FORZATÈ, Alvise (Aloduxe, Aloduse da Monte Merlo; Luixe, Ludovico di Forzatè)
Figlio di Marzio, conte di Montemerlo, e di Cubitosa, figlia di Jacopino da Carrara detto il Pappafava, nacque, probabilmente nella prima metà del sec. XIV, a Padova, dall'illustre e potente famiglia Tanselgardi (o Transelgardi) Forzatè dell'aristocrazia municipale strettamente legata da vincoli di interesse e di parentela alla casa dei signori della città.
Divenuti vassalli dei vescovi di Padova, i Forzatè erano riusciti a mantenere e migliorare la loro posizione nel corso del sec. XIII. La consolidarono in modo decisivo agli inizi del secolo successivo, quando anche a Padova il ceto feudale riuscì a conquistare il controllo del governo cittadino. Forti economicamente e influenti per le loro aderenze, essi arrivarono allora a svolgere un ruolo di primo piano nella vita politica padovana. Il padre del F. nel 1318 dette una sua figlia, Lieta, in moglie a Giacomo di Nicolò da Carrara, secondo di questo nome, poi signore di Padova (1345-1350). Da questo matrimonio nacquero quattro figli: Francesco (I), il futuro signore di Padova (in seguito detto il Vecchio), Carrarese, Margherita e Gigliola, tutte destinate a nozze di altissimo rango. Durante il predominio di Giacomo (I) di Marsilio da Carrara (1318-1324) egli fu costretto all'esilio per aver congiurato contro di lui. A Padova i Forzatè avevano abitazione in contrada San Nicolò, contigua al palazzo signorile.
Nulla sappiamo sulla formazione culturale e sugli gli anni giovanili del F. e, d'altro canto, labili sono le notizie fornite su di lui dalle fonti cronistiche. Sembra, a ogni modo, che egli sia stato a lungo lontano da Padova; in una nota del 28 luglio 1337 contenuta nella Cronaca Carrarese dei Gatari, si indicano infatti come "un tempo" abitate dal F. le sue case in contrada San Nicolò. Per spiegare una così lunga assenza dalla patria non appare arbitrario - sulla base degli stretti legami di solidarietà e di parentela che lo legarono a Giacomo da Carrara - avanzare l'ipotesi che il F. abbia accompagnato il cognato nell'esilio (luglio 1328-luglio 1340) cui questi fu costretto dopo la rivolta del padre Nicolò.
La vicenda pubblica del F. si sviluppò a partire dalla metà del secolo, dopo l'assassinio del cognato Giacomo da Carrara (19 dic. 1350), l'avvento del figlio di questo, Francesco, alla signoria insieme con lo zio Giacomino da Carrara (22 dic. 1350) e, soprattutto, dopo il fallimento del colpo di Stato ordito dallo stesso Giacomino nella tarda estate del 1355. Nel giugno del 1354 il F. fece parte del seguito di Francesco da Carrara, quando questi marciò su Ferrara con l'esercito della lega promossa contro Giovanni Visconti arcivescovo e signore di Milano e contro Francesco d'Este. Nel tardo autunno del medesimo anno fu investito cavaliere dell'Impero dallo stesso Francesco da Carrara, da poco innalzato alla dignità di vicario imperiale da Carlo IV. Nell'aprile 1356 fu uno dei capitani a cui Francesco affidò la responsabilità del controllo e della difesa di importanti castelli della Valsugana, tra cui quello di Pergine, minacciati dal marchese di Brandeburgo. Nello stesso anno ebbe il compito di coordinare l'invio di truppe a sostegno di Luigi d'Ungheria, che aveva invaso i territori di dominio veneziano e posto l'assedio a Treviso.
Divenuti sempre più tesi i rapporti tra Padova e la Serenissima per il problema della definizione dei confini tra le aree di dominio carrarese e quelle di dominio veneziano nel Bellunese, nel Feltrino e nel Trevigiano, il F. intervenne al Consiglio generale convocato nell'aprile 1370 da Francesco e, in seguito, partecipò attivamente ai lavori della commissione creata nella primavera del 1372 grazie alle pressioni di alleati di Padova, quali il re di Ungheria e Firenze, per arbitrare sulla vertenza. Il 28 apr. 1372 egli è ricordato infatti tra i membri di questa commissione insieme con gli altri rappresentanti di Francesco da Carrara. Nel corso dei colloqui egli ebbe uno scontro violento con uno dei rappresentanti veneziani, tale Zotto de Chà Zane. Ai primi di giugno si recò a Codevigo per un incontro con gli ambasciatori veneziani, che però non ebbe luogo. Tra la fine della primavera e gli inizi dell'estate fece quindi parte del seguito che accompagnò una figlia di Francesco, Caterina, che andava sposa a Stefano Frangipani, conte di Vegoia.
