CASELLA, Alfredo
Nacque a Torino il 25 luglio 1883 da Carlo e Maria Bordino. Negli anni trascorsi nella città natale (fino al 1896) non frequentò, neanche saltuariamente, scuole o conservatori e anche in seguito, pur avendo frequentato corsi regolari al conservatorio di Parigi, si considerò sempre un autodidatta. L'educazione di base e i primi insegnamenti musicali li ricevette dai genitori: imparò il francese dal padre, violoncellista di notevole fama e titolare della cattedra di violoncello al conservatorio G. Verdi di Torino; cominciò lo studio dei pianoforte e di altre materie letterarie con la madre, allieva di Carlo Rossaro, "donna di eccezionale personalità..." (come si legge nell'autobiografia del C., I Segreti della giara, p. 22) e di grande cultura. Ma soprattutto il C., dotato di un'intelligenza straordinariamente ricettiva e avendo avuto "la singolare fortuna di crescere in un ambiente eccezionalmente musicale...", assorbi profondamente gli stimoli e l'atinosfera culturale della sua casa, frequentata da personalità ed artisti come Galileo Ferraris, Giuseppe Martucci e il famoso violoncellista Alfredo Platti, suo padrino di battesimo.
Attratto per qualche tempo anche dagli studi scientifici, verso i 10-11 anni il C. decise di dedicarsi esclusivamente alla musica e infatti, il 15 apr. 1894, seguendo tra l'altro il consiglio e l'incitamento del Platti e di Martucci, che lo avevano sentito suonare, tenne il suo primo concerto pubblico al Circolo degli artisti di Torino e, nell'aprile 1896, si esibì nuovamente (appena dodicenne, come era scritto nella locandina del concerto) al teatro Carignano, dove suonò con l'orchestra anche il Concerto in re min. di Mozart e il Capriccio brillante di Mendelssohn. Circa in questo stesso periodo prese qualche lezione di pianoforte da Federico Bufaletti e cominciò con Giovanni Cravero gli studi di armonia, che riprese poi a Parigi.
Nel 1896 infatti la madre, consigliata dal Martucci e da A. Bozzini (direttore del conservatorio di Milano) che avevano giustamente individuato nella Francia, più che in Germania, il centro di un rinnovamento musicale, decise - nonostante le ristrettezze finanziarie determinate dall'infermità del padre (che morì infatti nell'agosto di quell'anno) - di trasferirsi a Parigi per consentire al figlio di proseguire gli studi musicali in un ambiente meno provinciale e ricco di fermenti. Il 2 nov. 1896 il C. si iscrisse al conservatorio di Parigi: ammesso nella classe di pianoforte tenuta da L. Diémer, frequentò - dapprima come uditore e, dal 1898, come allievo regolare - il corso di armonia e contrappunto di X. Leroux ("Questi mi insegnò così bene i dogmi scolastici che dovetti faticare poi per oltre dieci anni a fine di sbarazzarmi di tutto il gigantesco bagaglio di regole da quel maestro inoculatemi..." - scrisse poi il C. in 21 + 26, p. 12); quindi, a partire dal 1901, le lezioni di composizione tenute da G. Fauré ("... veramente la grande esperienza scolastica del C." - la definì il Mila, in Chigiana, p. 21), che esercitò una influenza altamente benefica sulla formazione definitiva del C. il quale, più tardi, scrisse: "Fauré era un meraviglioso maestro, per quanto irregolare ed insofferente di ogni regola burocratica. E molto imparai avvicinando quello spirito così mirabilmente equilibrato e classico, così personale ad un tempo e pur rispettoso dell'originalità latente in certi discepoli... (21 + 26, p. 13).
A questo periodo risale la conoscenza del C. con Zola, Gide, Proust, Daudet, Degas; la stretta amicizia con suoi condiscepoli del conservatorio come J.-J. Roger-Ducasse, C. Koechlin e soprattutto G. Enescu e Ravel; l'incontro, infine, con lo scontroso Debussy, che riuscì ad avvicinare più volte e con il quale suonò spesso a quattro mani.
Dopo aver vinto il secondo premio del conservatorio al concorso di pianoforte (luglio 1898), il C. cominciò a farsi conoscere nell'ambiente artistico parigino come accompagnatore del baritono buffo Antonio Baldelli, con il quale collaborò per molti anni e dal quale dichiarò in seguito di aver appreso moltissimo: "Ed è certo" - scrisse ne ISegreti..., pp. 72 s. - "che debbo in gran parte a quella stessa lezione il profondo amore mio per l'arte rossiniana... e quel vivo senso comico-grottesco che costituisce una parte cospicua dell'arte mia". Negli anni successivi vinse a Parigi numerosi concorsi: il primo premio di pianoforte (luglio '99); il secondo premio di armonia (giugno 1900); il secondo premio di un concorso bandito da Le Figaro, con una delle sue prime composizioni (la Pavane per pianoforte, 1902) e, l'anno successivo, un altro preniio conferito da una rivista musicale parigina alle Variations sur une chaconne per pianoforte e alla lirica La cloche fêlée (subito pubblicate dall'editore Mathot).
Conclusa a 19 anni la sua formazione scolastica, il C. iniziò la carriera di pianista al Casinò di Dieppe dove, nell'estate 1902, venne scritturato da P. Monteux e dove, occasionalmente, fece le sue prime esperienze come direttore d'orchestra. Dopo un breve e infruttuoso soggiorno a Londra, nel 1906 entrò a far parte - come clavicembalista - della Société des instruments anciens di H. Casadesus con la quale, per circa tre anni, fece numerosi concerti in tutta Europa. Unitosi in matrimonio con Hélène Kahn nel 1907, fece nuove conoscenze nel mondo artistico europeo (M. Balakirev, N. Rimskij-Korsakov, l'esordiente Stravinskij, A. Glazunov, ecc.), conobbe e si interessò a lungo di R. Strauss e in particolare di G. Mahler, del quale patrocinò per primo e con entusiasmo la conoscenza di molte opere ancora sconosciute in Francia e dal quale venne presentato alla casa editrice Universal Edition di Vienna, che avrebbe in seguito pubblicato molte opere del C.: amicizia e ammirazione profonde delle quali si ebbe una testimonianza pubblica nel 1921 quando, in occasione dell'esecuzione al Concertgebouw di Amsterdam dell'opera omnia mahleriana voluta da A. Mengelberg, al C. venne richiesto di tenere il discorso ufficiale.
