola, provoca l'arresto dell'intero processo di sviluppo e il prevalere dello "stato stazionario". In Marx, la cui complessa costruzione analitica va bene al di là del problema qui in considerazione, la spiegazione delle leggi dinamiche di funzionamento dell'economia capitalistica è al centro dell'analisi. Essendo la continua accumulazione del capitale la connotazione storica essenziale del capitalismo, anche per Marx riveste un ruolo determinante l'andamento del saggio di profitto. La profittabilità dell'accumulazione, però, nell'ambito della particolare impostazione marxiana, non dipende solo dalla creazione del plusvalore (profitto), ma anche dalla realizzazione di esso plusvalore; ed è nello stesso processo accumulativo che sono insite le condizioni del mancato realizzo sistematico sul mercato dell'intero "valore" delle merci. Per Marx c'è, quindi, un trend di base della produzione capitalistica, lungo il quale si ha una progressiva caduta del saggio di profitto. Questa caduta non determina la tendenza verso uno stato stazionario, ma la tendenza verso crisi sempre più gravi (giacché in ogni periodo di boom ci si solleva dal trend, gonfiando e realizzando il plusvalore, ma in ogni crisi il trend viene di nuovo toccato, e perciò ogni crisi è più grave della precedente), da cui il sistema non potrà più risollevarsi.
La dinamica di breve periodo. - Come si è accennato, al contrario dell'economia classica, la teoria economica moderna ha tradizionalmente sviluppato molto l'analisi statica, limitando l'analisi dinamica all'elaborazione di modelli diretti a rappresentare in termini meccanici il movimento di un sistema economico. Una maggiore aderenza alla realtà concreta è fornita dall'analisi economica keynesiana di breve periodo. Al centro dell'a. dinamica di Keynes è la teoria del moltiplicatore, cioè dell'ipotesi secondo la quale nel breve periodo l'incremento del reddito è funzione multipla dell'incremento di una sua componente autonoma. Se, in un certo periodo, questa aumenta di un certo ammontare, inizialmente il reddito aumenta dello stesso ammontare; ma, siccome ogni ammontare di reddito addizionale si distribuisce in un certo modo fra le varie categorie di percettori, nei successivi "stadi" si avranno via via successivi incrementi di spesa e quindi di reddito, la cui somma rappresenta appunto un multiplo dell'incremento iniziale. Il punto è che la serie ottenuta è convergente a un valore limite, giacché la ragione della serie (la cosiddetta propensione marginale al consumo) è supposta essere inferiore all'unità. E per questo motivo che il moltiplicatore dinamico converge al moltiplicatore statico, cosicché - come si è detto - l'analisi statica può legittimamente sostituire quella dinamica. Il perché in questo caso si effettua un'a. dinamica di breve periodo è riposto nel fatto che, mentre è vero normalmente che la componente autonoma di spesa di cui si studiano gli effetti moltiplicativi è rappresentata dagl'investimenti esogeni, di questi si considerano solamente gli effetti sull'andamento del reddito e non anche quelli sull'andamento della capacità produttiva, cioè sul processo di accumulazione.
Teorie del ciclo e della crescita. - Con le teorie moderne del ciclo e della crescita si ha un ritorno all'a. dinamica di medio e lungo periodo, proprio in quanto s'incentra l'a. sugli effetti degl'investimenti sul processo di accumulazione del capitale. È noto che nella dinamica di medio-lungo periodo occorre distinguere le fluttuazioni cicliche dal processo di crescita, le prime essendo caratterizzate dal susseguirsi di fasi di espansione e di fasi di depressione nei livelli dell'attività produttiva, del reddito e dell'occupazione, mentre il secondo è rappresentato da un andamento monotono in espansione del sistema economico. Ora, nelle teorie moderne post-keynesiane, ciclo e crescita economica sono spiegati sulla base del processo di "interazione" tra il moltiplicatore dinamico e il cosiddetto effetto "acceleratore". Si tratta, in generale, di pensare a un incremento del reddito conseguente a un incremento degl'investimenti autonomi che, però, non necessariamente si esaurisce (come nel caso del moltiplicatore dinamico) dopo un certo numero di periodi, bensì viene rafforzato dagli effetti che lo stesso incremento di reddito produce sugl'investimenti indotti tramite il cosiddetto acceleratore. È allora che il processo continua indefinitamente, anche se occorre distinguere tra il caso di un andamento ciclico e quello di un andamento di crescita. Si ha ciclo se, per il modo in cui è costruito l'effetto acceleratore, il reddito di un periodo è funzione positiva del reddito di un periodo appena precedente e funzione negativa del reddito del periodo ancora precedente (come nei modelli di Samuelson e Hicks). Si ha crescita se, viceversa, il reddito di un periodo è soltanto funzione crescente del reddito del periodo precedente (come nei modelli di Harrod e Domar).