Il matrimonio suggellava il sistema di alleanze in funzione antiveneziana, che il signore di Padova si era costituito in quello scacchiere. Partito in giugno, prendendo la via di Venezia dal Portello fino a Segna, in Dalmazia, e rientrato a Padova il 14 luglio per la via di Rimini e Ferrara, il F. fece a Francesco un'accurata relazione del viaggio e dell'accoglienza fatta in Segna a Caterina (Gatari, pp. 60 s.).
Scoppiata la guerra contro la Serenissima nell'autunno di quello stesso anno, quando i Veneziani investirono Bassano il F. fu tra i membri di un nuovo Consiglio generale convocato da Francesco e partecipò dalla metà di novembre alle prime azioni militari. Fu preposto infatti alla difesa di Brentella e della riviera del Brenta che presidiò respingendo gli attacchi delle truppe veneziane condotte dal senese Vasco Rainiero, e della bastia di Lova, situata nella fascia orientale del territorio padovano. Nel dicembre accompagnò alcuni ingegneri militari incaricati di provvedere alla fortificazione della torre del Curame. Nell'aprile dell'anno successivo, dopo la conquista di quella torre da parte dei Veneziani, presenziò all'escavazione di una fossa di difesa e all'elevazione di una nuova fortezza a Lova al posto della precedente bruciata dal nemico. Agli inizi di maggio fu a Boion, per l'elevazione di un'altra fortezza.
Conclusa la pace, imposta a dure condizioni da Venezia (21 sett. 1373), il F., insieme con i figli Giovanni, Giacomo e Andrea, e con il nipote Filippo (detto Filippino) di Enrico Forzatè, aderì a una congiura organizzata negli ultimi mesi dell'anno, con l'appoggio di Venezia, da Marsilio da Carrara. Essa aveva l'obiettivo di sopprimere, la notte del 23 dicembre, Francesco, di rovesciarne il regime e di portare lo stesso Marsilio al potere. Il complotto venne scoperto per la delazione di Pietro Salomoni, amico di un canonico, Giacomo da Leon, che i cospiratori volevano innalzare alla cattedra episcopale di Padova. Il F. venne arrestato insieme con i figli e consegnato al podestà Giacomo Rangoni, il 17 genn. 1374. Sottoposto a tortura, rilasciò una completa confessione che fu verbalizzata il 19 successivo. Riconosciuto colpevole, venne condannato a morte così come lo fu il nipote Filippino e insieme con lui fu decapitato, il 24 di quello stesso mese sul balcone del palazzo del podestà di fronte alla piazza della Biava (odierna piazza delle Erbe).
Il suo corpo venne tumulato nella chiesa domenicana di S. Agostino. Alcune delle proprietà del F. e di Filippino furono confiscate adducendo a pretesto, tra l'altro, la circostanza che "ditti dominus Lodoycus et Filipinus tempore eorum vite et mortis multos habebant creditores", come si trae da un atto del 10 apr. 1374 relativa a una casa con corte e giardino sita in San Nicolò.
Il F. aveva sposato in prime nozze una Caterina, di cui ignoriamo il casato. Da lei aveva avuto tre figli. Rimasto vedovo aveva sposato Imperatrice Buzzacarini, figlia di Pataro, il noto giurista, e sorella di Fina, la moglie di Francesco (I) da Carrara. Da lei aveva avuto almeno un maschio, Aledusio. Sappiamo inoltre che aveva avuto due figli illegittimi, Giacomo e Andrea, ricordato quest'ultimo dal cronista Nicoletto d'Alessio in occasione della fallita congiura del 1373.
Il secondo matrimonio attesta la familiarità che il F. ebbe con il mondo universitario cittadino e, in particolare, con l'ambiente dei giuristi. Le fonti note, tuttavia, non contengono alcun accenno a titoli accademici da lui posseduti o a ruoli universitari da lui ricoperti. È interessante, a ogni modo, sottolineare i legami che lo unirono a un altro celebre giurista dell'epoca, il mantovano Nicolò Cremaschi. Costui, nella notte del 28 luglio 1370, dettò il proprio testamento appunto a Padova, a San Nicolò, nella casa del F., nominando quest'ultimo e il di lui figlio Giovanni, ancora minorenne, eredi di quanto egli possedeva in città e nel Mantovano. Nello stesso documento, inoltre, il Cremaschi indicò il F. tra i suoi esecutori testamentari.
Secondo l'autore del CodiceCapodilista la tragica fine del F. fu dovuta a un'ingiusta sentenza: la condanna a morte gli sarebbe stata comminata, infatti, a causa dell'amicizia e della fedeltà che egli aveva sempre dimostrato nei confronti di Marsilio da Carrara. La Cronaca dei Gatari, d'altro canto, sottolinea che il F. era molto amato dai suoi concittadini e afferma che grandi erano le sue benemerenze nei confronti dello Studio padovano.
Dei figli del F. sappiamo che Giovanni, coinvolto come il padre nella congiura dell'autunno del 1373, non fu condannato a morte, ma trattenuto prigioniero a Castelbaldo dove morì alcuni anni dopo; e che Aledusio, nel 1392, fu reintegrato da Francesco (II) Novello da Carrara nel possesso dell'intero patrimonio paterno.
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