Proseguì saltuariamente l'attività di direttore d'orchestra (che doveva riprendere con maggior impegno negli anni della maturità) e, nel 1911, venne nominato segretario della Société musicale indépendante fondata da Ravel e altri musicisti e presieduta da G. Fauré, principalmente allo scopo di far conoscere e organizzare concerti di musiche contemporanee: nel febbraio del 1914 il C. infatti - poco prima di abbandonare l'incarico - organizzò alla Salle des Agriculteurs un concerto dedicato alle opere della giovane scuola italiana e nel quale, per la prima volta all'estero, venivano presentate musiche di I. Pizzetti, G. F. Malipiero, V. Davico, G. Ferrante, G. Bastianelli e del C. stesso. Rifiutata sempre nel 1911 la cattedra di pianoforte al conservatorio di Parigi (per non essere costretto a prendere la cittadinanza francese), il C. accettò però la supplenza della classe di pianoforte tenuta da A. Cortot, che mantenne per tre anni.
In questo periodo si dedicò sempre più assiduamente alla prediletta attività di compositore, riprese a presentarsi come pianista solista, collaborò per un anno (1913) come critico musicale alla rivista di G. Clémenceau L'Homme libre:proseguì soprattutto con entusiasmo e fiducia assoluta l'opera di diffusione e conoscenza delle opere più significative di musicisti dell'avanguardia musicale, in particolare di compositori italiani. E all'Italia, dove già parecchi mesi prima che scoppiasse la prima guerra mondiale il C. aveva deciso di far ritorno, rivolse sempre più spesso l'attenzione e la sua attività di concertista e di animatore musicale, non preoccupandosi, apparentemente, dei contrasti e delle accoglienze fredde e spesso tumultuose che doveva riservargli l'assai conservatore e provinciale ambiente musicale e culturale italiano.
Invitato nel dicembre 1914 dalla Associazione di amici della musica di Torino per dirigere un concerto di musiche classiche e moderne (Liszt, Chopin, Albeniz, Granados, Chabrier, Debussy e Ravel), nel febbraio del 1915 tenne il suo primo concerto - come direttore - all'Augusteo di Roma (dove diresse anche, alla presenza dell'autore, Petruèka di Stravinskij) e - come pianista - alla Accademia di S. Cecilia. Nel luglio di quello stesso anno, dopo la morte di G. Sgambati, gli venne affidata la cattedra di pianoforte al conservatorio di S. Cecilia di Roma (carica che mantenne fino al '22, quando dovette abbandonarla per i suoi sempre più frequenti viaggi all'estero) e a Roma appunto, nell'ottobre 1915, fissò definitivamente la sua residenza: dopo circa venti anni di permanenza in Francia, il suo ritorno venne salutato da molti "come l'aprirsi di una finestra in una casa rimasta chiusa per tanti anni...", (G. M. Gatti, in Musical Quarterly, XXXIII [1947], p. 406). Rifacendosi all'analoga esperienza francese, nel 1917 il C. fondò (insieme con Respighi, Pizzetti, Malipiero, C. Perinello, V. Gui, V. Tommasini e altri), la Società nazionale di musica (poi denominata Società italiana di musica moderna), che si proponeva "... la difesa e la diffusione delle opere di giovani compositori... la cura del patrimonio artistico del passato... e le relazioni musicali con l'estero" (come venne illustrato da Pizzetti in occasione del concerto inaugurale, tenutosi a Roma il 16 marzo 1917). Per fiancheggiare le iniziative della Società, nel luglio di quello stesso anno cominciò ad uscire la rivista musicale Ars nova, alla quale collaborarono anche pittori e scrittori italiani e stranieri (tra gli altri, G. Papini, C. Carrà, G. De Chirico, A. Savinio, L. Laloy ecc.): entrambe le iniziative non ebbero lunga durata (si conclusero nel 1919), ma anziché scoraggiarlo, sembrarono rafforzare il C. nel lungo, difficile e faticoso cammino intrapreso e nella volontà di aprire nuovi orizzonti alla società musicale e culturale del suo tempo.
Divorziato dalla prima moglie e risposatosi, nel 192 1, con la sua allieva Yvonne Müller (da questo secondo matrimonio doveva nascere nel 1928 l'unica figlia del C., Fulvia), intensificò le sue tournées all'estero sia come direttore d'orchestra sia come pianista (attività che continuò ininterrottamente fino al 1942): soprattutto negli Stati Uniti, dove il 28 ott. 1921 fece la sua prima apparizione con la Philadelphia Orchestra nella triplice veste di compositore, direttore e pianista e dove, nel 1927, firmò un contratto triennale per dirigere i concerti popolari della Boston Symphony Orchestra. Nel frattempo, comunque, non tralasciava di prendere altre iniziative musicali, ognuna delle quali lasciò un segno incancellabile nella storia della cultura italiana del suo tempo e nelle generazioni di musicisti che vennero formandosi in quegli anni.
Nel 1923 il C., insieme con Malipiero e con il patrocinio di G. D'Annunzio, fondò la Corporazione delle nuove musiche (che divenne, per richiesta di E. J. Dent, che ne era il presidente, la sezione italiana della Società internazionale per la musica contemporanea, di recentissima istituzione), che ebbe in Elizabeth Sprague Coolidge e in R. Gualino dei generosi mecenati e nel C. un animatore entusiasta e infaticabile, oltre che il direttore e collaboratore della rivista dell'organizzazione (La Prora, che uscì a partire dal 1924). Al C. va riconosciuto il merito di aver organizzato, nel 1924, l'esecuzione in molte città italiane del Pierrot Lunaire di Schoenberg e nello stesso anno di aver diretto personalmente, per la prima volta in Italia, L'Histoire du Soldat di Stravinskij e, in occasione del sesto Festival della Società internazionale di musica contemporanea (S.I.M.C.), tenutosi per sua iniziativa a Siena nel settembre del 1928, Les Noces dello stesso autore: più in generale, fu merito della Corporazione delle nuove musiche l'aver invitato in Italia compositori come Bartók e Hindemith e aver fatto conoscere le opere di A. Honegger, D. Milhaud, E. Bloch, Z. Kodaly, F. Poulenc, Ravel e di giovani musicisti italiani come A. Veretti, V. Rieti, M. Labroca, V. Mortari e tanti altri ancora. Rimasta autonoma fino al 1928, in seguito l'organizzazione si ridusse al ruolo di sezione italiana della S.I.M.C., della quale il C. continuò ad essere il segretario fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Un segretario che continuò a comporre sempre nuove opere, che venivano eseguite nelle sale più prestigiose del mondo (spesso con lo stesso autore alla direzione dell'orchestra o al pianoforte) e che continuò instancabilmente a viaggiare da un continente all'altro, guidato sempre da una curiosità intelligente e dall'interesse per ogni nuova esperienza e per quanto di meglio (e non solo di nuovo) veniva prodotto da ogni scuola e da ogni ambiente.
