VARANO, Alfonso
VARANO, Alfonso. – Nacque a Ferrara il 13 dicembre 1705 – discendente diretto di quei duchi di Varano che fino ai primi anni del Cinquecento avevano dominato su Camerino e che, cacciati dal Valentino, si erano stabiliti alla corte degli Estensi – da Giulio, già capitano nel reggimento Varano al servizio del duca di Mantova, e da Ippolita Camilla Brasavola, appartenente a un’illustre famiglia ferrarese. Morta quest’ultima nel 1706 ed entrati i due fratelli di lui maggiori di età, ancora giovanissimi, in un convento dei benedettini, Varano venne collocato dal padre presso il collegio dei nobili a Modena nel 1715, dove rimase fino al 1722.
Proprio in quegli anni, per la precisione dal 1710 al 1723, lavorò nel collegio modenese come insegnante l’abate Girolamo Tagliazucchi; sotto la sua guida, Varano compose i primi versi che gli valsero nel 1722 la nomina a principe dell’Accademia di lettere, istituita nel collegio medesimo. Acclamato poeta sin dalla sua adolescenza, Varano ritornò alla sua città natale nel 1723. Già fin dai primi mesi del 1724, si ritrovò iscritto all’Accademia degli Intrepidi e poi subito dopo all’Arcadia, con il nome di Odinto Olimpico. Pur non partecipando alle dispute e alle contese satiriche, così in voga in quella stagione letteraria, Varano non disdegnò di darsi saltuariamente alla lirica erotica, discostandosi in questo dagli insegnamenti austeri di Tagliazucchi. In questo periodo, compose alcune egloghe che contribuirono ad aumentare la sua notorietà, tra cui Incantesimo, recitata dallo stesso poeta all’Accademia degli Intrepidi nell’ottobre del 1724.
Da questo momento la sua attività poetica procedette senza soste, in una continua ascesa. Basti pensare che il cardinale Cornelio Bentivoglio, futuro dedicatario della terza Visione, gli inviò il manoscritto della Tebaide di Stazio, tradotta in versi sciolti, per ottenerne un parere. Nello stesso anno, l’Accademia della Crusca lo nominò tra i suoi membri e i suoi versi, apprezzati ormai anche fuori dalle mura di Ferrara, comparvero nella maggior parte delle raccolte del tempo. Varano, in quel tempo, scrisse rime d’occasione per nozze e investiture talari, compose inoltre le prime Visioni in terza rima di argomento mitologico. In questa fase, Carlo Innocenzo Frugoni gli commissionò un canto per le nozze di Antonio Farnese con la principessa Enrichetta d’Este; il marchese Ippolito Bentivoglio ottenne per il suo matrimonio con la marchesa Maria Anna Gonzaga una canzone che Varano, da poco entrato nella Crusca, sottopose prima all’approvazione dei colleghi. Per la festa della Vergine, nel 1724, la cittadinanza di Ferrara lo pregò di scriverne in versi le lodi e, nel giorno di s. Chiara, l’eponima Accademia lo incaricò ufficialmente di pronunciare il panegirico della santa. Tuttavia, un’indole schiva aveva contraddistinto il poeta ferrarese già durante la giovinezza. Trascorse gran parte del proprio tempo tra i suoi interlocutori gesuiti, con i quali discusse delle Sacre Scritture, ma anche a proposito delle polemiche del tempo, dei libri di scienza e di viaggi, di cui la biblioteca varaniana fu fornitissima. Frutto degli anni di studio appassionato e di una più intensa applicazione intorno ai propri versi, fu la tragedia Demetrio, che, abbozzata sin dalla prima gioventù, venne portata a compimento nel 1749 e dedicata a Federico, principe reale di Polonia ed ereditario di Sassonia, il quale lo ricambiò con un dono di preziose porcellane.
Nei cinque anni seguenti attese alle Visioni sacre e morali, alcune delle quali cominciarono ad assumere forma definitiva, e pubblicò nel 1754 la tragedia Giovanni di Giscala dedicata a Benedetto XIV. Terminate definitivamente, nel 1766, le sue Visioni, si ritirò nel suo palazzo di S. Spirito, dove intrattenne rari e selezionatissimi scambi con il mondo esterno. Il percorso compositivo delle Visioni sacre e morali di Varano si articolò lungo il tempo di un’elaborazione assai complessa, rallentata da continui ripensamenti, da inopinate pause, dovute tra l’altro alla cura profusa dall’autore nella stesura dei testi teatrali che gli dettero notorietà e fama.
L’attività drammaturgica coinvolse il poeta ferrarese sino agli ultimi anni di vita, stando a una lettera a Saverio Bettinelli pubblicata da Calcaterra (1912), eppure Varano ritenne le dodici Visioni sacre e morali, nell’ambito di un repertorio pur vasto ed eterogeneo, le sue «opere più care» (ibid., p. 143). La consapevolezza di dover proteggere l’esito di un impegno mirato in primo luogo alla propria realizzazione spirituale (le Visioni rappresentarono, infatti, un preciso itinerario dalla prigionia del peccato alla finale salvezza in Dio) si coniugò con una considerazione della propria superiorità artistica, rivelatasi nel rifiuto aristocratico del facile plauso cui molti suoi contemporanei anelarono.
