STRIGGI (Striggio, Striggis), Alessandro (Sandrino) juniore
STRIGGI (Striggio, Striggis), Alessandro (Sandrino) juniore. – Nacque a Mantova, probabilmente nel 1573, ultimo figlio maschio dell’omonimo compositore e strumentista (v. la voce in questo Dizionario) e della liutista e cantante Virginia Vagnoli. Nel 1614, nella memoria lapidea che egli dettò per la cappella di famiglia in S. Maria della Carità a Mantova (Kirkendale, 1993, pp. 79 s.), si dichiarava quarantunenne. Come per il genitore, fonti e documenti oscillano nella declinazione del cognome al singolare e al plurale.
Nel 1584, insieme con il padre, il ragazzo si fece apprezzare dal duca Alfonso II d’Este in Ferrara, probabilmente come cantante, e nel 1585 in Mantova lo sentì Anna Caterina Gonzaga, l’arciduchessa d’Austria, che volentieri l’avrebbe preso a servizio. In dicembre di quell’anno il padre inviò a Ferrante II Gonzaga, conte di Guastalla, due madrigali di «Sandrino» (non si sa se versi o musica), e il 29 agosto 1587 scrisse al granduca Francesco de’ Medici che «Sandrino mio figlio non meno nelle lettere che nella musica va [...] di giorno in giorno acquistando» (Butchart, 1990, p. 69).
Morto il genitore il 29 febbraio 1592, Striggi juniore curò la stampa postuma del terzo, quarto e quinto libro di madrigali (Venezia, Gardano, 1596-1597; i primi due recano sue dediche rispettivamente ai duchi di Mantova e di Ferrara). Il 10 ottobre 1593 chiese a un segretario del duca il permesso di lasciare Mantova per un triennio, per studio (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 2661). Nel 1598 si addottorò in diritto canonico e civile nell’Università di Bologna, e in una data imprecisata, «studiata giurisprudenza, fu ascritto ad alunnum collegium doctorum iudicum Mantuae» (ibid., C. D’Arco, Documenti patrii raccolti da Carlo d’Arco, Annotazioni genealogiche di famiglie mantovane, VII, p. 88). Nel 1601 prese parte al viaggio di Ungheria come segretario del duca Vincenzo Gonzaga. Nel 1608 Federico Follino lo chiama «gentiluomo della camera e del consiglio del duca di Mantova» (Solerti, 1904-1905, III, p. 275). Nel corso dei due decenni seguenti ascese per gradi la gerarchia di corte: primo consigliere del principe Francesco IV Gonzaga come governatore del Monferrato (autunno del 1609); conte di Corticelle (l’odierna Cortiglione, nel Monferrato; 2 giugno 1611); presidente del magistrato ducale (1613); ambasciatore a Milano (1612 e 1617-18); consigliere di Stato (1624); gran cancelliere (1625); marchese di Corticelle (2 gennaio 1628). Nel 1627-29 contrattò con un mercante fiammingo di stanza a Venezia, Daniel Nijs (Nys), la vendita di una cospicua parte della collezione di dipinti e sculture dei Gonzaga a Carlo I d’Inghilterra. Nella guerra di successione mantovana, scoppiata nel 1628, negoziò sostegni militari e politici per il ducato, anche dalla Serenissima.
Morì a Venezia nella notte tra il 15 e il 16 giugno 1630. Imbarcatosi il 6 giugno a Legnago, sbarcato a Venezia due giorni dopo, dato il decesso di alcuni del seguito era stato confinato in quarantena sull’isola di S. Clemente. La notizia del decesso fu comunicata il 16 giugno per lettera dall’avvocato Gian Francesco Busenello al fratello Marc’Antonio, residente veneto a Mantova (Quazza, 1926, II, pp. 103 s.; Frari, 1830, basandosi su documenti veneziani oggi ignoti, riferisce il viaggio al mese successivo e data il decesso al 14 luglio; ma l’ambasciatore mantovano era effettivamente approdato a Venezia prima del 10 giugno: Archivio di Stato di Venezia, Collegio, Esposizioni principi, filza 38, sub data).
