EMO, Alvise
Nacque a Venezia il 16giugno 1717 da Giovanni di Gabriele del ramo di S. Simeon Piccolo (Ss. Simeone e Giuda) e da Lucietta Lombardo.
Anche se Nicolò Dortà esagerava, quando affermava, intorno al 1735, che gli Emo di S. Simeon Piccolo erano "una famiglia uscita da poco dalle plebee", vale a dire dalle case collocate alla base della piramide patrizia veneziana, è peraltro vero che, da un lato, la casa poteva fare assegnamento su entrate largamente inferiori a quelle godute dall'élite dei "signori", dalla fascia più ricca della nobiltà lagunare (tuttavia un anonimo contemporaneo stimava che, una volta sommato a quello dell'altro ramo superstite degli Emo, il reddito ammontasse ad un più che rassicurante totale di 17.000 ducati) e, dall'altro, che la casa era riuscita nel corso degli ultimi decenni (partendo in ogni caso da un consolidato rango senatorio) a dare la scalata ai vertici del potere.
Avevano dato un contributo decisivo all'ascesa della casa il padre e gli zii dell'E., Gabriele, Prospero e Angelo. In particolare, Angelo si era segnalato per le sue notevoli doti militari (durante l'ultima guerra di Morea aveva brillantemente difeso la Dalmazia dagli attacchi dei Turchi) e diplomatiche (aveva firmato nel 1733 la pace "perpetua" con il sultano), mentre Giovanni s'era distinto in seno al Collegio e in veste di ambasciatore, riuscendo ad ottenere nel 1723 il prestigioso riconoscimento di procuratore di S. Marco "per merito" e un seggio di fatto a vita tra i savi del Consiglio, il centro del sistema politico marciano. Come avrebbe sottolineato il Donà, gli Emo contavano "tra plebei grandissimo numero di parenti, di amici, e di aderentic il padre dell'E. era in effetti il leader delpatriziato medio e basso che si opponeva alle strategie oligarchiche dei "signori".
Giovanni affidò l'E. ad un precettore d'eccezione, il somasco Iacopo Stellini, dal 1739 lettore di filosofia morale all'università di Padova. Questi trasmise all'E. una cultura assai aggiornata, in parte attinta a fonti transalpine (il somasco conosceva bene il francese e l'inglese) e non priva di risvolti "libertini" e di venature scettiche. L'E. rimarrà assai legato al suo precettore: dopo la morte dello Stellini, ne promuoverà e finanzierà, insieme col fratello Angelo, l'edizione delle Opere varie (sei tomi usciti a Padova tra il 1781 e il 1786).
L'E. debuttò nella carriera politica, entrando, sulla scia dello zio Angelo, nell'Armata, la marina militare della Repubblica. Ma, dopo aver percorso le prime tappe della via del mare, fu richiamato a Venezia per essere destinato alle magistrature urbane.
Questa insolita correzione di rotta fu con tutta probabilità decisa dal padre dell'E. in seguito al fallimento del "lancio" del primogenito, Piero, nell'agone politico. L'autorevole procuratore di S. Marco, il quale evidentemente non riteneva illustrata e garantita in modo sufficiente l'influenza dei clan dalla presenza del nipote Bernardo Nani nei ranghi dei savi di Terraferma, nel 1746 riusci ad introdurre lo stesso E. nel Collegio dei savi.
Questi fu savio di Terraferma per nove volte consecutive, dal luglio del 1746 al marzo del 1755, un servizio interrotto unicamente dagli inevitabili periodi di contumacia e da un'elezione, l'ultima, posticipata dall'usuale giugno a settembre. Nell'ultimo trimestre del 1751, nei secondi trimestri del 1752 e del 1753 e nel primo trimestre del 1755 fu anche savio alla Scrittura, vale a dire segretario alla Guerra, un incarico in linea con i suoi precedenti militari. In esecuzione ad un decreto del Senato, sul finire del 1752 fece ristampare un Esercizio militare e regola universale dell'infanteria della Serenissima Repubblica di Venezia. Del resto l'E. si era occupato di argomenti relativi alla difesa fin dai suoi primi interventi in Senato: si ricorda, tra l'altro, un suo pesante attacco contro la politica militare del defunto feldmaresciallo J. M. von der Schulenburg (aprile 1747).
