AMBROSIASTRO
. Col nome di Ambrosiaster Erasmo di Rotterdam indicò l'anonimo autore di un commento all'epistolario paolino, generalmente attribuito a S. Ambrogio, ma da qualche codice e in una citazione di S. Agostino (Contra duas epist. Pelag., IV, 4, 7) designato come "Ilario", mentre il codice cassinese (il più antico), del sec. VI, è anonimo. E anonimo fu il commento fin dall'origine, come altri di questa età. Dello stesso autore sono le Quaestiones Veteris et Novi Testamenti, tradizionalmente attribuite a S. Agostino, ma in qualche caso anche a S. Ambrogio; un commento anonimo a Matteo (cfr. Souter, in Journ. of theol. stud., V, p. 608) e la Mosaicarum et romanarum legum collatio (ed. Hyamson, Oxford 1913) ben nota agli studiosi di diritto romano.
La data del Commento e delle Quaestiones si stabilisce abbastanza facilmente. L'autore scrive dopo la morte di Giuliano l'Apostata (363), a 300 anni dalla distruzione di Gerusalemme (70), conosce l'invasione della Pannonia da parte dei Quadi e dei Sarmati (374), parla dell'ecclesia (romana)... cuius hodie rector est Damasus (366-384); tra le prime dodici "questioni" ve ne sono cinque di cui Damaso chiede la soluzione a Sant'Ambrogio, in una lettera del 384. Varie quaestiones (p. es. la 101 "de iactantia romanorum levitarum", la 102 contro i novazianisti) indicano chiaramente dove queste sono state scritte: hic in urbe Roma (quaest. 115). Non mancano tuttavia tracce della dimora fatta dall'autore nell'Italia settentrionale e in Ispagna.
Chi sia questo autore, è stato oggetto di accurate indagini recenti. Abbandonate le antiche identificazioni (Ilario il luciferiano; Ticonio il donatista, attraente ma vana ipotesi del Morel; Faustino, proposto dal Langen) varî personaggi si contendono il campo, tutti proposti dall'infaticabile benedettino G. Morin. Nel 1899 egli notava riscontri stilistici impressionanti con le opere di Isacco, un ebreo convertito che osteggiò papa Damaso nel 378 e poi tornò alla Sinagoga, oltre ad un interesse particolare per cose e libri del giudaismo; tale identificazione, avvalorata con altri argomenti dallo Zahn, e da ulteriori ricerche del Wittig, è quella che gode ancora il maggior favore. Ad essa ha aderito anche il Souter, che nel 1903 aveva accettato la seconda proposta del Morin, Decimio Ilariano Ilario; ma il nome vero di costui, quale risulta da una miglior lettura dell'iscrizione (Corpus inscript. lat., VIII, 14398) è Decimius Hilarianus H(esper)IVS (non Hilarius; cfr. Seeck, in PaulyWissowa, Real Encycl. der class. Altertumswiss., VIII, col. 1249 seg.), secondo figlio di D. Magno Ausonio, il poeta. La terza ipotesi, avanzata nel 1914, che identifica l'Ambrosiaster con Evagrio d'Antiochia, non ha finora raccolto numerosi consensi. Quarto candidato, un Cl. Callistus sive Hilarius la cui iscrizione funebre fu scoperta nel 1821 a Tor Marancia sulla via Ardeatina, presso Roma (Morin, in Athenaeum, VI, 1918). Più di recente il Morin stesso (in Rev. bénéd., XL, 1928, p. 251 segg.) faceva notare come potrebbero convenire alla personalità di questo ignoto scrittore i dati che conosciamo intorno a Nummus Aemilianus Dexter, figlio di Paciano vescovo di Barcellona, comes rerum privatarum di Teodosio (387), prefetto del pretorio d'Italia (395) e amico di S. Girolamo (cfr. Seeck e Jülicher, in Pauly-Wissowa, op. cit., IV, col. 297). Ma si tratta, avverte egli stesso, di coincidenze casuali; e, in mancanza di elementi più sicuri, che solo un confronto testuale potrebbe fornire, ogni identificazione è assai dubbia.
Il Commento a S. Paolo è, tra le opere di questo scrittore, senza dubbio la più significativa: la sua importanza nella storia della teologia occidentale non si saprebbe rilevare abbastanza. La sua diffusione è stata enorme, come prova la copiosissima e intricatissima tradizione manoscritta.
Il commento è infatti contenuto in più di 10 codici, che appartengono a edizioni e rimaneggiamenti diversi. Gli è stato aggiunto, per es., un Commento alla lettera agli Ebrei, che è di Alcuino; in altri casi, l'Ambrosiastro si trova mescolato con Claudio di Torino, o con Aimone di Auxerre o con la traduzione latina di Teodoro di Mopsuestia. L'autore stesso pubblicò il suo commento in tre edizioni diverse. La prima, che va sotto il nome "Ilario" comprende i commenti a Romani, e alle altre lettere, meno tre (Galati, Efesini, Filippesi). Il testo biblico pregeronimiano vi è frammisto alla Vulgata. La seconda, sotto il nome di Ambrogio, pure con testo biblico corrotto, contiene commenti a tutte le lettere, mentre quelli a Romani, I e II Corinzî sono stati riveduti; ma un ignoto ha sostituito la fine di I Cor. e il prineipio di II Cor. con il commento di Pelagio. La terza edizione, sola col testo biblico pregeronimiano, ha un nuovo rifacimento del Commento a Rom., e altre caratteristiche. Né meno interessante è la storia critica delle Quaestiones, che ebbero anch'esse due edizioni dovute all'autore, oltre a una terza, compilazione medievale.
