DONATI, Amerigo
Figlio di Corso, nacque presumibilmente a Firenze nel penultimo decennio del XIII secolo. Quasi certamente per la giovane età non risulta prender parte attiva alla guerra civile tra bianchi e neri che divampò a Firenze tra la fine del Duecento e l'inizio dei Trecento e nel corso della quale perse la vita il fratello maggiore Simone (1301). Nulla quindi sappiamo del D. prima della tragica fine del padre nell'ottobre 1308.
In quei frangenti la fuga lo salvò dalle durissime pene emanate contro i familiari e i più stretti seguaci di Corso. L'esilio non fu comunque lungo perché nel settembre 1311, con la cosiddetta riforma di Baldo d'Aguglione volta a riammettere in Firenze tutte le persone di provata fede guelfa e nera per fronteggiare la minacciosa discesa in Italia di Arrigo VII, anch'egli poté beneficiare dell'amnistia, pur dovendo sottostare all'obbligo di non avvicinarsi a più di quattro miglia dalla citta per un ulteriore periodo di due anni. A probabile che l'incalzare delle vicende connesse alla spedizione dell'imperatore e al timore di una rivincita dei ghibellini e dei bianchi contribuisse a ridurre anche quest'ultima pena; di fatto nel febbraio 1313, quando Arrigo VII promulgò una lunga lista (che non ebbe alcuna conseguenza pratica) di fiorentini grandi e popolani condannati perché costituivano il fulcro dell'opposizione cittadina ai voleri imperiali, il nome dei D. vi compare insieme con quello dei fratelli minori Giovanni e Tommaso e di numerosi altri Donati.
Reintegrato a pieno titolo in Firenze tra i fondati timori di chi (come Geri Spini, i Della Tosa e i Pazzi) aveva contribuito alla morte di Corso, il D. pareva vivere di luce riflessa derivatagli dal ricordo del padre, la cui figura del resto dovette essere progressivamente rivalutata nella Firenze del tempo, se il D. nel settembre del 1317riteneva plausibile sollecitare con una petizione ai Consigli comunali il saldo di un vecchio e ingente credito di 7.500 libre che il Comune si era impegnato a pagare a Corso nel lontano 1302. Chiese ed ottenne con un procedimento legale che si protrasse dal 1319 al 1321 che la Mercanzia e il Comune gli concedessero il diritto di rappresaglia contro la Parte guelfa di Pistoia, debitrice insolvente dello stipendio di 1.000 fiorini dovuto al genitore quando era stato eletto podestà e capitano degli esuli neri pistoiesi.
La qualità sociale, la tradizione familiare e probabilmente anche la ponderata volontà del governo popolare fiorentino di tenere almeno in una certa misura sotto controllo un personaggio di discendenza tanto inquietante fecero si che anche al D. fossero assegnati nel corso della sua vita numerosi incarichi pubblici connessi col mestiere delle armi, svolti, per la verità, con alterna fortuna.
La prima notizia in questo senso è dell'inizio del 1318, quando (già col titolo di dominus) venne eletto capitano dei fuorusciti guelfilucchesi, le sorti dei quali stavano particolarmente a cuore a Firenze, tanto che il salario al D. veniva versato dagli stessi Fiorentini. Similmente, nel 1322 risulta essere podestà, come già lo era stato il padre, dei guelfi neri di Pistoia esuli, mentre nel maggio del 1323 il Consiglio e gli Anziani di Fucecchio - piccolo centro ma di notevole importanza strategica nelle incombenti guerre tra Firenze, Lucca e Pisa - lo nominarono castellano della loro terra.
Proprio in quell'anno il D. partecipò, seguendo le orme del padre, ad una congiura magnatizia contro lo Stato fiorentino. Ai primi di luglio, per la minacciosa avanzata del signore ghibellino di Lucca Castruccio Castracani contro l'amica Prato, i Priori emanarono un bando per cui a tutti gli esuli che avessero scelto di combattere sotto le bandiere gigliate sarebbe stato concesso il diritto di far ritorno in città. Gli sbanditi, in gran parte magnati, sembra accorressero in gran numero. Di fronte ad un esercito fiorentino dalle forze tanto superiori Castruccio ripiegò rapidamente, ma per la mancata battaglia si tendeva a negare ai fuorusciti la riammissione in patria. Delusi, molti di loro tentarono allora di rientrare con la forza in Firenze nella notte del 10 agosto, sicuramente contando all'interno sulla complicità di vari esponenti della classe magnatizia, con i quali dovevano aver concordato il piano sovversivo. La macchinazione fu però scoperta in tempo e, mobilitatosi il popolo in armi, i ribelli si ritirarono senza colpo ferire.
