CIPPICO, Alvise
Figlio di Coriolano e di Nicoletta Andreis, nacque a Traù in Dalmazia il 16 sett. 1456.
Il. padre Coriolano, cultore delle letterature antiche e storico valente, godette di grande prestigio presso i letterati del tempo. Nell'ambiente familiare il C. sperimentò, quindi, la condizione fortunata di conoscere ed apprezzare, fin dai primi anni, la cultura classica e gli studi letterari verso cui era particolarmente attratto. A Padova, dove si era trasferito nel 1470, il.C. s'iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e studiò con particolare riguardo il diritto canonico, desiderando intraprendere la carriera ecclesiastica. Ma i prevalenti interessi letterari lo indussero a frequentare i circoli umanistici della città, dai quali trasse incentivo ai suoi primi esperimenti poetici. Il C. dedicò, infatti, al maestro Raffaele Regio di Bergamo, un epigramma latino di dieci versi che fu inserito in un'edizione delle commedie di Terenzio, risalente presumibilmente al 1473 e stampata a Venezia.
Alla fine del volume sono riprodotti i brevi versi del C., che lodano l'ardua impresa compiuta dal Regio nel restituire al lettore il testo terenziano. Un senso di profondo affetto per il maestro, unito alla venerazione per l'opera del poeta latino compensano l'evidente immaturità stilistica del componimento. Analoghi al precedente sono i due epigrammi che il C. compose in latino per celebrare il rettore ed il vicerettore della facoltà di giurisprudenza di Padova. I versi iniziali delle poesie, pubblicate da F. Banfi (Epigrammi di A. C., in Arch. stor. per la Dalmazia, t. XXVII [1938], 151, pp. 260, 264), indicano l'autore come "Cipicus", senza ulteriore specificazione; ma l'argomento trattato comporta un riferimento immediato al soggiorno padovano del C., che già aveva testimoniato con l'epigramma in onore di Raffaele Regio la stima e la gratitudine per i suoi insegnanti.
Dopo aver conseguito il dottorato in utroque iare, il C. sitrattenne ancora a Padova e da questa città il 12dic. 1482 inviò al doge Giovanni Mocenigo un poemetto sulla guerra di Venezia contro Ferrara. L'opera, edita da G. Praga (Un poemetto di A. C. sulla guerra di Ferrara del 1482, ibid., t. XIX [1930], 553 pp. 330-39), si compone di una epistola dedicatoria al doge, "Serenissimo Principi et excellentissimo Domino D. Ioanni Mocenico inclito Venetiarum Duci et domino suo Alovisius, Cipicus", di un poemetto costituito di 257 esametri, AloysiiCipici iurisconsulti et poetae panegyricus in Senatum Venetiarum, e di un Pronosticon formato da tre distici.
Nell'epistola è enunciata l'origine del carme, motivato da un sentimento di riconoscenza verso la Repubblica veneta, che ha suggerito al C. la composizione di un poema in cui sono esaltate le glorie di Venezia. Il C. non dimentica, infatti, gli onori derivati alla sua famiglia dalle azioni militari del padre Coriolano, il quale partecipò alla spedizione di Pietro Mocenigo, fratello di Giovanni, contro il sultano Maometto II. Per tessere gli elogi della Serenissima, il poeta prende spunto dalla guerra in corso tra Venezia e Ferrara; naturalmente egli nega ogni responsabilità dei Veneziani nel conflitto, e giustifica la politica espansionistica della Repubblica come una risposta adeguata alle provocazioni del duca Ercole d'Este, che non tollera il crescente prestigio veneziano. Ma i Veneziani hanno sconfitto i nemici ed ormai si preparano ad assediare Ferrara, invano protetta dal Po il quale è reso traghettabile con la celere costruzione di ponti. Giove ha stabilito, infatti, di accordare la vittoria a Venezia e comunica la sua decisione al dio dei fiumi, stupefatto per la violazione compiuta dagli eserciti veneti; attraverso le parole di Giove il poeta esprime un augurio finale di somma potenza alla vittoriosa Repubblica.
Il poemetto contribuì ad affermare la fama di poeta del C., che ottenne, in questo periodo, un importante riconoscimento. Morto nel 1483 il vescovo di Traù, Iacopo Torlono, il Consiglio dei nobili di Traù deliberò, nella seduta del 27 nov. 1483, di indicare il C. come suo successore. Si trattò evidentemente di una semplice designazione che doveva essere comunicata a Venezia e da qui alla S. Sede. Il desiderio della Comunità di Traù non fu esaudito ed il vicentino Leonello Chiericati diventò vescovo al posto del Cippico. Qualche anno Più tardi il C. Si recò a Roma con la speranza di essere introdotto nell'ambiente della Curia papale.
La bolla del 1° nov. 1486 con la quale Innocenzo VIII conferì al C. alcuni benefici, qualificandolo "familiaris noster", dimostra come in tale data l'aspirazione del giovane "clericus Traguriensis" si fosse ormai felicemente realizzata. Il documento segna l'inizio del rapido cursus honorum percorso dal C., il quale probabilmente era addetto alla Segreteria apostolica. Tuttavia la gratia expectativa del 1° nov. 1486 si tradusse in reale godimento solo nell'ottobre del 1488. Morto, infatti, il canonico zaratino Francesco Radich, il suo canonicato era stato conferito al canonico Bartolomeo Vitesich, in virtù di una gratia expectativa elargita lo stesso giorno di quella del C.; diconseguenza fu intentato un processo che condusse alla citazione del Vitesich a Roma, e alla richiesta del nobile zaratino ser Pietro Detrico, procuratore del C. a Zara, di essere investito del canonicato di Francesco Radich. Il 1° ott. 1488 Andrea de Romanis Taiafangis di Calabria, vicario arcivescovile di Zara, al quale fu rivolta la richiesta, constatata la regolarità delle lettere apostoliche, concesse al C. l'investitura del canonicato.