Per questa sua molteplice e "vulcanica" attività (come la definì Malipiero) gli vennero conferite, in un lungo arco di tempo, numerose onorificenze: il 12 giugno 1926 ricevette la Legion d'onore; nel '27 venne nominato membro onorario del Sindacato sovietico di belle arti; nel maggio 1930 diventò membro ad honorem della American Academy of Arts & Sciences di Boston e nell'ottobre '34 ricevette dalla Elizabeth Coolidge Foundation una medaglia per "eminent services to chamber music..."; nel 1937 venne infine nominato membro straniero della Académie des Beaux-arts di Bruxelles, al posto di Giazunov. Nel 1927, intanto, la sua Serenata, op. 46 (per clarinetto, fagotto, tromba, violino e violoncello) aveva vinto - exaequo con il terzo quartetto di Bartók - il premio di musica da camera indetto dalla Musical Fund Society di Filadelfia, che aveva giudicato quest'opera "un autentico modello di stile puramente italiano, sia per la forma, sia per lo spirito sia, infine, per la caratteristica continua melodiosità del discorso musicale".
Neanche la sua attività di coerente e lucido organizzatore musicale conobbe soste: nel settembre 1930 organizzò il primo Festival internazionale di musica contemporanea a Venezia, che tante polemiche doveva suscitare e che contribuì largamente a procurargli, in un periodo di patriottismo obbligatorio, l'accusa di esterofilia e a scatenargli contro una pesante campagna diffamatoria (condotta in particolare da due giornali dell'epoca, Il Pérseo e Tevere), che andò aggravandosi negli anni seguenti per motivi razziali (la moglie del C., infatti, era di origine ebraica). Collaboratore, consigliere e per molti anni vicepresidente del Festival, nel 1937 il C. ne assunse la presidenza (che dal 1930 al '36 era stata di A. Lualdi), insieme con M. Corti. Nel dicembre del 1930 fondò inoltre il Trio Italiano (con A. Poltronieri e A. Bonucci), per un decennio uno dei più acclamati complessi da camera internazionali e, nel 1931, diventò condirettore della rivista romana L'Italia letteraria (carica che mantenne fino al 1936).
In questi anni gli vennero affidati nuovi e impegnativi incarichi, che appesantirono la sua già molto intensa attività: assunse, nel 1932, l'incarico del corso di perfezionamento di pianoforte presso l'Accademia di S. Cecilia e - per una sola stagione - la direzione artistica dell'Accademia filarmonica romana; nel 1934, succedendo al maestro C. Gouvierre, cominciò presso l'Accademia Chigiana di Siena il corso estivo di pianoforte che manterrà fino ai primi sintomi della malattia, nel 1942 (dal 1938 al '40 aveva tenuto a Siena anche un corso di direzione d'orchestra e, nel 1940, il nuovo corso di estetica, storia e cultura musicale). Ed è a Siena, appunto, che nel 1939 riuscì a fondare - contando sull'appassionato contributo del conte G. Chigi Saracini, per altro apertamente ostile ad "ogni modernità in Arte e specie per la Musica e per i cosidetti musicisti moderni..." (che definiva "non Artisti, ma soltanto farmacisti, cioè manipolatori di "formule" al di fuori di ogni ispirazione...") quelle famose Settimane senesi, grazie alle quali il C. riuscì a dare un apporto decisivo (nei quattro anni che le diresse) alla conoscenza di un illustre e dimenticato patrimonio musicale italiano: a Vivaldi infatti venne dedicata la prima edizione; agli Scarlatti (Alessandro e Domenico, ma anche Pietro, Francesco e Giuseppe) la seconda; ai musicisti veneziani dei secc. XVI-XVIII (i Gabrieli, Monteverdi, Cavalli, Torelli, Bassani, Steffani, ecc.) la terza; a Pergolesi la quarta.
Colpito da grave malattia a Siena nell'estate del 1942, il C. rinunciò al corso di perfezionamento in pianoforte ("... per la prima volta nella mia esistenza" - scrisse in una lettera di commiato dai suoi allievi - "la salute - quella infallibile salute che fu sempre il segreto della mia intensa operosità - mi ha tradito... In questa condizione, d'accordo col nostro Fondatore Presidente abbiamo chiamato a sostituirmi il mio carissimo collega ed amico Guido Agosti... Sono certo che egli saprà conservare al vostro corso quel doppio carattere di alta serietà ma anche di luminosa serenità che è sempre stata la mia preoccupazione e caratteristica nel guidarvi... Del resto, anche nel silenzio della mia cameretta d'infermo, io sarò sempre presente in ispirito fra voi, e gli echi lontani della vostra musica, della vostra gaiezza mi aiuteranno a meglio sopportare questa prova..."). Le operazioni (una prima nel settembre 1942, un altro intervento nel giugno dell'anno successivo), le sofferenze atroci, l'obbligata - anche se non continua - immobilità non ebbero però il sopravvento sull'energia, la volontà e la tenacia che avevano caratterizzato tutta la sua vita: in quella sua "cameretta d'infermo" non doveva giungere soltanto l'eco e la gaiezza lontana di musiche fatte altrove, ma la musica stessa - nelle forme più diverse e più consone alla imprevista e dura ma non vittoriosa sua condizione di malato - doveva riempirla con la sua presenza, come sempre. Facendo tesoro di ogni momento di minimo benessere, circondato da amici e discepoli che gli rimasero vicini non per pietà ma pel desiderio di partecipare ancora e fino all'ultimo a quel mondo d'infinita, generosa e vitale cultura e di una umanità riservata ma generosissima, il C. continuò a dare lezioni di pianoforte nella sua casa, continuò - saltuariamente - a dirigere dei concerti, compose alcune delle sueopere più impegnate (ad esempio, la Missa Solemnis Pro Pace, del 1944, un atto di speranza e di vita nel momento in cui le truppe tedesche abbandonavano la città): continuò soprattutto, instancabilmente, la sua opera di revisione ed edizione critica di grandi musicisti del passato (Bach, Mozart, Chopin, ecc.).