Da un testamento datato 23 luglio 1622 risulta ch’egli era sposato con Anna Maria del Matto e che la famiglia risiedeva a Mantova in contrada Corna (presso S. Andrea); chiedeva di essere sepolto nella cappella di famiglia intitolata a s. Gregorio, in S. Maria della Carità; disponeva che gran parte delle sue sostanze fossero divise in parti eguali tra le tre figlie (Eleonora, Margherita, Marzia) e i quattro figli (Vincenzo, Ferdinando, Fabio e Gerolamo; al momento del decesso i figli sarebbero stati undici; Quazza, 1926, II, p. 151); al primogenito destinava il feudo e il castello con le sue pertinenze in Corticelle concessigli dal duca il 12 dicembre 1619.
La fama di Striggi juniore è legata alla collaborazione con Claudio Monteverdi, in particolare per il testo della Favola d’Orfeo rappresentata in musica il carnevale dell’anno 1607 nell’accademia de gl’Invaghiti di Mantova (Mantova, 1607, in due edizioni; edizioni moderne in Solerti, 1904-1905, III, pp. 241-274; Libretti d’opera italiani dal Seicento al Novecento, a cura di G. Gronda - P. Fabbri, Milano 1997, pp. 21-47), data il 24 febbraio nel palazzo ducale di Mantova, «nella sala del partimento che godeva Madama Serenissima di Ferrara» (ossia Margherita Gonzaga; Solerti, 1904-1905, I, p. 69), e replicata il 1° marzo.
Ciascuno dei cinque atti – recitati di seguito ma intervallati da cori sentenziosi – inquadra un singolo episodio nello svolgimento della favola, che presenta una cospicua varietà di effetti poetici, teatrali e musicali, alternando cori festosi, lepide ariette, struggenti querimonie e auliche perorazioni; la Musica in persona, che intona il prologo, si fa garante del potere d’infiammare e placare i più diversi affetti. L’azione è condotta prevalentemente in versi sciolti (endecasillabi e settenari senza schema di rime), mentre le canzoni e i cori hanno una forma strofica organizzata, dagli ottonari danzerecci dell’aria di Orfeo Vi ricorda, o boschi ombrosi (atto II) alla severa terza rima della grande aria con cui il cantore tracio invoca da Caronte l’accesso al Regno dei morti, Possente spirto e formidabil nume (atto III). L’Orfeo fu recitato da un gruppo di cantanti quasi certamente tutti maschi al cospetto dell’Accademia degli Invaghiti, cui Striggi era affiliato (con il soprannome «Il Ritenuto»). In una lettera del 22 agosto 1607 al duca di Mantova, il teologo e poeta Cherubino Ferrari, cui Monteverdi aveva mostrato la favola, commentò: «La poesia quanto all’invenzione è bella, quanto alla disposizione migliore, e quanto all’elocuzione ottima; ed insomma da un bell’ingegno qual è il sig.r Striggio non si poteva aspettar altro» (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1731, f. III/3, cc. 906-907; Whenham, 1986, p. 172).
La critica moderna si è concentrata su diversi aspetti della Favola d’Orfeo: il rapporto con i probabili modelli, che dovettero essere da un lato l’Orfeo di Angelo Poliziano (Mantova, 1480 circa) e dall’altro l’Euridice di Ottavio Rinuccini (Firenze, 1600); i temi misogini, derivati da Poliziano; l’evidente impronta dantesca; i presunti indizi di ispirazioni eterodosse. I commentatori si sono altresì arrovellati sull’apparente fallimento della supplica di Orfeo a Caronte (il citato Possente spirto), nonché sulla macroscopica discrepanza tra il finale bacchico nei libretti del 1607 (Solerti, 1904-1905, III, pp. 271-274) e il catasterismo apollineo nella partitura di Monteverdi (Venezia, Amadino, 1609, ristampa 1615; il testo è riportato in Solerti, 1904-1905, III, pp. 270-272 nota). La critica è tuttora divisa su un doppio dilemma: quale dei due finali fu effettivamente recitato a Mantova nel 1607? Sono di Striggi o di altri i versi del finale in partitura? Nelle recite mantovane il ruolo eponimo fu impersonato dal cortigiano Francesco Rasi; tra il 1614 e il 1619, alla corte del principe-arcivescovo di Salisburgo, lo stesso poliedrico artista – tenore, poeta, compositore, suonatore d’arpa doppia – propiziò l’allestimento di un non meglio precisato Orfeo, forse proprio quello del 1607.