Il testo biblico dell'Ambrosiaster è tipicamente "europeo", imparentato da vicino, in complesso, con quello di Lucifero di Cagliari e del codice veronese b (per i Vangeli). La lingua e lo stile sono estremamente semplici, e parvero al Watson (in Claassical Review XXIII, 1909, p. 237) quelli di un forestiero che scrivesse latino. Molte caratteristiche sono state rilevate dal Souter.
L'Amorosiaster è ortodosso nella dottrina trinitaria e combatte molti eretici (ariani, catafrigi o montanisti, novazianisti, donatisti, manichei, marcioniti); la sua mentalità è quella di uno storico (egli segnala le differenze tra l'organizzazione della Chiesa primitiva e quella de' suoi tempi); conosce e cita Tertulliano, S. Cipriano, Vittorino di Pettau, Ilario di Poitiers, varî apocrifi: è generalmente ostile ai Greci. Molti esempî sono tolti all'amministrazione pubblica e al diritto, con citazioni così frequenti da farlo ritenere un legista. Combatte anche l'astrologia e il paganesimo; abbondanti e degni di nota i riferimenti a cose giudaiche, in particolare nel Commento a S. Paolo.
La teologia dell'Ambrosiaster meriterebbe uno studio speciale, che tuttora manca. Scritto alla vigilia, si può dire, della grande polemica tra S. Agostino e Pelagio, il suo Commento a S. Paolo presenta un interesse straordinario, ed egli è parso ad alcuni teologi un precursore tanto dell'uno quanto dell'altro dei due grandi antagonisti. Infatti al suo tempo la questione del valore e del significato della salvezza cristiana era posta ancora in termini di teodicea (dottrina trinitaria) e il problema delle relazioni fra il trascendente e l'immanente, fra Dio e il mondo e l'uomo, doveva ancora essere chiarito dal punto di vista delle questioni che furon trattate nelle polemiche successive. Ma è chiaro, specialmente dal Commento a Romani, che più d'una volta egli precorre S. Agostino.
Per es., a Rom.. I, 13: "Unde dixit: 'vocatis sanctis'; quid tamen est vocatis sanctis'? Si enim iam sancti sunt, quo modo vocantur ut sanctificentur? Sed hoc ad dei pertinet praescientiam, quia quos scit deus futuros sanctos, iam apud illum sancti sunt, et vocati permanent". E a Rom., V, 12 (in quo omnes peccaverunt): "Ideo dixit 'in quo', cum de muliere loquatur, quod non ad speciem rettulit, sed ad genus. Manifestum itaque est in Adam omnes peccasse, quasi in massa; ipse enim per peecatum corruptus quos genuit, omnes nati sunt sub peccato. Ex eo igitur cuncti peccatores, quia ex ipso sumus omnes".
Fondandosi su questo passo, e sull'uso caratteristico del termine massa, il Buonaiuti (in Harvard Theological Review, X, 1917, p. 159 segg.) sostenne che il Commento dell'Ambrosiastro, letto da S. Agostino negli anni 396-97 e da lui ritenuto opera d'Ilario, avesse esercitato su di lui tale influenza da poter essere considerato "la genesi della dottrina agostiniana del peccato originale": tesi fieramente combattuta da scrittori cattolici (v. s. agostino). Ulteriormente (in Harvard Theolog. Review, 1927, p. 117), egli ricollegava l'uso del termine massa alla concezione caratteristicamente manichea della bolos (βῶλος) che si ritroverebbe in S. Agostino (cfr. anche Burkitt, The Religon of the Manichees, Cambridge 1925, p. 65 segg.); e, argomentando soprattutto dal Commento di Pelagio allo stesso passo di Rom., sosteneva (in Ricerche religiose, IV, 1928, p. 1 segg.) che il monaco irlandese avesse scritto il suo commento in risposta a quello dell'Ambrosiaster. Il Baxter (in Journ. of Theol. St., 1922, p. 128) ritiene invece che la prima citazione dell'A. da parte di Agostino sia del 405 (sotto il nome di Ambrogio): ipotesi pur essa combattuta. Il Koch (Zeitschr. für Kirchengesch. XLVII, n. s. X, 1928, p. 1 segg.) segnala incontri fra l'A. e Priscilliano, con probabile dipendenza del secondo.
Edizioni: L'edizione critica delle Quaestiones è nel vol. 50 del Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, di Vienna; del Commento a S. Paolo si attende dal Souter un'edizione moderna nella stessa raccolta; meno insufficiente delle altre quella datane dal Ballerini nel III volume della sua edizione delle opere di S. Ambrogio (Milano 1878).
Bibl.: È abbondantissima. Agli scritti citati nel testo si aggiungano: M. Zappalà, A proposito dell'Ambrosiastro, in Rivista trimestrale di studi filosofici e religiosi, III (1922), p. 460 segg.; E. Buonaiuti, Agostino e la colpa ereditaria, in Ricerche religiose, II (1926), p. 401 segg. (scritto polemico: elenca però gli oppositori della sua tesi); A. Souter, A Study of Ambrosiaster, Cambridge 1905; id., Pelagius' Exposition of 13 epistles of St. Paul, I, Cambridge 1922; id., The earliest latin commentaries on the epistles of St. Paul, Oxford 1927 (opera fondamentale); v. anche sotto Ambrogio, santo.