PIZZONI, Alfredo
PIZZONI, Alfredo. – Nacque a Cremona il 20 gennaio 1894, figlio primogenito di Paolo, ufficiale di artiglieria, e di Emma Fanelli, crocerossina volontaria al fronte durante la prima guerra mondiale e decorata con medaglia d’argento.
Pizzoni trascorse la giovinezza nelle varie sedi di assegnazione del padre. Nel 1908 si trasferì a Pavia, dove completò il liceo, e nel 1911 a Oxford e Londra, dove svolse studi di ingegneria ed economia. Furono anni decisivi per la sua formazione, caratterizzata da un convinto patriottismo di carattere risorgimentale e da una spiccata dimensione internazionale.
Rientrò in Italia allo scoppio della prima guerra mondiale. Richiamato alle armi nel novembre del 1914, prese parte al conflitto come tenente dei bersaglieri meritando una medaglia d’argento al valor militare. Il 23 maggio 1916 fu fatto prigioniero sull’altopiano di Asiago. Dopo un fallito tentativo di fuga, fu rilasciato nel luglio 1917 in seguito a uno scambio di prigionieri. Fu quindi impiegato nel corpo di spedizione internazionale in Palestina come ufficiale di collegamento con gli inglesi.
Alla conclusione del conflitto, dopo una breve partecipazione all’esperienza di Fiume, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia, dove si laureò nel luglio 1920. Quello stesso anno fu assunto al Credito italiano e nel 1922 sposò Barbara Longa. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Paolo (1923), Franca (1926), Emma (1931), Maria Grazia (1936) e Pietro (1944).
L’avvento del fascismo fu accolto da Pizzoni con un’ostilità che fino al 1943 non si tradusse mai in un’opposizione attiva al regime. Si rifiutò però di prendere la tessera del Partito nazionale fascista, e per un certo periodo frequentò prima l’associazione di ex combattenti Italia libera e poi i circoli di Giustizia e Libertà. Il mancato allineamento al fascismo non produsse particolari conseguenze fino al 1930, quando determinò il suo licenziamento da parte del Credito italiano. L’istituto tuttavia lo riassunse quello stesso anno nella sede periferica di Biella. Il ritorno a Milano avvenne solo nel 1933, dopo che ebbe infine accettato di iscriversi al Partito e in seguito all’interessamento del maresciallo Emilio De Bono, compagno di accademia e vecchio amico del padre. Nel 1936 fu promosso e trasferito alla sede di Venezia prima e a quella di Genova dopo.
Pur essendo contrario all’entrata in guerra dell’Italia e pensando che il Paese non avesse alcuna possibilità di vittoria contro la Gran Bretagna, allo scoppio del secondo conflitto mondiale Pizzoni rinunciò all’esonero che gli spettava quale dirigente bancario e padre di, allora, quattro figli. All’origine di questa decisione vi era la convinzione che all’inevitabile sconfitta sarebbe seguito il crollo del regime, e che la situazione a quel punto caotica dovesse essere presa in mano da elementi della borghesia che avessero maturato un’esperienza bellica in posizioni di comando. Richiamato come maggiore dei bersaglieri nell’estate del 1941, fu successivamente imbarcato per il fronte africano con una parte del battaglione al suo comando. Il 23 gennaio 1942 il convoglio fu attaccato da aerosiluranti inglesi e la motonave «Victoria», che lo aveva a bordo, fu affondata. Alfredo Pizzoni seppe organizzare un’ordinata calata in mare dei suoi uomini dotati dei soli salvagenti, non essendoci scialuppe a disposizione. Un terzo dei bersaglieri perse la vita prima di raggiungere le navi di scorta e lui stesso riuscì a stento a salvarsi dopo alcune ore passate in acqua. Per il suo comportamento durante l’evacuazione ricevette la medaglia di bronzo al valor militare. Rimpatriato dalla Libia e operato d’ernia, riprese il suo posto al Credito italiano, dove tornò, questa volta alla sede milanese, nell’ottobre del 1942.
Nella primavera del 1943 riprese i contatti con gli ambienti dell’antifascismo milanese frequentando in particolare il liberale Giustino Arpesani e il socialista Roberto Veratti. Dopo la caduta del fascismo prese stabilmente parte come membro esterno alle riunioni del comitato interpartitico stabilitosi a Milano, del quale a fine agosto assunse il ruolo di presidente con l’incarico di coordinatore dei lavori. Quando, immediatamente dopo l’8 settembre, l’organismo fu ridenominato Comitato di liberazione nazionale (CLN) di Milano poi Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), ne venne riconfermato alla presidenza come membro indipendente, carica che ricoprì, con il nome di battaglia di Pietro Longhi, operando in clandestinità fino all’aprile del 1945.
Il contributo dato da Pizzoni alla lotta di liberazione può essere riassunto in tre elementi.
In primo luogo svolse un ruolo fondamentale nel mantenere l’equilibrio all’interno del comitato, la cui vita era resa spesso difficile dai contrasti tra i partiti di sinistra e la componente moderata.
In secondo luogo fu responsabile dei rapporti tra il comitato e gli alleati angloamericani. A suggerire la sua designazione in questa posizione furono determinanti la sua conoscenza della lingua inglese e del mondo anglosassone, la posizione di equidistanza dai partiti che rivestiva in quanto membro indipendente, nonché il tentativo del Partito comunista di bilanciare attraverso la sua persona il ruolo di primo piano rivestito fino a quel momento in questo campo da Ferruccio Parri.