Fece la sua ultima apparizione in pubblico, come pianista, in un concerto dell'Accademia filarmonica romana (della quale aveva accettato - nonostante la gravità del suo stato di salute - la direzione artistica per la stagione 1946-47) che ebbe luogo al teatro Eliseo di Roma l'11 febbr. 1947: soltanto poche settimane prima della sua morte, avvenuta in una clinica romana (dove era stato sottoposto ad un nuovo intervento chirurgico) la mattina del 5 marzo di quello stesso anno.
Delle composizioni originali del C. ricordiamo: 1) per pianoforte: Valse-caprice e Pavane, op. 1 (1901-02); Variations sur une chaconne, op. 3(1903); Toccata, op. 6(1904); Sarabande, op. 10 (1908); Notturnino (non oltre il 1909); Berceuse triste, op. 14 (1909); Barcarola, op. 15 (1910); A la manière de..., 1a serie, op. 17 (non oltre il 1911); A la manière de..., 2a serie, op. 17 bis (non oltre il 1913: in collaborazione con M. Ravel); Nove pezzi, op. 24 (1914): In modo funebre, In modo barbaro, In modo elegiaco, In modo burlesco, In modo esotico, In modo di nenia, In modo di minuetto, In modo di tango, In modo rustico; Sonatina, op. 28 (1916); A notte alta, op. 30 (1917); Deux contrastes, op. 31 (1916-18: Grazioso [Hommage à Chopin], Antigrazioso); Inezie, op. 32 (1918); Prélude, valse et ragtime per piano automatico, op. 33 (1918); Cocktaildance (1918); Undici pezzi infantili, op. 35(1920: Preludio, Valse diatonique, Canone, Bolero, Omaggio a Clementi, Siciliana, Giga, Minuetto, Carillon, Berceuse, Galop finale); Due canzoni italiane, op. 47, elaboraz. di canti popolari (1928: Ninna nanna, Canzone a ballo); Due ricercari sul nome BACH, op. 52 (1932: Funebre, Ostinato); Sinfonia, arioso e toccata, op. 59 (1936); Ricercare sul nome Guido M. Gatti (1942); Sei studi, op. 70 (1942-44: Sulle terze maggiori, Sulle settime maggiori e minori, Di legato sulle quarte, Sulle none ribattute. Sulle quinte [Omaggio a Chopin, n. 2], Perpetuum mobile [Toccata]). 2) Per pianoforte a quattro mani: Pagine di guerra, op. 25, trascritte nel 1918 per orchestra (1915: quattro film musicali: Nel Belgio: sfilata di artiglieria pesante tedesca; In Francia: davanti alle rovine della cattedrale di Reims; In Russia: carica di cavalleria cosacca; In Alsazia: croci di legno); Pupazzetti, op. 27 (1915: Marcetta; Berceuse; Serenata; Notturnino; Polka, trascritte nel 1918per nove strumenti); Foxtrot (1920; trascrizione dell'op. 34, n. 5). 3) Liriche per canto e pianoforte: Cinq lyriques, op. 2 (1902: Larmes; C'était un songe; Temps de neige; Rêverie; Nuageries); La cloche fêlée, op. 7 (1903; testo di Ch. Baudelaire); Trois lyriques, op. 9 (1905: Soleils couchants; Soir païen; En ramant, su testi di Verlaine, A. Samain e J. Richepin); Sonnet, op. 16 (1910; testo di P. de Ronsard); Due canti, op. 21 (1913: Pianto antico; Il Bove, testo di G. Carducci); Deux chansons anciennes, op. 22 (1913: Rêves d'or pour ton sommeil; Flaïolet, testi di anonimo, sec. XVII); L'adieu à la vie, op. 26 (1915: O toi, suprême accomplissement de la vie; Mort, ta servante est à ma porte; A cette heure du départ; Dans une salutation suprême, testo di R. Tagore, traduz. A. Gide); Tre canzoni trecentesche, op. 36 (1923: Giovane bella, luce del mio core; Fuor della bella gaiba; Amante sono, vaghiccia, di voi, testi di Cino da Pistoia e anonimo); La sera fiesolana, op. 37 (1923: testo di G. D'Annunzio); Quattro favole romanesche, op. 38 (1923: Er coccodrillo; La carità; Er gatto e er cane; L'elezzione der presidente, testi di Trilussa); Due liriche, op. 39 (1923: Voluttà; La danza, testi di R. Olkienizkaja-Naldi); Tre vocalizzi (1929); Ninna-nanna, corbellina (1934: elaboraz. d'un canto popolare genovese); Tre canti sacri, op. 67 (1943: Ecce odor filii mei; Respice, Domine, familiam tuam; Ecce Deus, Salvator meus, testo dalla Gen., XXVII, 27-28 e da Is., XII, I, 2-6). 4) Composizioni vocali con orchestra: Notte di maggio, op. 20 (1913: testo di G. Carducci); Canto e ballo sardo, per coro e orchestra da camera (1937); Missa Solemnis Pro Pace, per soprano, baritono e coro, op. 71 (1944). 5) Composizioni per orchestra: Prima Sinfonia in si min., op. 5 (1905-06); Seconda Sinfonia in do min., op. 12 (1908-09); Italia, op. 11, rapsodia su temi meridionali (1909); Suite in do magg., op. 13 (1909-10); Le Couvent sur l'eau, fragments symphoniques, op. 19 (1912-13: Marche de fête; Ronde d'enfants; Barcarolle-Sarabande; Pas des vieilles dames; Nocturne. Danse, tratti dalla commedia coreografica citata oltre, op. 18); Elegia eroica, op. 29 (1916; "alla memoria di un soldato morto in guerra"); La Giara, op. 41 bis, suite dalla commedia coreografica (1924: Preludio, Danza siciliana; La storia della fanciulla rapita dai pirati; Danza di Nela; Brindisi; Danza generale; Finale); Marcia rustica, op. 49 (1929; "per le nozze della principessa di Piemonte"); La Donna serpente, op. 50 bis, suite sinfonica, 1a serie (1932: Musica del sogno di re Altidor; Interludio; Marcia guerriera); La Donna serpente, op. 50 ter, suite sinfonica, 1a serie (1932: Sinfonia; Preludio; Battaglia e finale); Introduzione, corale e marcia, op. 57, per ottoni e percuss. (1931-35); Introduzione, aria e toccata, op. 55 (1933); Concerto, op. 61 (1937); Sinfonia, op. 63 (1939-40); Paganiniana, op. 65, divertimento su temi di N. Paganini (1942); Concerto, op. 69, per archi, timpani e batteria (1943). 6) Composizioni per strumenti solisti e orchestra: Partita, op. 42, per pianoforte (1924-25); Concerto romano, op. 43, per organo (1926); Scarlattiana, op. 44, divertimento su temi di D. Scarlatti per pianoforte e trentadue strumenti (1926); Concerto in la min., op. 49, per violino (1928); Concerto, op. 56, per pianoforte, violino e violoncello (1933); Notturno e tarantella, op. 54, per violoncello (1934); Concerto, op. 58, per violoncello (1934-35);7)Balletti: Le Couvent sur l'eau, op. 18, commedia coreografica in 2 atti (Milano, teatro La Scala, 7 febbr. 1925: scenario di J. L. Vaudoyer); La Giara, op. 41, commedia coreografica in due atti (Parigi, théâtre des Champs-Elysées, 19 nov. 1924: scenario del C., da una commedia di L. Pirandello); La Camera dei disegni, op. 64, balletto infantile in un atto per orch. da camera (Roma, teatro delle Arti, 28 nov. 1940; scenario di A. M. Milloss); La Rosa del sogno, op. 66, balletto in un atto, su musiche di N. Paganini (Roma, teatro dell'Opera, 16 marzo 1943: scenario di A. M. Milloss). 8) Opere teatrali: La Donna serpente, op. 50, fiaba in tre atti e un prologo (Roma, teatro dell'Opera, 17 marzo 1932, libretto di C. V. Ludovici, da C. Gozzi); La Favola d'Orfeo, op. 51, opera da camera in un atto (Venezia, teatro Goldoni, 6 nov. 1932, libretto di C. Pavolini, da A. Poliziano); Il Deserto tentato, op. 60, mistero in un atto (Firenze, teatro Comunale, 6 maggio 1937, libretto di C. Pavolini). Il C. fece anche delle riduzioni per pianoforte di numerosi autori: L. Ch. Bruneau (pezzi vari, rispettivamente del 1897, 1901 e 1905); G. Mahler (Settima Sinfonia, per pianoforte a quattro mani, 1910);L. van Beethoven (Le nove sinfonie, per pianoforte a quattro mani, 1924).
