TESTONI, Alfredo
– Quinto figlio di Petronio, sottosegretario di prefettura, e di Giulia Bettini, nacque a Bologna l’11 ottobre 1856.
Dopo il diploma ginnasiale interruppe il liceo nel 1875 per compiere l’anno di volontariato del servizio militare, lasciato con il grado di sottotenente, e perché attratto dal giornalismo e dal teatro. Giovane di temperamento, restò ferito in duello nel 1881 a opera di un tenente che difendeva Luigi Illica, direttore del Don Chisciotte, offeso per postille ingiuriose a lui ingiustamente attribuite, e sfiorandone un secondo con Gabriele D’Annunzio nel 1901 per aver propalato notizie in anticipo sulla Francesca da Rimini dalle pagine del Resto del Carlino.
Tuttavia, la serenità vispa e ridanciana dei suoi copioni, specie quelli dialettali, la malizia bonaria e cordiale, l’inesauribile ottimismo indulgente lo resero amabile dapprima alla sala cittadina, grata per il gusto nostalgico verso la ‘Bologna che scompare’, poi all’intera platea nazionale. Una bonarietà financo stucchevole e melensa, con il gusto del lieto fine: tanto che il suo pubblico, se gli rifiutava languori di maniera, come accadde nel caso di Lucciole per lanterne, caduta nel 1877, o quelli seriosi ispirati agli ultimi lavori di Giacinto Gallina, lo ricambiò adorandolo, mentre la critica tendeva a sottolinearne i limiti.
Soprannominato ‘poeta di Bologna’ o ‘piccolo Goldoni’ – da cui prelevò le smanie della villeggiatura in I Persichetti in muntagna (1925), che esibivano ricchezze inesistenti, assieme ai traffici per fidanzare le figlie e alle servette eccitate dal carnevale –, dapprincipio Testoni licenziò anche poesiole romantiche, come Nùvl’ e srèin (1879), da cui lo liberarono i sonetti della Sgnera Cattareina, nome forse prelevato da una personale riduzione della Bisbetica domata, al debutto nel 1898, apparsa nel giornale umoristico Bologna che dorme. Costei, vecchia e linguacciuta venditrice di abiti usati, affittacamere traffichina e dalla morale elastica, confidava episodi della propria giovinezza narrando magari delle sue visite all’esposizione milanese, scandalizzata per la presenza dell’harem nel padiglione turco. A lei si univa la figlia, la Gaitàna isterica e sentimentale. Sonetti a puntate, con sproloqui di timbro portiano e chiose fielose su vita e società, sino al Romanzo della «Sgnera Cattareina» nel 1922 e nel 1930 alla commedia in lingua ma sempre con il titolo dialettale, portata in scena dalla compagnia di Sem Benelli e dove, per agevolare le peripezie amorose di un duca, la signora Caterina lo seguiva a Roma in ambiente allofono fingendosi madre di una sedicente baronessa russa.
Addestrato nei circuiti filodrammatici, alternò qualche tentativo di romanzo d’appendice (Ma!..., apparso a puntate dal 1° ottobre al 20 dicembre 1885 nel Resto del Carlino) con recite in provincia, prestandosi pure da buttafuori in scena. Tenne la critica drammatica nel foglio neoguelfo La Pace, poi cronista alla Patria, e al Capitan Fracassa a Roma, nonché presidente dell’Esposizione emiliana tra il 1887 e il 1888, da cui uscì cavaliere. Riversò altresì la sua vena umoristica nei foglietti scapigliati ebdomadari, dal 1880 al 1894 Ehi! ch’al scusa, da lui cofondato, e dal 1892 al 1897 È permesso?, in cui perfezionò versi in vernacolo.
Nel 1892, l’anno del matrimonio con Cesira Savini, famosa a Bologna per le tagliatelle, sua compagna sino alla morte in un’unione senza prole, si recò a Modena per dirigere il democratico Il Panaro (benché refrattario ai giochi e alle adesioni politiche), per passare a un altro periodico, Il marchese Colombi, settimanale umoristico. Fatto ritorno a Bologna, passò alla redazione della Gazzetta dell’Emilia, presso cui compilava i «Motivi di cronaca», e quindi al Resto del Carlino nel 1898, curando la rubrica Intermezzi e resti.