Nel corso della fase finale dell'annosa questione di Aquileia (1748-51) egli si segnalò quale eloquente portavoce della linea strategica del padre. Marco Foscarini, leader dei "signori" e fino ad allora indiscusso regista della politica veneziana, fu sconfitto nel luglio del 1750 da un'alleanza tra il clan degli Emo e i "giovani", per lo più savi di Terraferma attuali o usciti, un'intesa cementata dalla volontà di salvaguardare "la dignità [e la] libertà della Repubblica" contro le pressioni di Vienna e di Roma. Ma l'egemonia di Giovanni Emo fu di breve durata: nel 1752 il suo "partito" tentò invano di farlo eleggere doge, una carica che fu invece assegnata una volta di più ad un "signore". Due anni più tardi l'E., nonostante che fosse spalleggiato dai "giovani" e dalle Quarantie, i Consigli giudiziari della Repubblica, fu sconfitto dal Foscarini, che riusci a far approvare dal Senato una politica di "appeasement" nei confronti dei Barbareschi.
A metà degli anni 1750 l'E. era segnalato dal cugino Giacomo Nani quale membro autorevole di un circolo di "spiriti forti, liberi" composto da risoluti avversari dei "signori" e dei "chietini", la palude conformista. Agli "spiriti forti, liberi" appartenevano sia alcuni "giovani" usciti dalle file della media nobiltà sia alcuni capi delle Quarantie. I seguaci dell'E. amavano "la Repubblica qual ell'è e ne odia[vano] tutte le novità", sapendo bene che "tutte le novità sono pericolose" in quanto potevano venire, "più che da ogn'altra parte", dai "signori". Difesa del "principio aristocratico", della " vera" tradizione repubblicana contro le mene oligarchiche dei "signori": questo il programma politico, al quale rimarrà sempre fedele l'E. e che tenterà di realizzare affidandosi soprattutto ad un'eloquenza che sapeva spesso efficacemente incanalare un'accesa passione civile.
Quando, nel 1755, l'E. usci dal suo lungo apprendistato tra i savi di Terraferma, aveva le carte in regola per aspirare alla carica di savio del Consiglio. Ma una congiuntura sfavorevole gli impedi di raggiungere la meta: da un lato il padre era molto avanti negli anni (era nato nel 1670) e, per di più, si trovava tra gli avversari della politica ecclesiastica allora prevalente a Venezia; dall'altro il cugino Bernardo Nani non solo vantava una maggiore anzianità di "servizio" in Collegio, ma, diversamente dal "radicale" E., era in buoni rapporti col Foscarini. La promozione di Nani a savio del Consiglio confinò l'E. in una sorta di limbo politico, dal quale non riusci a emergere neppure dopo la morte del padre (maggio 1760). I suoi amici confidavano che "il luogo del Collegio" fosse assegnato "al Signor Alvise senza contrasto de Barbarighi", ma l'E. fu scavalcato da Nicolò Barbarigo nella corsa al saviato grande. Egli fu invece temporaneamente reintegrato tra i savi di Terraferma, un riconoscimento che appare tributato più alla memoria del padre che all'avvenire politico dell'Emo.
Nel 1761, dopo che la scomparsa di Bernardo Nani aveva fatto perdere all'E. l'altra colonna su cui riposavano le fortune politiche del clan, la grave crisi costituzionale innescata dall'arresto dell'avogador di Comun Angelo Querini per ordine degli inquisitori di Stato vide lui e gli altri "spiriti forti, liberi" scendere in campo a favore dell'avogadore e contro un fronte conservatore guidato dal Foscarini. L'E. fu candidato alla carica di correttore delle leggi, ma non fu eletto. Insieme a Girolamo Ascanio Giustinian fu tra i più attivi sostenitori del Querini: tra l'altro, la minaccia di un suo intervento nel dibattito del marzo 1762 costrinse Foscarini a modificare le proposte del suo "partito" in maniera da togliere loro "la taccia di novità". La correzione del 1761-62 si concluse con una vittoria, sia pure di stretta misura, dei conservatori: l'E. rimase una volta di più fuori del cerchio magico del potere.
Nei secondi anni 1760, quando si formò intorno ad Andrea Tron, il successore del Foscarini alla testa dei "signori", una nuova maggioranza "progressista" che riuniva non pochi partigiani del Querini, l'E. poté ritornare alla ribalta della scena politica.
Nel 1767 Matteo Dandolo, l'uomo di punta della corrente illuministica delle Quarantie, gli dedicò un'edizione e traduzione dei Political essays on commerce di David Hume (Venezia 1767), in cui dichiarava che "l'amore per la Repubblica [era] connaturale al sangue dell'illustre famiglia" Emo. L'anno seguente l'E. fu eletto consigliere ducale e poté finalmente entrare in Senato in qualità di membro "permanente". Nel 1769 diede un importante contributo alla realizzazione di quel programma di rilancio delle campagne venete che lo stesso Dandolo aveva invocato nella dedica dei saggi dello Hume, facendo approvare dal Senato la nomina di tre sindaci inquisitori in Terraferma.