Delle sue trascrizioni, elaborazioni e revisioni ricordiamo: Islamey di M. Balakirev (1907, strumentato per grande orchestra dall'originale per pianoforte); Grande marcia, op. 40 n. 3 e Marcia militare, op. 51 n. 3 di F. Schubert (1911, strumentate per orchestra dall'originale per pianoforte a quattro mani); Rapsodia spagnola, op. 70 di J. Albéniz; (1922, strument. per pianoforte e orchestra dalla versione per due pianoforti di Albéniz); Russian Lullaby di I. Berlin (1929, orchestrazione dall'originale per complesso jazz); Toccata, bourrée et gigue di D. Scarlatti (1932, per piccola orchestra); Sonata a tre, per flauto, violino e clavicembalo in Das musikalische Opfer di J. S. Bach (1933; trascrizione per violino, violoncello e pianoforte ed interpretazione del continuo originale); Sonata in la magg. per violino, violoncello e pianoforte di G. Sammartini (trascrizione di quattro tempi scelti dalle Sonate notturne nn. 2, 3 e 5 dell'op. 6, per 2 violini e basso); Ciaccona di J. S. Bach (1935; interpretazione orchestrale dall'originale per violino solo); Sinfonia in do magg., n. 1 di M. Clementi (1935, ricostruita e completata); Sinfonia in re magg., n. 2 di M. Clementi (1935, revisione); Trio in re magg., op. 28 n. 2 di M. Clementi (1935, revisione ed elaborazione); 9 concerti ed altre opere di A. Vivaldi (1936-43: versioni pianistiche, revisioni, elaborazioni); Due sonate di D. Scarlatti (1940, elaborazione); Quarta sonata in la min. per flauto, archi e cemb. di A. Scarlatti (1940, elaborazione); Salmo "Laetatus sum"di C. Monteverdi (1941, elaborazione); Concerto grosso in sol magg., op. 8 di G. Torelli (1941, elaborazione); Sonata a tre in la min. di G. B. Bassani (1941, elaborazione); Sonata in do magg., n. 3 di G. Rossini (1942, revisione).
Il C. curò inoltre l'edizione delle seguenti opere: Préludes-Valses-Nocturnes di F. Chopin (1914); Sonate per pianoforte di Beethoven (1919, in 3 voll.); Sonate per cembalo di Frescobaldi (1928); Il clavicembalo ben temperato, Invenzioni a due voci, Invenzioni a tre voci, Suites francesi, Suites inglesi, Concerto italiano, 23 pezzi facili, Fantasia cromatica e fuga di J. S. Bach (postume); Notturni -Valzer-Studi-Preludi-Impromptus-Ballate e fantasie di Chopin (postume); Sonate e fantasie di Mozart (2 voll., postume) e, infine, Quadri di una esposizione di Mussorgskij.
Oltre ad aver collaborato regolarmente a periodici musicali come L'Homme libre (1913), Ars nova (1917-19), La Prora (1924), The Christian Science Monitor di Boston (1924-29) e L'Italia letteraria (1931-36) e, saltuariamente, a numerose altre riviste italiane e straniere, il C. scrisse anche le seguenti opere letterarie: L'evoluzione della musica a traverso la storia della cadenza perfetta (Londra 1923); Igor Stravinski - profilo (Roma 1926); 21 + 26 (Roma-Milano 1931, raccolta di articoli); Il Pianoforte (Roma 1937); ISegreti della giara (Firenze 1941, autobiografia); G. S. Bach (Torino 1942); Strawinski (Brescia 1947, testo completamente nuovo rispetto a quello del '28); Beethoven intimo (Firenze 1949, una vita del maestro attraverso il suo epistolario); La tecnica dell'orchestra moderna (Milano 1950, in collaboraz. con V. Mortari).
A proposito dell'opera del C. scriveva R. Vlad: "Dovrebbe essere universalmente noto che l'attività di Alfredo Casella fu una delle più feconde e multilaterali che un musicista italiano abbia mai esplicato. Infatti, egli non si limitò ad influenzare il corso della storia musicale italiana mediante le virtù intrinseche delle proprie opere, ma agì anche direttamente sulla vita culturale del paese attraverso una instancabile, varia e feconda opera di studioso, trascrittore, esecutore, insegnante, organizzatore, scrittore, promotore e anzi tutto animatore" (in Symposium, p. 115). A sua volta il C., in una lettera a G. F. Malipiero dell'ottobre 1928, aveva scritto: "Tu sai che il mio lavoro intensissimo non deriva affatto da sete di arrivare, ma da necessità naturale di indole, portata sin dalla nascita verso una continua e multiforme operosità..." (Malipiero, p. 188).