Formalmente, nel caso di un modello di ciclo, si è in presenza di un'equazione funzionale del secondo ordine, la cui soluzione indica appunto l'andamento oscillatorio (divergente, costante o convergente) del reddito nel tempo, che si svolge intorno a un valore di questo (costante o crescente) dovuto proprio all'effetto del moltiplicatore dinamico applicato agl'investimenti autonomi. Nelle numerose elaborazioni disponibili in tema di moderna teoria del ciclo, mentre il posto centrale spetta sempre al meccanismo d'interazione fra moltiplicatore e acceleratore, le variazioni consistono nell'introduzione di molteplici "estensioni", quali funzioni non lineari, limiti superiori e inferiori alle fluttuazioni, funzioni del consumo e dell'investimento più generali (ritardi distribuiti, principio dell'adeguamento dello stock di capitale), asimmetria nel funzionamento del moltiplicatore e dell'acceleratore, ecc. Quanto al modello di crescita, la relativa equazione funzionale è del primo ordine e ha una soluzione che rappresenta l'andamento del reddito nel tempo, in base a un tasso d'incremento dipendente (in un modo o nell'altro) dalla quota di reddito risparmiata e investita e dalla produttività degl'investimenti effettuati. Il modello di crescita della teoria moderna può essere più o meno rigido, più o meno disaggregato, più o meno complesso. Comunque, si tratta quasi sempre di modelli di crescita uniforme, nel senso prima chiarito di andamento dinamico d'equilibrio a tasso costante. Nel caso di un modello plurisettoriale, ciò implica che tutti i settori crescano allo stesso tasso costante (com'è nel modello di Von Neumann o in quello dinamico di Leontief). Modelli di crescita non uniforme, di equilibrio dinamico non costante, o infine di squilibrio sono invece piuttosto rari nella moderna teoria economica.
Lo sviluppo economico. - Al contrario di un modello di crescita, un modello di sviluppo economico si riferisce al caso di un sistema che passa attraverso trasformazioni strutturali, più o meno profonde. Tipici in questo senso sono i già ricordati modelli della scuola classica e marxiana: il primo direttamente elaborato per rappresentare un sistema capitalistico caratterizzato da trasformazioni strutturali inizialmente profonde ma via via sempre meno pronunciate, mentre il secondo tendente per sua intrinseca natura a dar ragione degl'ineliminabili, anzi aggravantisi, squilibri del processo capitalistico di accumulazione caratterizzato dalla crescente sproporzionatezza nei diversi settori produttivi e tra la crescita delle forze produttive e quella del potere di consumo della società. Nella teoria moderna, si deve a Schumpeter un originale modello del processo di sviluppo capitalistico visto come una sequenza di mutamenti profondi e discontinui che fanno saltare il sistema da una posizione a un'altra qualitativamente diversa, cioè non ricavabile dalla precedente in virtù di un semplice aumento quantitativo di elementi già esistenti nel sistema, ma legata all'introduzione nel sistema stesso di elementi totalmente nuovi tramite le innovazioni imprenditoriali. Anzi, per Schumpeter, il sistema capitalistico passa attraverso fasi distinte proprio in funzione del diverso modo in cui avvengono le introduzioni di innovazioni. La fase più recente del capitalismo, la cosiddetta fase monopolistica, è però destinata a finire, determinando la fine della società capitalistica stessa: e ciò è posto in relazione alla sempre più evidente obsolescenza della funzione imprenditoriale. È così che per Schumpeter si ritiene inevitabile il passaggio dal capitalismo al socialismo, cioè - si vede bene - in termini affatto differenti da quelli di Marx. Più recentemente, teorie e modelli dello sviluppo economico hanno ricevuto un'attenzione tutta particolare nella letteratura in relazione ai pressanti problemi dei paesi sottosviluppati. In questi casi le impostazioni teoriche più approfondite (i modelli di Lewis, Nurske, Myrdal) riprendono decisamente gli schemi di ragionamento dei classici, proprio per insistere sull'aspetto delle trasformazioni strutturali come nucleo essenziale del processo di sviluppo in paesi e aree in condizioni di relativo sottosviluppo. È questa la parte oggi più stimolante dell'a. e. dinamica, anche se va aggiunto che spesso nei relativi modelli non ritroviamo quella rigorosità d'impostazione teorica che, invece, si ritrova nelle altre branche della dinamica economica.
Bibl.: J. Robinson, The accumulation of capital. Londra 1956 (trad. it. L'accumulazione del capitale, Milano 1969); N. Kaldor, Essays on economic stability and growth, ivi 1960 (trad. it. Saggi sulla stabilità economica e lo sviluppo, Torino 1965); J. R. Hicks, Capital and growth, Oxford 1965 (trad. it. Capitale e sviluppo, Milano 1971); M. Morishima, Theory of economic growth, ivi 1969 (trad. it. Teoria dello sviluppo economico, Milano 1974); L. L. Pasinetti, Growth and income distribution, Cambridge 1974.