L'ottima reputazione che il C. aveva acquistato nella Curia romana favorì la sua elezione al vescovato di Famagosta nell'isola di Cipro, avvenuta il 22 ott. 1489, Il C. era stato designato dal Senato della Repubblica veneta, la quale era succeduta a Caterina Comer nel possesso dell'isola. In questa occasione l'umanista padovano Palladio Fosco scrisse al C. un encomio poetico, che fu incluso nell'edizione postuma dell'operetta De situ orae Illyrici (Romae 1540). L'innalzamento al vescovato non allontanò il C. da Roma, dove riuscì a conquistare la benevolenza del cardinale Rodrigo Borgia che, divenuto papa Alessandro VI, lo impiegò come segretario ab epistolis. Il titolo attribuito al C. dal Farlati(Illyrici sacri, V, Venetiis 1775, p. 123), per quanto inesatto, attesta certamente l'alto impiego del C. nella Cancelleria apostolica.
Una testimonianza dell'attività poetica svolta dal C. a Roma è fornita dall'epigramma che il C. scrisse per commemorare l'amico Giovanni Afitonio Quinteri, morto nel 1482. La poesia, contenuta nel cod. Vat. lat. 2874, fu erroneamente attribuita al padre del C. da Marino Statileo, che la pubblicò nella 2 ediz. dell'Apologia stampata in app. a, Integrum Titi Petromi Arbitri Fragmentum ex antiquo codice Traguriensi excriptum (Amsterdam 1670, pp. 26 s.). Il Banfi confutò l'erronea attribuzione dello Statileo, dopo l'esame complessivo degli epigrammi rinvenuti sotto le denominazioni "Cippicus" o "Cipicus" nei codici Vat. lat. 2874 e 6875.
Durante il fosco pontificato di papa Borgia, il C. attese quasi esclusivamente alle sue mansioni nella Cancelleria apostolica; solo i contatti mantenuti con gli umanisti Sigismondo da Foligno e Michele Marullo, detto il Tarcaniota, documentano come gli impegni ecclesiastici non lo avessero del tutto distolto dalla vita culturale di Roma. Nel 1494 pare che offrisse al pontefice la sua perizia letteraria per interpretare alcune lettere scritte in greco dal sultano Bāyazīd II. Ma il C. non conservò a lungo i favori di Alessandro VI che, nel 1500, gli sottrasse le rendite del vescovato di Famagosta, per motivi da noi ignorati. In seguito il pontefice Giulio II ricompensò la privazione subita dal C., nominandolo arcivescovó di Zara nel dicembre 1503. L'avvenimento fu celebrato in uno dei Carmina di Giovanni Aurelio, Augurello, editi a Venezia nell'aprile 1505.
Il C. non raggiunse l'arcidiocesi conferitagli: continuò a risiedere a Roma che attraversava un periodo di splendore sotto il pontificato di Giulio II. Nel gennaio, 1504, il Senato di Venezia ricorse alla sua mediazione per la controversia in atto con il pontefice, il quale non riconosceva alla Repubblica il possesso delle città di Romagna. Si suppone che il pontefice volesse elevare il C. al cardinalato, ma nei documenti ufficiali contemporanei non compare nulla a tale proposito.
Il C. morì a Roma il 2 marzo 1504 e fu sepolto in S. Pietro.
Fonti e Bibl.: Docum. e notizie sul C. apparvero già in D. Farlati, Illyrici sacri, IV, Venetiis 1769, p. 411; V, ibid. 1775, p. 123; poi in I. Coleti, Accessiones et correctiones all'Illyricum sacrum del P. Farlati, in Bull. di archeol. e storia dalmata. XXXII (1909), pp. 312 s.; Iohannis Burchardi liber notarum..., in Rer. Ital. Script., XXXII, 1, a cura di E. Celani, p. 552; 2, p. 436. Altri documenti ed un epigramma del C. si trovano in L. Donati, Note su A. C. da Traù (1456-1501), in Arch. stor. Per la Dalmazia, t. XIII (1933), 82, pp. 466-479; cft. inoltre G. Praga, Nuovi docc. suA. C., ibid., t. XXIX (1939), 155, pp. 403 ss.; Id., Un carme di G. Aurelio Augurello per A. C., ibid., 163, pp. 219-223. Il poemetto citato fu pubblicato da G. Praga, Un poemetto di A. C. sulla guerra di Ferrara..., ibid., IX(1930), pp. 315-339; i cod. Vat. lat. 2874 e 6875, dove sono contenuti epigrammi del C., furono editi da F. Banfi, Epigr. di A. C., ibid., t. XXVII (1938), pp. 254-265; G. Lucio, Memorie istor. di Tragurio, Venezia 1674, p. 529; G. Ferrari Cupilli, Cenni biogr. di alcuni uomini illustri della Dalmazia, Zara 1887 pp. 40 s.; C. F. Bianchi, Fasti di Zara, Zara 1888, p. 69; A. Bacotich, Traslaz. di s. Giovanni vescovo di Traù fatta li 4maggio l'anno 16881, in Arch. stor. per la Dalmazia, t. II (1927), 19, pp. 45 s.; L.Hain, Repertorium bibliographicum, 11, 2 pp. 398 s.