DUMINI, Amerigo
Nacque a Saint Louis (Missouri, USA) il 3 genn. 1894 da Adolfo, pittore ed antiquario, e Jessie Wilson. Sebbene cittadino statunitense, allo scoppio della prima guerra mondiale fu soldato volontario nell'esercito italiano, nel 19° reggimento artiglieria da campagna. Sergente nello stesso, poi nel corpo degli arditi, fu ferito due volte e guadagnò una medaglia d'argento. Nel dopoguerra visse il tipico dramma degli ex combattenti piccolo-borghesi, abituati all'attivismo e riottosi a reinserirsi nella "noiosa" vita quotidiana, la cui mentalità nazionalista era turbata dalle agitazioni sociali dell'epoca, minaccianti una rivoluzione bolscevica. A Firenze si iscrisse dapprima all'Alleanza di difesa cittadina e successivamente fondò, con altri dieci, il locale fascio (ottobre 1919), al cui interno capeggiò una fazione intransigente e guascona, di cui fu portavoce il settimanale Sassaiola fiorentina, da lui diretto.
Tra i più decisi squadristi toscani, il D. fu protagonista di numerosi episodi di violenza. Tra i più gravi, l'omicidio di Renato Lazzeri e della madre, avvenuto a Carrara il 2 giugno 1921: in quella occasione egli aveva anche tentato di togliere dai due cadaveri un anello d'oro ed un paio di orecchini. Con U. Banchelli capeggiò anche, nel successivo luglio, la spedizione su Sarzana di cinque-seicento squadristi, rivelatasi per loro disastrosa a causa dell'energica reazione dei carabinieri e della feroce sollevazione della popolazione. Colpito, dopo Sarzana, da un mandato di cattura per duplice, mancato omicidio ed espulso dal fascio per l'incendio alla casa del popolo di Rifredi (maggio 1921), il D. si rifugiò in Svizzera e vi rimase latitante per undici mesi, intervallati da viaggi a Milano, dove strinse amicizia con C. Rossi e G. Marinelli.
Dopo la marcia su Roma, riammesso nel partito fascista con l'avallo di Mussolini, divenne una sorta di segretario privato del Rossi, nominato capo dell'ufficio stampa del presidente del Consiglio. Da questo fu raccomandato a F. Filippelli, direttore del Corriere italiano, di cui divenne ispettore alle rivendite. Sempre alla affannosa ricerca di guadagni, il D. fu arrestato a Pola, nell'agosto del 1923, mentre tentava di vendere agli Iugoslavi un piroscafo di materiale bellico proveniente dall'Ufficio residuati del ministero della Guerra italiano: in quella occasione intervennero in suo favore, ottenendone il rilascio, il generale E. De Bono, Arnaldo Mussolini e l'ufficio stampa del Partito nazionale fascista (PNF). Nel 1923 il D. partecipò alle aggressioni dei fascisti dissidenti A. Misuri e C. Forni e, sembra, alla devastazione del villino di F. S. Nitti.
Nell'agosto dello stesso anno svolse un'inchiesta in Francia su alcune uccisioni di fascisti italiani provocate, secondo G. Marinelli, da connazionali agli ordini del partito socialista. Per decisione di Marinelli, d'accordo con Mussolini, il D. fu posto a capo della cosiddetta "Ceka", squadra di polizia interna, il cui più noto delitto fu il sequestro e l'uccisione di Giacomo Matteotti, il 10 giugno del 1924, dopo il suo famoso discorso di denunzia dei brogli e delle violenze che avevano caratterizzato le elezioni politiche dell'aprile.
Nel delitto Matteotti, di cui ancora si discutono, come noto, i mandanti e in particolare le responsabilità di Mussolini, il D. funse da autista dell'automobile che trasportò il deputato socialista dal luogo del rapimento, il lungotevere Arnaldo da Brescia, a quello della frettolosa sepoltura, la macchia della Quartarella, 23 chilometri a nord di Roma.
Arrestato il 12 giugno alla stazione Termini, fu difeso, nel processo celebratosi a Chieti nel marzo del 1926, da Roberto Farinacci, e condannato, in una sentenza che stabiliva la non premeditazione e la preterintenzionalità del delitto, a soli cinque anni, due mesi e cinque giorni di reclusione, di cui quattro condonati. Uscito di prigione, doveva subire l'ostilità collettiva degli ambienti fascisti come antifascisti, con le conseguenti, gravi difficoltà a reinserirsi in un posto di lavoro.