Nel 1906 si ritirò dal giornalismo militante per dedicarsi interamente al teatro. Tra il 1888 e il 1892 aveva dato vita a una compagnia stabile dialettale. Non mancarono escursioni nella librettistica da operetta con Cicì, Cocò, Cucù (1885), fiaba per bambini, e Pupazzetto (1886), sempre con musiche di Luigi Malferrari, cui seguirono reiterati tentativi di collaborazione con la produzione cinematografica su suoi soggetti. Nel 1914 si provò alla Società Ambrosio torinese con il compito di sovrintendere sceneggiature filmiche, con grandi guadagni, durando tuttavia solo un mese in questo nuovo lavoro per via della guerra. Nel 1920 divenne direttore letterario di Tacita film e di Nova film. Nel 1917 diresse la compagnia di prosa Irma Gramatica, esperienza interrotta per il crollo finanziario dell’impresario, il conte Luca Cortese. Frattanto nel 1909 e nel 1914 aveva tenuto la responsabilità artistica della compagnia dialettale presso il teatro Contavalli, la più antica sala petroniana, con il pubblico rumoroso che mangiava arance e brustolini, e dove recitavano interpreti di prima grandezza come Augusto Galli o Argia Magazzari. Nel 1923 guidò la compagnia bolognese di Angelo Gandolfi nel teatro del Corso. Con Berto Barbarani e Carlo Salustri (Trilussa) a inizio secolo si unì per declamazione a tre, in ambiti dialettali diversi, davanti a platee gremite in giro per l’Italia.
La sua drammaturgia tanto prolifica – quasi un centinaio di commedie, almeno due all’anno, con più di mille personaggi – oscillava quanto a generi tra farsa e comico-sentimentale nei tanti e differenziati studi di ambiente, tra la Bologna postcarducciana ridanciana ed epicurea, più grassa che dotta, goliardica e godereccia, le due Torri e Borgo San Pietro, i caffè all’Arena e i portici, le farse all’Arena del Sole, la querelle wagneriana e il salotto alto-borghese-aristocratico sulla scia dei modelli transalpini.
Primo successo fu L’ordinanza (1881) con filodrammatiche, poi con la compagnia nazionale di Paolo Ferrari (1883).
Un atto unico, un bozzetto sentimentale, in cui un soldatino si innamora della figlia del proprio colonnello e le spiega per lettera le sue pene amorose, che a Trieste – vivi ancora gli effetti della Grande guerra – provocò contrasti con la censura austriaca per via della presenza di bersaglieri, che avrebbero dovuto essere sostituiti con divise del Settecento; Testoni, allora, d’accordo con l’interprete Ermete Novelli non permise la messa in scena (cfr. Il Tempo, 16 dicembre 1918).
Nella produzione dialettale, rilanciata e sorretta da grandi interpreti bolognesi (come i citati Magazzari, Gandolfi e Galli) emergeva un idioma asciutto e aspro, mirabilmente funzionante anche tradotto nei vocabolari di altre regioni, in particolare la veneta. Qui, per lo più, si trattava di ceti piccolo-borghesi rispetto alla produzione in lingua, anche se molti testi vennero dall’autore sdoppiati tra un sistema linguistico e l’altro, a partire da El tropp è tropp (1878, con prologo in rima), in cui dichiarava la propria fedeltà alla parlata di Strada maggiore, in quanto il dialetto non era «brott, nuious, trivial». Seguirono la spumeggiante satira contro la bigotteria Insteriarì (1881), Scuffiareini (1882) con modiste e goliardi che si muovono attorno a Cattareina (i tipi spesso passano da un copione all’altro) e a Minghein, lei aggressiva, lui rassegnato, Pisuneint (1883) e il sequel Tòurna in scena i pisuneint (1896), centrati su dispute condominiali, La sgnera Tuda (1888), Anca nò l’Espusiziòn (1889), Mestreini (1892), con un droghiere sindaco alle prese con pettegolezzi locali, Acqua e ciacher (1899), dalla decisa progressione caricaturale, I quatrein (1913) e La fola del trei ocreini (1928), dai registri fiabeschi. E ancora Quand a i era i franzis (1926) sugli anni dell’occupazione napoleonica in città, che coniugava vernacolo a ricostruzione storica, El fnester davanti (1927) con le peripezie amorose nella casa del ricco borghese che ospita prelati in occasione del Congresso eucaristico in città. Dappertutto, grande mestiere nello spartitraffico di macchiette in punta di penna, giovanotti in fregola e pretini ingenui, femmine puntigliose e travet in bolletta, figlie che, in omaggio a Dumas fils, si chiamano Margherita, fidanzati Otello per riverenza a Tommaso Salvini, mogli ciarliere e mariti goffi, il tutto espresso in un gusto rétro ottocentesco da René Clair ‘paesano’.
Nei titoli in lingua, contesi dalle compagnie nazionali più prestigiose, ma un po’ stereotipati nell’eccessiva assimilazione della pochade francese, si susseguivano i pruriti adulterini di mariti, ricambiati di rado dalle sofferte trasgressioni delle consorti. Toni brillanti, sfoggio di facezie e di cinismi difensivi a evitare cadute nella sincerità sentimentale, stante la mondanità esibita.