In tutte le analisi critiche che lo riguardarono, Varano fu considerato sempre estraneo al contesto del secolo dei Lumi, quasi un singolare e attardato campione dello spirito della Controriforma in opposizione al montante razionalismo di stampo francese. In realtà, rispetto a una tendenza poetica piuttosto uniforme, quale fu quella arcadico-metastasiana del Settecento, occorre rilevare che Varano dimostrò di possedere una coscienza ben poco nitida delle elaborazioni filosofiche ed estetiche dei maestri dell’Encyclopedie, tanto da non poterlo riconoscere strenuo oppositore della pensée des lumières.
Frattanto lavorò alacremente sul fronte teatrale con altre tragedie: Il Demetrio (1749), Agnese martire del Giappone (1783), Saeba regina di Ginge di Taniorre (edita postuma nel 1825); e con il dramma per musica I fratelli nemici (edito postumo nel 1825). La pubblicazione senza preavviso, nel 1780, di tre suoi componimenti nelle Rime degli Arcadi, a opera di Gioacchino Pizzi, allora custode generale dell’Accademia, che commise l’errore di storpiare il nome arcadico di Varano (Odinto in Odimo), provocò una sua risentita risposta. Tuttavia, l’incidente venne ricomposto in qualche modo, se è vero che Varano rimase nel novero degli Arcadi sino alla sua morte.
Colto negli ultimi anni da quasi assoluta sordità, rimase ancora più isolato. In questo tempo, cedendo a malincuore, e con molti rimorsi tardivi, al desiderio di coloro che vollero vedere riuniti in un corpo unico gli inediti e le opere disseminate in varie raccolte a stampa, trattò con Giovan Battista Bodoni, famoso tipografo di Parma, per la loro pubblicazione. «Nell’agosto del 1785, Bodoni pubblicò un manifesto di associazione che doveva anche servire come saggio del sesto e dei caratteri, promettendo in esso le opere annotate dal Varano in tre volumi di una splendidissima edizione» (Cambini, 1904, p. 120). Ma i sottoscrittori, per l’eccessivo costo dell’opera, non risultarono in numero sufficiente da esaudire le richieste esose dello stampatore che abbandonò il progetto. Le opere di Varano vennero pubblicate postume nel 1789, seguendo il testo preparato per l’editore Bodoni, nonostante il poeta, profondamente insoddisfatto di esso, attendesse fino agli ultimi istanti della sua vita a una stesura ulteriore e profondamente rinnovata delle Visioni sacre e morali.
Indebolito da febbri improvvise e violente, si spense il 18 giugno 1788 all’età di ottantatré anni.
Opere. Giovanni di Giscala tiranno del tempio di Gerusalemme, Venezia 1754; Opere poetiche (I, Rime giovanili, pastorali, sacre, profane, anacreontiche e scherzevoli; II, Visioni sacre e morali; III, Tragedie. Demetrio, Giovanni di Giscala tiranno del tempio di Gerusalemme, Agnese martire del Giappone), Parma 1789; Demetrio. Tragedia. Gli epitidi. Tragedia. Donna Caritèa. Tragedia. Gabriella di Vergy, Venezia 1799; Opere, Venezia 1805; Opere scelte, a cura di F. Reina, Milano 1818; Visioni sacre e morali, a cura di R. Verzini, Alessandria 2003; Visioni sacre e morali, a cura di S. Strazzabosco, Parma 2007.
Fonti e Bibl.: L. Cambini, A. V. poeta di Visioni, in Atti e memorie della Deputazione ferrarese di Storia patria, XV (1904), pp. 65-241; C. Calcaterra, A.V. e Saverio Bettinelli, in Rivista d’Italia. Lettere, scienza ed arte, XV (1912), 1, pp. 137-143; Id., L’ideologia illuministica negli studi linguistici italiani della seconda metà del Settecento, in Ricerche nuove. Lezioni di storia della lingua italiana, Bologna 1946, pp. 5-36; W. Binni, Preromanticismo italiano, Napoli 1947, pp. 114-118; C. Calcaterra, Il Barocco in Arcadia, Bologna 1950; W. Binni, La letteratura del secondo Settecento fra illuminismo, neoclassicismo e preromanticismo, in Storia della letteratura italiana. Il Settecento, a cura di E. Cecchi - N. Sapegno, VI, Milano 1968, pp. 509-704; A.M. Mazziotti, Carte varaniane nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro, in Rassegna della letteratura italiana, LXXXII (1978), 1-2, pp. 127-135; Ead., Per una rilettura delle Visioni di A. V., ibid., LXXXV (1981), 1-2, pp. 114-130; D. Capodarca, La biblioteca del V.: archeologie e visioni malinconiche tra i segni della nuova cultura dei lumi, in Rinascimento e Arcadia nella vita letteraria ferrarese del Settecento, Modena 1986; T. Matarrese, Storia della lingua italiana. Il Settecento, Bologna 1993; L. Serianni, Sul dantismo di A. V.. Rilievi linguistici, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXXIII (1996), pp. 25-64; S. Buccini, Sentimento della morte dal Barocco al declino dei lumi, Ravenna 2000; D. Tomasello, Il lume di Uriele e il secolo dei lumi: le “Visioni sacre e morali” di A. V., in Studi e problemi di critica testuale, LXVIII (2004), pp. 97-120.