Esasperato, pronunziava in pubblico una frase ("Se io ho avuto sette anni per il delitto Matteotti, il Presidente doveva averne trenta!") che gli varrà, il 24 sett. 1926, l'arresto per oltraggio alla persona del primo ministro e la condanna del tribunale penale di Roma a 14 mesi e 20 giorni di reclusione. Dal carcere indirizzava lettere angosciose a Mussolini, negando ogni addebito e supplicando la grazia. Pressanti iniziavano anche ad essere le suppliche a Mussolini della madre, Jessie Wilson, che nel novembre del 1927 otteneva la promessa di scarcerazione ed un elargizione di L. 10.000.
Liberato nel gennaio del 1928, il D., che dal carcere aveva richiesto a Mussolini la concessione di un terreno in Toscana e una somma per installarvi un allevamento di polli, doveva invece affrontare estreme difficoltà: "Eccellenza! - scriveva al dittatore il 20 maggio del 1928 - Io sono alla fame. Non ho più un soldo e nessuno viene in mio aiuto. A Firenze sono pieno di debiti ed al mio ritorno i fornitori ci rifiuteranno da mangiare. La mia disperazione è al colmo; se Vostra Eccellenza non viene in mio aiuto mi ammazzo" (Arch. centrale dello Stato, Carteggio riservato).
Frutto delle pressanti richieste del D. e della madre era una serie continua di elargizioni e sussidi speciali, indice dell'estrema accondiscendenza di Mussolini nei confronti dell'atteggiamento ricattatorio dell'ex squadrista: "Vi ho servito sempre: - gli aveva scritto il 13 febbr. 1933 - Vi ho servito da libero con la penna e con l'arma; Vi ho servito in carcere con la mia discrezione e con la mia disciplina … Quale ingratitudine! … Non abbandonate chi Vi fu fedele. Siate fedele e riconoscente a chi operò per Voi!" (ibid.).
In più di una occasione il D. aveva fatto sapere di avere depositato un suo memoriale sul delitto Matteotti presso due avvocati americani: dopo il fascismo confesserà che era stato soltanto un espediente per proteggere la propria vita. Alle generose elargizioni il regime alternava la maniera forte, sottoponendolo ad una ripetuta serie di arresti ed invii al confino.
Nel maggio del 1934 Mussolini gli offri una tenuta agricola a Derna, con l'obbligo di non tornare in Italia.
In Libia il D. esercitò vari mestieri, da commerciante di bestiame a proprietario di una trattoria, sempre sostenuto, nella sua perenne precarietà finanziaria, da sovvenzioni governative. Al momento del ritiro delle truppe italiane, rimase a Derna con l'incarico di comandare una organizzazione di spionaggio e sabotaggio. Scoperto dagli Inglesi e arrestato nel marzo 1941, il 7 aprile fu condannato alla fucilazione. Riusci tuttavia a fuggire e a rientrare in Italia. Il 6 ag. 1943 fu arrestato dalle autorità dei governo Badoglio. Liberato il 17 settembre, si recò a Firenze, dove prese a frequentare la locale federazione del Partito fascista repubblicano. Arrestato dal maggiore M. Carità il successivo 1°novembre, tornò in libertà il 17 febbr. 1944. Durante i restanti mesi della Repubblica sociale italiana si dedicò al traffico di automobili, pezzi di ricambio, armi.
Arrestato il 18 luglio del 1945 a Piacenza, nelle vesti di autista del comando inglese, nel nuovo processo sul delitto Matteotti, svoltosi a Roma presso la Corte d'assise speciale, dal 13 gennaio al 4 apr. 1947, fu condannato all'ergastolo per omicidio premeditato. Liberato per condono nel '53, ma successivamente riarrestato per errata applicazione dello stesso, usci dalla casa penale di Civitavecchia il 23 marzo del 1956.
Mori a Roma il 25 dic. 1967.
Il D. fu autore di Galera… S. O. S.!, Milano 1956; 17 colpi, ibid. 1958.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, 1922-1943, busta 84W/R, fasc. 83; C. Silvestri, Matteotti Mussolini e il dramma italiano, Roma 1947, ad Indicem; M. Cancogni, Storia dello squadrismo, Milano 1959, pp. 92, 95-98, 106, 114, 116 s., 180-183, 199-204; C. Rossi, Il delitto Matteotti nei procedimenti giudiziari e nelle polemiche giornalistiche, Milano 1965, passim; Il delitto Matteotti tra il Viminale e l'Aventino. Dagli atti del processo De Bono davanti all'Alta Corte di Giustizia, a cura di G. Rossini, Bologna 1966, ad Indicem; R. Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino 1919/1925, Firenze 1972, ad Indicem; Il delitto Matteotti, a cura di G. Gerosa-G. F. Vené, Milano 1972, passim; A. G. Casanova, Matteotti. Una vita per il socialismo, Milano 1974, ad Indicem.