Un'idea di questa "continua e multiforme operosità", caratterizzata da un ritmo travolgente ma, nello stesso tempo, da un metodo severo e rigoroso, da un accento di verità, di rassicurante convinzione ed incrollabile ottimismo ("...scrupolo, intelligenza, onestà professionale informarono sempre la sua operosità, il suo modus operandi...", scrive il Gatti, in Encicl. storica, p. 811), la si può ricavare, anche senza altro commento, dai dati biografici e dal vastissimo elenco delle sue opere.
Basterà quindi sottolineare semplicemente che due furono le linee direttive lungo le quali il C. si mosse e portò avanti le sue battaglie più impegnate, con entusiasmo sincero e senza vuoti opportunismi: da un lato, un interesse istintivo, una curiosità lucida e spregiudicata verso tutto cio che di essenzialmente originale e profondamente innovatore potesse manifestarsi nella vita musicale del suo tempo; dall'altro, la volontà combattiva e polemica, ma anche ferma e serena, di sprovincializzare la cultura musicale italiana (troppo a lungo legata alla pur gloriosa tradizione melodrammatica del passato degenerata, al presente, nell'esperienza verista) e il desiderio - maturato sin dalla prima giovinezza - che una nuova civiltà strumentale risorgesse anche in Italia. Un linguaggio nuovo, uno stile strumentale che doveva essere capace di assorbire le istanze più vive delle correnti musicali contemporanee, ma che poteva e doveva recuperare i suoi valori di "italianità" e gli elementi espressivi fondamentali nel glorioso e autenticamente italiano patrimonio strumentale del Sei-Settecento.
In questo senso, e avendo presente questa prospettiva, si comprende l'incessante impegno del C. nel far conoscere, apprezzare ed eseguire le musiche stilisticamente più interessanti di compositori italiani e stranieri del suo tempo, individuando con intelligente perspicacia (e incoraggiando con ogni mezzo) le prove e i tentativi di avanguardie effettivamente portatrici di idee originali. E, nello stesso tempo, si spiegano gli sforzi per rintracciare e portare nuovamente alla vita una tradizione nazionale (che riscattasse, tra l'altro, la conservatrice società musicale italiana da una ammirata e passiva subordinazione alla grande musica romantica tedesca): sforzi che lo portarono a lunghe ricerche, nelle biblioteche e negli archivi di tutto il mondo, e alla scoperta di materiale e documenti su grandi maestri della storia musicale italiana come Vivaldi, Scarlatti, Pergolesi, Clementi e numerosi altri, che conobbero infatti l'inizio di una nuova vita e di un interesse critico, soprattutto nelle Settimane senesi fondate dal Casella.
In questo senso, in particolare, si può meglio comprendere e formulare un giudizio sulla vastissima produzione del C. compositore. Un compositore "tardivo" - come egli stesso amò definirsi ("...di quelli che realizzano i loro veri valori verso la quarantina...") - del quale acutamente E. J. Dent aveva detto: "...è il musicista italiano che meglio ha aiutato i suoi giovani connazionali a trovarsi uno stile, ma che viceversa ha maggiormente faticato a scoprire il proprio..." (citato in 21 + 26, p. 24). Il C. in effetti non trovò facilmente la sua strada e cambiò stile più volte - non già per semplice curiosità intellettualistica ma quasi un cammino obbligato nell'evoluzione del suo pensiero estetico - perché, come giustamente notava il Mila, l'aspetto più inconfondibile e vivo della sua arte va cercato proprio nel "gusto dell'avventura stilistica, inquietudine costante, ricerca insoddisfatta del nuovo..." (cfr. Symposium, p. 32).
Ricerca affannosa di uno stile "ad un tempo italiano ed europeo" (come scrisse il C.) che non sempre trovò nelle sue opere una prova artisticamente valida e convincente, ma che costituì comunque una testimonianza di ineguagliabile e straordinaria incisività.
Seguendo una consuetudine tanto diffusa quanto troppo schematica e riduttiva, molti studiosi hanno voluto individuare tre periodi o, meglio, tre stili nella produzione caselliana: che invece, a giudizio del Gatti, sarebbe più corretto considerare come "un insieme senza soluzioni di continuità interiore, un arco alle cui strutture contribuiscono in ugual misura elementi già presenti nelle opere giovanili e in quelle dette "sperimentali" ..." (ibid., p. 813).
Nel primo periodo sono state individuate influenze esercitate sul giovanissimo compositore italiano dai modelli più diversi (R. Strauss, Mahler ecc.) ed una propensione non già verso Debussy e l'impressionismo ("Quando lasciai il Conservatorio parigino" - si legge in 21 + 26, pp. 13 s. - "ero definitivamente orientato verso un'arte anti-impressionistica..."), bensì verso quei modi lineari e contrappuntistici che il C. tanto aveva ammirato nelle musiche di Ravel e che, nelle sue composizioni, vennero trasposti "su di un piano di spiccato nitore, di chiarezza e razionalità". Oltre ad alcune opere per pianoforte (Pavane, op. 1; Ciaccona, op. 4; Toccata, op. 6; Sarabanda, op. 10), devono essere ricordati i primi lavori orchestrali del 1909 e cioè la Suite in do magg. e la rapsodia Italia, composta sull'onda dell'entusiasmo per Albéniz e nella volontà di creare "un sinfonismo spiccatamente nazionale". Se nel primo pezzo troviamo già presenti procedimenti tipici di opere più mature e, soprattutto, quella che Mila definisce la "schiarita melodica: cioè l'improvvisa fioritura d'un melodizzare dolce e riposato a metà d'un'irruente frase ritmica..." (in Symposium, p. 35), nel secondo invece - accanto a reminiscenze di Strauss e Rimskij-Korsakov - si trovano usati (in forme a volte ingenue e non perfettamente assimilate) canti popolari tratti dal folklore del Meridione d'Italia. Passaggio obbligato questo, secondo il C., che infatti scrisse a tale proposito: "Era normale che, volendo creare una musica nostra, chiedessi appoggio... al folklore nazionale. È questa una fase del nazionalismo che caratterizza sempre gli albori delle nuove scuole oppure i primi passi di personalità che cercano appunto di creare uno stile nazionale..." (ISegreti..., p. 130). L'inizio del secondo periodo dell'arte caselliana si fa generalmente risalire alla composizione di Notte di maggio del 1913 che, nonostante la presenza qua e là "di qualche debussysmo ed anche di qualche strawinskismo...", rivela già la tendenza dell'artista a liberarsi "completamente dalla vecchia armonia cromatico-romantica, ed a far largo uso di nuovi procedimenti politonali" (Cfr. 21 + 26, p. 16).