Apertasi l'inchiesta per scoprire chi fossero i capi della congiura all'interno di Firenze, si decise di ricorrere alle denunzie anonime per evitare intimidazioni e rappresaglie sui testimoni d'accusa. Lo spoglio delle cedole segnalò, pare quasi unanimemente, il D., Tegghia Frescobaldi e Lotteringo Gherardini come principali responsabili. Costoro si difesero affermando di essere stati a conoscenza del piano, ma di non esserne gli artefici; probabilmente per il rilievo sociale dei personaggi coinvolti e per evitare ulteriori occasioni di turbamento pubblico, si scelse allora l'atteggiamento della clemenza, non infliggendo al D. ed agli altri la pena capitale prevista per reati di tale gravità, ma una multa di 2.000libre e sei mesi di confino da scontarsi in località distanti più di 40miglia dallo Stato fiorentino.
Pena lieve, che non impedì al D. di svolgere nuovi incarichi di condottiero per conto della Repubblica. Alla fine di maggio del 1324 fu infatti messo a capo di 340 cavalieri (il contingente dovuto dai Fiorentini nell'ambito della taglia guelfa) inviati in appoggio a Perugia per la riconquista di Città di Castello, che era stata occupata dai Tarlati. L'esito dell'impresa fu infausto, ma l'anno seguente, nel novembre, il D. fu di nuovo inviato, alla testa di 200cavalieri, a portar soccorso al Comune di Bologna in lotta contro i signori di Mantova e di Modena. Nell'autunno del 1326 guidò con Giannozzo Cavalcanti mille fanti fiorentini in aiuto ai castelli di Gavinana e Mammiano nella montagna pistoiese, che si erano ribellati a Castruccio. Il maltempo impedì però alla spedizione di raggiungere i monti: dopo tre giorni di inutili tentativi fu costretta a ripiegare.
Ben più importante impresa fu affidata al D. nell'estate del 1329, quando, malgrado che da poco fosse stata stipulata la lega tra i castelli della Valdinievole e Firenze, Montecatini si ribellò su istigazione dei seguaci dei figli di Castruccio. Inviato a domare la secessione, il D. occupò la limitrofa Montevettolini che stava per associarsi ai ribelli e si dispose poi all'assedio, architettando e facendo realizzare un imponente sistema di fossati (nei quali furono fatti confluire i vicini corsi d'acqua), di steccati e di battifolli tali da stringere completamente Montecatini in una munita morsa lunga 14 miglia, considerata con orgoglio dal Villani superiore a quella che Giulio Cesare doveva aver eretto intorno ad Alesia. In tal modo il castello era completamente isolato e vani risultarono i tre successivi tentativi di Gherardino Spinola, signore di Lucca, di infrangere dall'esterno l'accerchiamento fiorentino. Montecatini fu finalmente costretta alla resa il 19 luglio 1330, e Firenze poté considerare così riscattata la disfatta subita in quello stesso luogo quindici anni prima ad opera di Uguccione Della Faggiuola.
In seguito alla vittoria il D. fu nominato capitano della Valdinievole. In tal veste dovette accorrere alla testa di 400 cavalieri a Barga, quando (giugno 1331) Simone Filippi, vicario di Lucca di Giovanni di Lussemburgo re di Boemia, assediò questo caposaldo fiorentino; ma nei pressi di Buggiano venne assalito all'improvviso dai nemici e dovette ritirarsi con gravi perdite. Nel luglio l'attese comunque il nuovo prestigioso incarico di capitano della custodia di Pistoia. È questa l'ultima notizia che abbiamo di lui. Non sappiamo in quale anno morì; fu sepolto a Firenze nella basilica francescana di S. Croce. Un suo figlio, che portava il nome del nonno Corso, nel luglio 1343 si distinguerà nella sommossa che liberò Firenze dalla tirannia del duca d'Atene.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Capitani di Parte, nn. rossi, 21, c. 72; Ibid., Provvisioni. Registri, 15, cc. 91, 157 (16 sett. 1317; 11 apr. 1318); Ibid., Diplomatico, Adespote, 4 maggio 1323; Firenze, Bibl. naz., Strozziano (Magl.), cl. XXXVII, 302, c. 156; Ibid., Bibl. Marucelliana, ms. C, 44, c. 43; D. Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, in Rer. Ital. script., 2ed., IX, 2, a cura di I. Del Lungo; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, ibid., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, rubbr. 361, 371, 461, 484; Delizie degli eruditi toscani, XI (1778), p. 128; XII (1779), p. 153; G. Villani, Cronica, a cura di L. Magheri, Firenze 1823, IX, 219, 253, 324; X, 6, 139, 183; I Capitoli del Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, II, Firenze 1893, p. 362; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin 1908, p. 265; R. Bevere, La signoria di Firenze tenuta da Carlo figlio di re Roberto negli anni 1326 e 1327, in Arch. stor. per le provincie napol., XXXIV (1909), p.216; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, ad Indicem.