Tuttavia, quando fu eletto, insieme col conservatore Girolamo Grimani e con Marin Garzoni, nel magistrato, l'E. cercò, invano, di essere dispensato dalla carica, allegando, tra l'altro, la precaria situazione finanziaria della casa (era "aggravata da sopra 130 mila ducati assunti" da lui e dal fratello Angelo, allora impegnato in Levante in qualità di capitanio delle navi, "in venerazione a … maggiori").
Come scriveranno gli inquisitori nella relazione presentata al Senato il 23 nov. 1772, per "due anni e mezzo" il magistrato percorse la Terraferma occupandosi di "tutta l'economia" e del "governo dei dazi, monete, commercio" con il duplice obbiettivo di "felicitare i sudditi" (in modo particolare i contadini, quel "popolo laborioso e parco [che] forma la forza vera del Principato") "e l'errario".
Nel 1774 la costellazione "progressista" cadde in pezzi sotto gli attacchi dei "novatori", i portavoce più radicali del patriziato "quarantiotto" e "barnaboto". Si rese necessaria un'altra correzione delle leggi. L'E. fece prevalere, grazie alla "robusta di lui Demostiniana eloquenza", la tesi che chi era eletto correttore doveva abbandonare ogni altro incarico. Ciò favori la nomina di correttori, tra i quali lo stesso E. (che ottenne quasi il 72% dei voti dell'assemblea), estranei o ai margini del "giro" del Collegio, di quei "potenti" che lo odiavano perché "troppo Repubblicano". L'E. tentò di approfittare della situazione e di far varare un energica legislazione antioligarchica diretta a colpire, in particolare, la politica accentratrice del Tron, ma il "partito" dei savi riusci a limitare di molto i danni. Parallelamente i provvedimenti a favore delle Quarantie e dei nobili poveri non furono in grado di tagliare l'erba sotto i piedi dei "novatori". L'E. fini per trovarsi isolato in seno alla stessa correzione sul problema della riforma del bilancio dello Stato.
Quando, nel 1779, i "novatori" ripartirono all'attacco dell'establishment, l'E. sali nuovamente alla "renga", ma senza ripetere il successo di pochi anni prima. Ormai la lotta politica veneziana riguardava unicamente il "partito" dei savi e quello dei "novatori". Ai medi "repubblicani" come l'E. non rimaneva che un ruolo di comprimari. La sua emarginazione politica divenne evidente nel 1783, quando l'odio dei "potenti" e la disaffezione dei "novatori" concorsero nell'escluderio dal Senato. L'E. reagi all'onta con la solita irruenza e, "volte le spalle ai pubblici uffici, vesti l'abito di chiesa".
Egli mori nella sua villa di Postioma (od. Comune di Paese, nelle campagne trevigiane) il 14 ott. 1790 e fu seppellito, quattro giorni più tardi, nella chiesa di S. Simeon Piccolo.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, cod. Cicogna 2686: N. Donà, Ragionamenti politici intorno al governo della Repubblica di Vinegia, c. 105; Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Pregadi, reg. 23, cc. 12v-15v, 21v-22; reg. 24, c. 12v; Padova, Bibl. d. Seminario vesc., cod. 798: A. Vallisnieri iunior a G. Toaldo, Venezia 16 maggio 1760; Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, cod. Correr 1097, c. 316: Supplica di Alvise Emo per essere dispensato da sindico inquisitor di terraferma; Ibid., cod. P. D. C. 2202: Registro delle parti del Maggior Consiglio sull'inquisitorato di terra ferma (9 ag. 1769-20 febbr. 1772); Arch. di Stato di Venezia, Provveditori alla sanità, b. 977, c. 323; Proclami e terminazioni del Girolamo Grimani, Angelo Emo e Marin Garzoni, sindici inquisitori in Terra Ferma…, Salò 1775; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia…, II, Venezia 1855, p. 110; S. Rumor, Storia breve degli Emo, Vicenza 1910, p. 102 e tav. III b; M. Dandolo, in D. Hume, Political essays on commerce, Venezia 1767, pp. V-XVI; Bilanci generali della Repubblica di Venezia, IV, a cura di A. Ventura, Padova 1972, pp. LXXIX-LXXXV; S. Romaran, Storia documentata di Venezia, VIII, Venezia 1975, pp. 111-16, 132-39, 165, 310-27; J. Georgelin, Venise au siècle des lumières, Paris-La Haye 1978, p. 482; F. Venturi, Venezia nel secondo Settecento, Torino 1980, pp. 138 s., 154-66; P. Del Negro, Giacomo Nani e l'università di Padova nel 1781…, in Quaderni per la storia dell'Univ. di Padova, XIII (1980), pp. 108-110; Id., Politica e cultura nella Venezia di metà Settecento…. in Comunità, XXXVI (1982), 184, pp. 334-37, 412 s..; Id., Proposte illuminate e conservazione…, in Storia della cultura veneta, V, 2, Vicenza 1986, pp. 139-42.