Cominciò allora (e proseguì per un decennio circa) un momento per il C. di tormentata crisi spirituale, di nuove esplorazioni nell'ambito del linguaggio musicale, di esasperazione armonica che si manifestò in particolare nei Nove pezzi per pianoforte (1914), nelle Pagine di guerra (1915, appassionata accusa contro gli orrori del conflitto bellico), nei Pupazzetti (1916, per pianoforte a quattro mani), in Adieu à la vie (1915)e nella Sonatina op. 28 (1916):composizioni nelle quali il C. stesso dichiarava essere manifesta la crisi che travagliava allora la sua coscienza di artista, "crisi che aveva soprattutto la sua origine nel dubbio tonale che Schoenberg... aveva determinato in me. Nella Sonatina soprattutto la dodecafonia si affaccia alle porte. Tuttavia è anche evidente che la mia natura italiana mi difese sino all'ultimo contro una tendenza che - per quanto ammirassi - non poteva essere la mia..." (I Segreti..., p. 184).
Il superamento di questa fase armonicoespressionista, di questo travagliato momento di sperimentazione stilistica in direzione di una semplificazione armonica e di una chiara e lineare melodicità, si rivela già in due composizioni del 1920(Cinque pezzi per quartetto e Undici pezzi infantili)che segnano un mutamento radicale di maniera "nel senso di una definitiva eliminazione di ogni fastidiosa retorica armonica, del ritorno ad un franco diatonicismo ed agli accordi consonanti..., di una freschezza melodica infine che poteva dirsi veramente italiana" (21 + 26, p. 23).
Le opere composte attorno al 1923(le Tre canzoni trecentesche, le Quattro favole romanesche, il Concerto per quartetto ecc.) segnano l'inizio della cosiddetta esperienza neoclassica del C., il faticoso raggiungimento di una meta (la vera musica italo-moderna) dopo tante "tappe più o meno felici di un ventenne travaglio" (secondo la definizione del Casella). Sono opere nelle quali si delinea chiaramente l'adesione, in forma di rifacimento stilistico rispettoso ma ricco di allusioni burlesche ed ironiche, a forme musicali preesitenti che si fondono con elementi tratti dalle esperienze musicali contemporanee, l'affermazione di uno stile personale di grande sobrietà e autenticamente "nazionale" (ritorno al passato, ricordava Gatti, certamente incoraggiato "dalla particolare atmosfera... che gravò sull'Italia durante i vent'anni di dittatura fascista...", ma che non deve far dimenticare le aspirazioni in questa direzione manifestate dal C. sin dalla giovinezza, in tempi cioè non sospetti): uno stile intessuto di sereno ottimismo, di straordinaria vivacità ritmica, di grande interesse per il fattore timbrico.
A questo periodo appartengono - per citarne solo alcune - opere come La Giara (1924, balletto, composto per i Ballets Suedois diretti da R. de Maré, di spirito e forme tipicamente italiane nel quale ogni elemento popolare viene rivissuto con poetica originalità); Scarlattiana (1926);la prima opera teatrale La Donna serpente (1928-31, opera nella quale sembrano confluire tutte le precedenti esperienze stilistiche del C. e che, nelle parti concertanti dell'orchestra - alla quale la voce si unisce in modi che si rifacevano a forme cinquecentesche - trova l'espressione più riuscita). Opere che sono indubbiamente tra le cose migliori del C. perché - per usare le parole di F. D'Amico - "il pastiche, o più genericamente, l'ironia e il divertimento stilistico, furono i luoghi tipici in cui il C. adempi alla sua funzione di riattivare una coscienza strumentale italiana in modo omogeneo all'Europa del tempo..." (I casi della musica, p. 467).
A queste, altre opere fecero seguito (Due ricercari sul nome BACH, 1932; il Concerto per trio e orchestra, 1933 ecc.) nelle quali prese forma l'altra tendenza fondamentale del C. in questo periodo: quella cioè verso una tessitura musicale lucidamente contrappuntistica (che si rifaceva ai modelli di Bach, di Scarlatti, ecc.) e di straordinaria essenzialità sonora. Di questo stile - è stato scritto - si deve ammirare e lodare "la bella, italiana chiarezza, la tecnica - sia armonica che contrappuntistica che orchestrale - perfetta e brillantissima sempre, e quel senso di architettura in grande, solidamente piantata, armonicamente sviluppata e proporzionata nei suoi elementi costitutivi, quel senso che solo gli spiriti molto colti, gli intelletti molto "informati" e aperti posseggono..." (Lualdi, p. 67).
Di questo stile, delle tante esperienze diverse ma pur collegate tra loro da tratti e temi costanti, si troverà espressione infine (una espressione più umana ed interiore) nelle ultime e severe composizioni del C., dai Tre canti sacri (1943, la prima opera a carattere religioso) alla Missa Solemnis Pro Pace dell'anno dopo, che può essere considerata il testamento artistico del Casella.
Un ultimo cenno sembra opportuno su altri due aspetti fondamentali dell'attività del C.: quella di pianista e quella di trascrittore.
Nel primo caso, di un interprete che conosceva il suo strumento come forse nessun altro dei suoi contemporanei e che sentiva una profonda affinità con le musiche di Scarlatti, di Bach, di Mozart o anche Debussy; di un esecutore di "infallibile sicurezza interpretativa" - è stato detto - che nulla concedeva all'effetto virtuosistico (ed anzi osteggiava duramente, negli scritti e nella pratica, quelle esecuzioni "manierate, sentimentali, disordinate ed l'autobiografiche "...disgraziata eredità della decadenza romantica...") ma che, con sobria misura, semplice naturalezza e profondo pudore, riusciva a donare ad ogni interpretazione un'impronta di intensità profonda, una bellezza e limpidezza di tocco che in parte gli derivavano dalla consuetudine parigina con Alfred Cortot. Al quale appunto dedicò il libro Il Pianoforte, dove può leggersi: "E allora ti ricorderai pure del giovane italiano... che veniva sovente a chiedere alla tua maggiore esperienza alcuni di quei preziosi consigli che aveva invano cercato presso il suo maestro ufficiale... Se pure tu non fosti mai per me un vero e proprio insegnante in regola, debbo dire che i tuoi consigli e il tuo esempio ebbero un'altissima, decisiva influenza sulla mia formazione pianistica, influenza della quale sempre ti ho serbato, ed ognora conserverò, una profonda riconoscenza" (pp. 11 s.).