Da citare: Fra due guanciali (1902), un girotondo assillante di infedeltà coniugali in appartamentini galanti, ben mimetizzate dietro la recita del perbenismo sino alla scoperta puntuale di lettere compromettenti. O ancora il coevo Quel non so che, portato alla ribalta da Virginia Reiter, con la moglie trascurata che consulta una cocotte; La scintilla (1906), in cui la moglie tradita ma compiaciuta dei successi del marito con avventuriere blasonate cede a sua volta a uno scontroso pittore; Il nostro prossimo (1910), in cui un pretino bizzarro e ingenuo, che versa in stato di indigenza, trasforma la canonica in un villino di villeggiatura per far quattrini, facendone però un ricettacolo di creature scombinate e di giovanotti in calore; Il successo (1911), dove un medico avversato per una relazione con un’oscura provinciale, viene quindi esaltato quando diviene amante di una ricca duchessa.
Testoni puntò inoltre, sulla scia di Victorien Sardou, a intrecciare il gusto dell’intrigo con ricostruzioni storiche, come in Gioachino Rossini (1908), attraverso quattro episodi della sua vita, e in Lionello Spada (1919), dedicato al pittore secentesco. In questo genere sfavillava il suo copione più fortunato, Il Cardinale Lambertini (in prima versione di cinque atti, poi di quattro), al debutto osannante il 30 ottobre 1905 al teatro Costanzi di Roma, reso da Ermete Zacconi con impareggiabile verve.
Il testo, elaborato sugli archivi alla Biblioteca dell’Archiginnasio, mostrava il protagonista latineggiare in bolognese, amante delle battute caustiche e della buona mensa, indulgente con le belle peccatrici, protettore delle arti. Ne ricostruiva le vicende dal settembre del 1739 al febbraio del 1740, con il Conclave che lo vide eletto al soglio pontificio come papa Benedetto XIV. Nel primo anno, due sole serate fruttarono un incasso di 5000 lire. Nel 1923, l’attore ne diede la millesima rappresentazione e la duemillesima dieci anni dopo. Con il denaro ricavato Testoni acquistò un’auto chiamata Lambertina.
A volte indugiò nel pastiche irriverente, come in Una partita... in mare (1892), che parafrasava quella medievale di Giuseppe Giacosa, con l’anziano che assiste dalla riva al flirt tra la giovane moglie e un aitante giovanotto. Altrove, occasionati dall’ospitalità in La lettura con tanto di illustrazioni, cedette a una vena patetica e crepuscolare, come nel delicato Le sorelle dei poveri (1927), in cui una vecchia all’ospizio non riconosce o finge di non riconoscere la giovane nipote sbucata a trovarla dopo anni di assenza, mentre una severa e imbarazzata suora francese assiste al dialogo sfasato.
Dopo insistite sofferenze causategli da angina pectoris, assistito dalla fedele Cesira e dai nipoti, figli della sorella Annetta, morì a Bologna la sera del 17 dicembre 1931.
Solo un mese prima, il 21 novembre, era andata in scena, presso il teatro del Corso di Bologna, la versione in dialetto del Cardinale Lambertini interpretata da Umberto Bonfiglioli. Ebbe sontuose onoranze funebri, con labari e gonfaloni e folla commossa. E la sua città gli dedicò una strada, dalla vecchia via Gombruti dove abitò negli anni della consacrazione e della vecchiaia, e un teatro. Ma oggi, oltre i sonetti della Cattereina e al Lambertini, gli altri testi sono precipitati nelle filodrammatiche.
Opere. Le commedie vennero edite nei primi anni della carriera da stampatori locali, come Brugnoli & figli, per passare ben presto alla Zanichelli (ma Il Cardinale Lambertini ebbe edizioni speciali con la Cappelli nel 1955 e nel 1975), per cui si vedano almeno: Teater bulgneis (I-II, Bologna 1886); Piccolo teatro (Bologna 1914); Teatro bolognese di Alfredo Testoni (Bologna 1933). Per la poesia, Sull’Appennino modenese (Bologna 1895). Per la memorialistica, Bologna che scompare (Bologna 1905); Ricordi di teatro (Bologna 1925); Aneddoti bolognesi (Roma 1929, con O. Trebbi); Ottocento bolognese. Nuovi ricordi di Bologna che scompare (Bologna 1933). Per la sua celebre maschera, Il romanzo della «Sgnera Cattareina» (Milano-Roma 1922); I sonetti della sgnera Cattareina (ed. completa, Bologna 1945).
Fonti e Bibl.: M. Sandri, A. T., Milano 1919; E.F. Palmieri, T., in Il Resto del Carlino, 30 gennaio 1942; Id., Scoperta di T., in Il Dramma, XXVII (1951), 130, pp. 36 s.; Alla memoria di A. T.: nel I centenario della sua nascita..., Bologna 1956; P.D. Giovanelli, T. a cinquant’anni dalla morte. Lettere ad A. T. sul “Cardinal Lambertini”, in Rivista italiana di drammaturgia, XVIII (1980), pp. 133-182; F. Cristofori. A. T.: la vita, le opere, la città, realizzazione grafica di P.A. Cuniberti, Bologna 1981.