Nel 1608, per i festeggiamenti mantovani delle nozze del principe Francesco Gonzaga con Margherita di Savoia, Striggi fornì il testo di un balletto, Il sacrificio d’Ifigenia, musicato da Marco da Gagliano e dato il 5 giugno 1608 (testo e descrizione in Solerti, 1904-1905, III, pp. 275-283); prese parte al torneo a piedi del 3 giugno, commissionato da Francesco (il principe vi appariva su un carro che rappresentava il Trionfo dell’Onore). Il sacrificio fu allestito nella sala della commedia, il minore dei due teatri di palazzo, l’indomani del balletto che il duca Vincenzo aveva commissionato a Rinuccini e Monteverdi, Il ballo delle Ingrate, recitato nel teatro grande. In un’amara lettera del 22 aprile 1608 (in Burattelli, 1999, p. 63) Striggi si lagnava con il principe Francesco perché Rinuccini, dopo aver assistito a una prova del Sacrificio, avrebbe incrementato il proprio testo per farlo comparire maggiore del suo, aggiungendoci in apertura un dialogo tra Venere e Amore e alla fine un doppio lamento delle Ingrate, prima assolo, indi corale.
L’azione del Sacrificio si rifà all’Ifigenia in Aulide euripidea: gli dei avevano ordinato ad Agamennone di immolare la figlia se avesse voluto che i venti sospingessero la flotta argiva verso Troia. Dopo il «solito segno delle trombe» una processione di sacerdoti, con otto cavalieri e dieci dame, in testa il duca Vincenzo e il principe Francesco, in coda Agamennone che conduceva la figlia, percorse la sala dov’erano raccolti gli invitati. La scena rappresentò un tempio, con Diana assisa su una nuvola luminosa. Agamennone proruppe in un lamento, chiedendo di essere sacrificato in vece della figlia; Ifigenia lamentò a sua volta il proprio destino; Agamennone replicò con un verso assai simile a quello pronunciato da Orfeo nell’apprendere la perdita di Euridice: «Et io vivo? et io spiro?». Ma alzando il Sommo sacerdote il ferro sulla vittima, Diana decretò che la si risparmiasse: al che i cavalieri e le dame del corteo si diedero a danzare al suono degli strumenti e del coro, e introdussero infine il ballo generale degli invitati.
È stata autorevolmente messa in dubbio (Solerti, 1904-1905, III, p. 286; Carter, 2002, p. 160) l’attribuzione tradizionale a Striggi del testo per il ballo Tirsi e Clori musicato da Monteverdi per l’incoronazione del duca Ferdinando Gonzaga nel 1616 e pubblicato nel suo Settimo libro de madrigali (Venezia, Gardano-Magni, 1619; non ha attinenza con questo ballo L’amorosa lite, idillio pubblicato a Venezia nel 1615 sotto lo pseudonimo tassiano «Tirsi pastor del Mincio», oggi attribuito al napoletano Bartolomeo Bilotta; cfr. Burattelli, 1999, p. 135 nota 159). Incerta è l’attribuzione dei Versi cantati nel ballo fatto dalla [...] duchessa di Mantova il 26 aprile 1620 (Besutti, 2005), ma di sicuro Striggi ne curò l’allestimento secondo le direttive impartitegli per lettera dal musicista, il fiorentino Jacopo Peri. Fu invece certamente sua la «favoletta in musica» Apollo (Carnevale 1620), un’egloga-ballo, perduta, di cui si ha notizia attraverso le lettere di Monteverdi.
Con la nomina di Monteverdi a maestro di cappella in S. Marco a Venezia, nel 1613, il nobile mantovano ne divenne l’apprezzato confidente e intermediario con la corte di Mantova: molte tra le lettere più rivelatrici del compositore, ivi comprese quelle che toccano questioni tecniche circa la musica teatrale, sono a lui indirizzate. La sua competenza in materia di poetica e drammatica era stimata anche da altri, come il principe Ferdinando Gonzaga, che nel gennaio del 1607 gli sottopose un proprio testo teatrale, e Simone Borsato, gentiluomo del principe Alessandro Pico, che nel febbraio o marzo dello stesso anno gli inviò il testo di una mascherata da recitare a Mirandola con interventi musicali di Monteverdi. Per tutti gli anni Venti il conte continuò a promuovere spettacoli teatrali a Casale e a Mantova, ivi compresi quelli menzionati nelle lettere di Monteverdi.