Nel secondo caso, nel campo cioè della trascrizione o, meglio, dell'"arte della trascrizione", come il C. volle sempre definirla (attività strettamente collegata a quella creatrice) non sembra inopportuno rifarsi nuovamente alle parole chiarificatrici del C., che scriveva nello stesso libro: "Per ben definire che cosa sia la trascrizione..., occorre ricordarsi che il fatto musicale è il concretamento di un sentimento (o intuizione) in una forma che potremmo chiamare provvisoria, che sarebbe quella del documento manoscritto o stampato, dal quale poi l'interprete ricava la forma definitiva e sola vivente dell'intuizione originale che non è altro che l'esecuzione... Dobbiamo adesso ammettere che nell'interprete risorga e riviva il sentimento del compositore, ed è questo il caso dell'interpretazione normale, vale a dire dell'esecuzione. Ma può anche avverarsi il fatto che chi legge il medesimo documento originale senta poi la necessità di dare a quel sentimento che rivive nel suo spirito, una nuova forma musicale. E qui nasce appunto la trascrizione musicale, che non può mai essere una copia dell'originale, ma una sua speciale "interpretazione"... di quella col nuovo contributo della cultura, del senso critico, del gusto, della personalità insomma del trascrittore..." (Il Pianoforte, p. 178).
Scritti e affermazioni teoriche che potevano anche sconcertare ma che trovano però il loro giusto valore ed un sicuro inquadramento critico nella realtà stessa delle trascrizioni caselliane che, sin dal tempo di Islamey (1907, se non cronologicamente, di certo la prima trascrizione che riveli alcune delle qualità peculiari del C. in questo campo) fino alla famosa trascrizione della Ciaccona di Bach (1936), si rivelano sempre e innanzi tutto "opera di vita", di eccezionale validità storica, costantemente valorizzate - come affermava il C. - da un amore immenso, da una religiosa venerazione e, potremmo aggiungere, da una cultura musicale vissuta integralmente.
Bibl.: Per un elenco dei numerosissimi articoli pubblicati sul C. da riviste italiane e straniere, rimandiamo al numero speciale della Rassegna musicale e al Symposium (curato da F. D'Amico e G. M. Gatti) dedicati a questo autore rispettiv. nel 1943 e nel 1958. Ricordiamo inoltre: B. Barilli, A. C., in Il sorcio nel violino, Milano 1924, pp. 31 ss.; G. M. Gatti, Musicisti moderni d'Italia e di fuori, Bologna 1925, pp. 23 ss.; H. Mersmann, Die moderne Musik seit der Romantik, Potsdam 1927, p. 152; L. Cortese, A. C., Genova 1930; A. Lualdi, Il rinnovamento musicale italiano, Milano-Roma 1931, pp. 65 ss., G. Pannain, Musicisti dei tempi nuovi, Torino 1932; H. Fleischer, La musica contemporanea, Milano 1938, pp. 204 ss.; D. De' Paoli, La crisi musicale italiana, Milano 1939, passim; M. Mila, "La Donna serpente" di A. C., Milano 1942; La Rassegna musicale, XVI (1943), fascicolo maggio-giugno dedicato al C. (articoli di G. De Chirico, M. Mila, G. A. Gavazzeni, A. Mantelli, G. Rossi-Doria, E. Zanetti, F. D'Amico, D. Alderighi, M. Labroca); M. Mila, Cent'anni di musica mod., Milano 1944, pp. 197 ss.; G. Confalonieri, Bruciar le ali alla musica, Milano 1945, pp. 175 ss.; F. Abbiati, Storia della musica, V, Milano 1946, pp. 184 ss.; G. A. Gavazzeni, Il suono è stanco, Bergamo 1950, pp. 283 ss.; A. Della Corte-G. Pannain, Storia della musica, III, Torino 1952, pp. 1823 ss. e passim; B. Rondi, La musica contemp., Roma 1952, pp. 83 ss.; G. A. Gavazzeni, Musicisti d'Europa, Milano 1954, pp. 158 ss.; D. Maxwell White, A. C., London 1954; P. Collaer, La musique moderne, Paris-Bruxelles 1955, pp. 274 ss. e passim; A. Loewenberg, Annals of Opera, I, Genève 1955, coll. 1419 s., 1436; A. Savinio, Scatola sonora, Milano 1955, pp. 170 ss.; R. Vlad, Modernità e tradiz. della musica contemporanea, Torino 1955, ad Ind.; A. C.-Symposium, a cura di F. D'Amico-G. M. Gatti, Milano 1958; G. Chigi Saracini, Ricordanze, in Quaderni dell'Accad. Chigiana, XXXVIII, Siena 1958, pp. 35 ss.; F. K. Prieberg, Lexikon der neuen Musik, München 1958, pp. 71 ss. e passim;R. Vlad, Storia della dodecafonia, Milano 1958, pp. 194 ss. e passim; Twientieth Century Music: a Symposium, a cura di R. Myers, London 1960, pp. 156 ss. e passim;J. Machlis, Introduction to contemporary music, New York 1961, pp. 247 s. e passim;F. D'Amico, I casi della musica, Milano 1962, pp. 462 ss. e passim;C. Samuel, Panorama de l'art musical contemp., Paris 1962, ad Ind.; M. Mila, Breve storia della musica, Torino 1963, pp. 419-21, 437 ss. e passim;W. W. Austin, Music in the 20th Century, New York 1966, pp. 421 ss. e passim;G. F. Malipiero, II Filo d'Arianna, Torino 1966, pp. 559-96 e ad Ind.;G. M. Gatti, A. C., in La Musica. Encicl. storica, Torino 1966, I, pp. 811-24; A. Caselli, Catalogo delle opere liriche pubblicate in Italia, Firenze 1969, p. 94; A. Gentilucci, Guida all'ascolto della musica contemporanea, Milano 1969, pp. 106 ss.; N. Slonimsky, Music since 1900, Kassel-London 1971, ad Indicem;G. Manzoni, Guida all'ascolto della musica sinfonica, Milano 1973, pp. 104 ss.; Storia della Musica di Oxford, X, Milano 1974, pp. 276 s. e passim; A. C. a 25 anni dalla morte, in Chigiana, n. s., XXIXXXX (1975), 9-10, (articoli di L. Alberti, M. Mila, G. Turchi, R. Vlad, F. D'Amico, F. Nicolodi e A. Basso); H. Redlich, A. C., in Musik in Gesch. und Gegenwart, II, coll. 882 ss.; Enc. d. Spett., III, coll. 168-74; Grove's Dictionary, II, pp. 106 ss..