Nel corso del conflitto svolse quattro missioni di collegamento con gli Alleati, di cui due in Svizzera e due nell’Italia liberata. Le motivazioni ideali prepolitiche e patriottiche che stavano all’origine del suo impegno clandestino gli guadagnarono la fiducia dei suoi interlocutori, spesso sospettosi degli esponenti di partito. Si recò per la prima volta in Svizzera tra il 29 marzo e il 5 aprile 1944 per negoziare un primo accordo finanziario con i rappresentanti dei servizi segreti alleati. Svolse quindi un secondo viaggio il 23 ottobre, per concordare l’invio di una delegazione del CLNAI che prendesse direttamente contatto con i comandanti alleati nel Sud Italia. La delegazione, guidata da lui stesso e della quale facevano parte anche Ferruccio Parri, Giancarlo Pajetta ed Edgardo Sogno, giunse nell’Italia liberata il 14 novembre e fu impegnata in numerosi colloqui con esponenti dei servizi segreti, dei comandi militari e del governo italiano. Nel corso della missione furono negoziati i termini di un accordo con il quale gli Alleati riconobbero al CLNAI il ruolo di guida del movimento partigiano nell’Italia occupata. L’accordo, di cui Pizzoni fu il primo firmatario, venne siglato il 7 dicembre 1944 a Roma con il comandante supremo delle forze alleate nel Mediterraneo generale Henry Maitland Wilson. Il giorno successivo, a Caserta, firmò un importante protocollo finanziario attraverso il quale fu accordato al Comitato un finanziamento di centosessanta milioni mensili. Qualche mese dopo, nell’aprile del 1945, guidò una seconda missione al Sud per trattare un rinnovo della convenzione finanziaria, eventualità che però non si concretizzò per la fine del conflitto.
In terzo luogo Alfredo Pizzoni si incaricò della gestione finanziaria del CLNAI, preoccupandosi fin dall’inizio di raccogliere i finanziamenti necessari alla vita dell’organismo e al sostegno della lotta partigiana. In un primo periodo tale attività fu possibile soprattutto grazie alle entrature di cui godeva nel mondo bancario e industriale della borghesia milanese e lombarda. Quando i bisogni si fecero più grandi, la maggior parte dei fondi venne garantita grazie agli accordi con gli alleati angloamericani. Decisivo si rilevò il suo ruolo nel trasferire al Nord le somme stanziate in seguito al protocollo di Caserta del dicembre 1944. In questo caso, il rapporto privilegiato che intratteneva con i vertici del Credito italiano e della Banca commerciale italiana permisero di perfezionare un meccanismo incentrato su giroconti tra le sedi romane e quelle milanesi dei due istituti basati sulla garanzia del suo solo nome, senza che tali movimenti venissero contabilizzati e suscitassero il sospetto delle autorità fasciste e tedesche.
La sua permanenza alla guida del CLNAI si concluse il 27 aprile 1945, quando fu sostituito dal socialista Rodolfo Morandi. Ufficialmente tale decisione venne motivata dalla necessità di avere un rappresentante di partito alla testa dell’organismo al momento della liberazione, nonché dall’adesione di Pizzoni al partito fascista nel 1933. In sostanza, il cambio di vertice rappresentava il tentativo del Partito comunista, del Partito socialista e del Partito d’azione di dare al comitato una linea politica decisamente orientata a sinistra nel momento in cui questo si apprestava a esercitare il suo peso sulla scena politica del dopoguerra. Pizzoni, spogliato anche del diritto di far parte del CLNAI come semplice membro, fu nominato presidente della commissione centrale finanziaria del comitato e delegato temporaneo ai rapporti con gli Alleati. Entrambi gli incarichi ebbero vita breve. Profondamente amareggiato dal trattamento riservatogli al momento della Liberazione, si allontanò dalla vita politica alla quale non volle più prendere parte.
Il 6 agosto 1945 fu nominato presidente del Credito italiano, incarico che mantenne fino alla morte. Nel dopoguerra fu anche membro dei consigli di amministrazione di diverse società (tra le quali la Vizzola, la SIP e il Banco Italo-Belga), presidente della casa editrice Selezione dal Reader’s Digest e del comitato provinciale milanese della Croce rossa italiana.
Nel 1948 venne insignito della Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile statunitense, dopo aver ricevuto la Bronze Star Medal dal generale Mark Clark nel 1945, e nel 1953 fu insignito del titolo di cavaliere di gran croce della Repubblica italiana. Venne inoltre nominato cavaliere della Legion d’onore francese.
Raccolse i ricordi della sua partecipazione alla Resistenza in un volume che però, per sua espressa volontà, sarebbe dovuto andare in stampa non prima di venticinque anni dalla sua morte: temeva infatti che i giudizi molto duri su alcuni dei membri del Comitato potessero in qualche modo danneggiare l’immagine della Resistenza e del movimento partigiano nel suo complesso (A. Pizzoni, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, Bologna 1995). In sede di disposizioni testamentarie, chiese di essere sepolto in una semplice cassa di quattro assi di legno e avvolto nella mantella da bersagliere, come si usava con i soldati al fronte. Morì a Milano il 3 gennaio 1958.
Fonti e Bibl.: M. De Leonardis, La Gran Bretagna e la resistenza partigiana in Italia (1943-1945), Napoli 1988; P. Chessa - R. De Felice, Rosso e Nero, Milano 1995; G.E. Rusconi, Resistenza e postfascismo, Bologna 1995; E. Galli Della Loggia, La morte della patria: la crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Roma 1996; U. Finetti, La Resistenza cancellata, Milano 2003; T. Piffer, Il banchiere della Resistenza: A. P. il protagonista cancellato dalla guerra di liberazione, Milano 2005.