Sei madrigali del «Ritenuto accademico Invaghito» compaiono nella Ghilranda [sic] dell’Aurora di Pietro Petracci (Venezia, Giunti-Ciotti, 1609, pp. 383-386). Tre di essi erano già stati musicati e pubblicati in precedenza: La piaga del mio core nel libro IV a cinque voci di Monteverdi (Venezia, Amadino, 1603), Con la candida man tu cogli i fiori nel libro III a cinque voci di Gagliano (Venezia, Gardano, 1605) e Ho visto al mio dolore nelle Varie musiche di Peri (Firenze, Marescotti, 1609; ma era stato anticipato nelle Allegre notti di Fiorenza di Girolamo Montesardo, Venezia, Gardano, 1608). In questi due ultimi casi se ne deduce che vi dovettero essere contatti diretti tra il nobiluomo mantovano e i musicisti fiorentini fin da prima dei festeggiamenti mantovani del 1608. Il Tesoro delle Muse in onore della marchesa Agnese del Carretto (Mantova, Osanna, 1593) contiene il suo madrigale Ninfe vezzose e belle; il madrigale spirituale Tu, che la tua possanza (ispirato a Marco, VII, 32-35), comparve in Vita, attioni, miracoli, morte, resurrettione et ascensione di Dio humanato di Leonardo Sanudo (Venezia, Grillo, 1614). Un suo componimento encomiastico è nella Raccolta d’alcune rime di Eugenio Cagnani (Mantova, Osanna, 1612, p. 16). Nello stesso anno l’editore milanese Pandolfo Malatesta gli dedicò la seconda edizione dello Schiavetto di Giovan Battista Andreini.
Fonti e Bibl.: Le corrispondenze di Striggi sono conservate negli Archivi di Stato di Modena (Archivio segreto estense, Cancelleria ducale, Documenti di stati e città, b. 83) e di Mantova (nella serie Autografi, b. 6, e nell’Archivio Gonzaga, parzialmente indicizzato nel Progetto Herla (http:// www.capitalespettacolo.it/, 23 novembre 2018); cfr. anche Kirkendale, 1993, pp. 602 s.; Besutti, 2005, app. I). Il testamento del 23 luglio 1622 (comunicato da Luigi Cataldi) è in Archivio di Stato di Mantova, Registrazioni notarili di Mantova, Notaio Cristoforo Battaleoli, b. 1611.
Oltre che alla bibliografia riportata nella voce su Aessandro Striggi sr., in questo volume, si rimanda a: F. Follino, Compendio delle sontuose feste, Mantova 1608, pp. 106, 142-149; A.A. Frari, Cenni storici sopra la peste di Venezia del 1630-31, Venezia 1830, pp. 5 s.; A. Solerti, Gli albori del melodramma, Milano 1904-1905, I, pp. 68-72, 96-102, II, pp. 29 s., III, pp. 241-291; R. Quazza, La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato (1628-1631), I-II, Mantova 1926, ad ind.; Id., La diplomazia gonzaghesca, Milano 1941, pp. 45, 51; N. Pirrotta, Li due Orfei, Torino 1975, pp. 5-44, 302, 306, 309, 317 s.; C. Gallico, Monteverdi, Torino 1979, pp. 60-74; B.R. Hanning, Of poetry and music’s power: humanism and the creation of opera, Ann Arbor (Mich.) 1980, pp. 47-56, 118-132, 135-138, 305-329, 354; W. Osthoff, «Contro le legge de’ Fati». Polizianos und Monteverdis “Orfeo” als Sinnbild künstlerischen Wettkampfs mit der Natur, in Studien zur italienischen Musikgeschichte, XIII, a cura di F. Lippmann, Laaber 1984, pp. 11-68; P. Fabbri, Monteverdi, Torino 1985, pp. 96 s., 102, 104-107, 109, 123, 132, 233-235, 283; J. Whenham, Claudio Monteverdi: “Orfeo”, Cambridge 1986; N. Pirrotta, Scelte poetiche di musicisti, Venezia 1987, pp. 197-241; S. Parisi, Ducal patronage of music in Mantua, 1587-1627, diss., University of Illinois at Urbana-Champaign, 1989, I, pp. 140, 146, 150 s., 153, 164, 189, 220, 244, 296, 313, II, pp. 503-505; D. Butchart, The letters of A. S.o [sr], in Royal Musical Association research chronicle, XXIII (1990), pp. 1-78; W. Kirkendale, The court musicians in Florence during the principate of the Medici, Firenze 1993, ad ind.; F.W. Sternfeld, The birth of opera, Oxford 1993, pp. 1-29, 55-64, 72, 99-102, 110-117, 164-171; C. Monteverdi, Lettere, a cura di É. Lax, Firenze 1994, ad ind. (e cfr. le note di commento in The letters of Claudio Monteverdi, a cura di D. Stevens, Oxford 1995); C. Burattelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, Firenze 1999, pp. 36-38, 45, 63-66, 103, 114-120; T. Carter, New light on Monteverdi’s “Ballo delle Ingrate”, in Il Saggiatore musicale, VI (1999), pp. 63-90; Id., (Mis)appropriated genres and stylistic appropriations, in The influence of Italian entertainments on sixteenth- and seventeenth-century music theatre in France, Savoy and England, a cura di M.-C. Canova-Green - F. Chiarelli, Lewinston (N.Y.) 2000, pp. 3-11; Id., Monteverdi’s musical theatre, New Haven-London 2002, ad ind.; B.R. Hanning, The ending of “L’Orfeo”: father, son, and Rinuccini, in Journal of Seventeenth-Century Music, IX (2003), 1, https:// sscm-jscm.org/v9/no1/hanning.html (23 novembre 2018); S. Patuzzi, «S’a questa d’Este valle»: Claudio Monteverdi and a mascherata of 1607 in Mirandola, in Early Music, XXXI (2003), pp. 541-556; M. Sermidi, Le collezioni Gonzaga: il carteggio tra Venezia e Mantova, Cinisello Balsamo 2003, pp. 405, 469, 485, 496, 504, 506-508; S. Parisi, Francesco Rasi’s “La favola di Cibele ed Ati”, in Music observed: studies in memory of William C. Holmes, a cura di C. Reardon - S. Parisi, Warren (Mich.), 2004, pp. 361-392; P. Besutti, Variar «le prime 7 stanze della luna»: ritrovati versi di ballo per Jacopo Peri, in Studi musicali, XXXIV (2005), pp. 319-374; J. Brotton, The sale of the late king’s goods: Charles I and his art collection, London 2006, pp. 113 s., 117-127, 132; P. Besutti, Spaces for music in Mantua, 1590-1612, in The Cambridge companion to Monteverdi, a cura di J. Whenham - R. Wistreich, Cambridge 2007, pp. 86-89; G. Malacarne, I Gonzaga di Mantova: una stirpe per una capitale europea, IV, Splendore e declino, Modena 2007, pp. 248, 295-297, 300-302, 313, 319-321, 324-327, 355; T. Carter - R.A. Goldthwaite, Orpheus in the marketplace: Jacopo Peri and the economy of late renaissance Florence, Cambridge (Mass.)-London 2013, ad ind.; J. Schwindt, “All that glisters”: Orpheus’s failure as an orator and the academic philosophy of the Accademia degli Invaghiti, in Cambridge Opera Journal, XXVI (2014), pp. 239-270; H. Seifert, Texte zur Musikdramatik im 17. und 18. Jahrhundert, Wien 2014, ad ind.; C.M. Anderson, The Flemish merchant of Venice: Daniel Nijs and the sale of the Gonzaga art collection, New Haven-London 2015, pp. 118-131, 136, 197; F. Schneider, Unsuspected competitive contexts in early opera. Monteverdi’s Milanese challenge to Florence’s “Euridice” (1600), Roma 2016, pp. 3-41; P. Tosetti Grandi, Monteverdi e l’Accademia degli Invaghiti, i suoi membri e le loro relazioni interaccademiche, in «Al suon de la famosa cetra»: storia e rinascite di Monteverdi cittadino mantovano, a cura di P. Besutti, Mantova 2017, p. 129; L. Cataldi, Un’eresia dissimulata. Lettura valdesiana dell’“Orfeo” di S. e Monteverdi, in Il Saggiatore musicale, XXV (2018), in corso di stampa; Il teatro di Claudio Monteverdi. Spettacoli di corte e di palazzo, a cura di S. Urbani, Firenze 2019.
Si ringraziano Roberta Benedusi, David Bryant, David Butchart, Luigi Cataldi e Licia Mari per le informazioni generosamente procacciate.