FEI, Alessandro (detto Alessandro del Barbiere)
Nacque a Firenze nel 1538 (Borghini, 1584) o nel 1543 (Milanesi, in Vasari [1568], 1881) da Vincenzo, il cui mestiere potrebbe aver originato il soprannome "del Barbiere".
La fonte principale per ricostruire la vita e le opere del F. è Il riposo di Raffaele Borghini, scritto nel 1584quando l'artista era non solo vivo ed operante ma anche in ottimi rapporti con lo stesso Borghini. Il ricchissimo catalogo di opere in esso fornito è però sprovvisto di datazioni e quindi inutilizzabile ai fini di una cronologia. Non tutte le opere segnalate hanno ancora trovato conferma, ma in molti casi il Borghini si è rivelato, sia per le descrizioni dei soggetti sia per le loro destinazioni, degno di fede.Il F. fu alunno di Ridolfo del Ghirlandaio e di Pier Francesco di lacopo Foschi, quindi seguace di Maso da San Friano (Milanesi, in Vasari [1568], 1881). Di tale formazione il Borghini distingue l'apprendimento dei principi del disegno, avvenuto presso Ridolfo del Ghirlandaio, e la pratica del colore, acquisita presso Pier Francesco Foschi; cita inoltre quale prima opera del F. la tavola con il Matrimonio mistico di s. Caterina per la Compagnia di S. Caterina "dietro la Nunziata". Le prime notizie documentate riguardano la sua attività nell'ambito della bottega del Vasari, in occasione della decorazione di palazzo Vecchio. Nel 1563-64, infatti, venne inviato a ritrarre alcune città toscane per la preparazione dei dipinti allegorici del salone dei Cinquecento (Allegri-Cecchi, 1980). Altra data certa riguardante il F. è il 16 luglio 1564, giorno della sua iscrizione all'Accadernia delle arti del disegno, quale diretta conseguenza della sua partecipazione all'opera collettiva degli apparati per le esequie di Michelangelo (Cavallucci, 1873). L'anno successivo partecipò ad un altro apparato, quello per le nozze di Francesco I de' Medici e Giovanna d'Austria, con alcune tele raffiguranti piazze delle città del Ducato mediceo, da esporre nel salone dei Cinquecento in palazzo Vecchio, e precisamente le vedute di Siena, Pisa, Montepulciano e Cortona (Vasari [1568], 1881).
Al 1568 è datata una Madonna nella chiesa fiorentina di S. Pier Gattolini tradizionalmente attribuita al F. e all'anno successivo risale la sua iscrizione all'arte dei medici e degli speziali (Colnaghi, 1928). La prima opera firmata, databile e ancor oggi visibile, è il pannello raffigurante l'Oreficeria, nello studiolo di Francesco I in palazzo Vecchio.
La decorazione dello studiolo fu un'impresa collettiva, organizzata dal Vasari, ma progettata e diretta con Vincenzo Borghini, il quale testimonia in una sua lettera sia la data di esecuzione dell'opera del F., il 1571, sia l'apprezzamento che suscitò nel principe (Frey, 1930). Nei primi anni '70 quindi il F. faceva parte del gruppo dello studiolo. La stretta dipendenza dal Vasari, l'egemonia delle committenze medicee, l'appartenenza all'Accademia del disegno sono comuni denominatori propri a questa terza generazione di pittori fiorentini, gli artisti dell'"ultima maniera" (Freedberg, 1971). Eppure già dal pannello per lo studiolo, con l'Oreficeria, il F. si distinse per una qualità di linguaggio, dal Venturi (1933) definita come "gusto fiammingo", ma più genericamente da intendersi come una visione ricca di dettagli, incline alla descrizione minuziosa che approderà ad una rappresentazione più chiara e sintetica, benché sempre narrativa, nelle opere della maturità (Hall, 1979). Nel pannello dello studiolo la dettagliata raffigurazione può esser stata motivata anche dalla necessità di aderire alle richieste dellIconologo Borghini. Vi sarebbe rappresentata infatti la bottega medicea di oreficeria con alcuni precisi riferimenti all'attualità politica ed artistica: la corona ducale rappresentata ricorderebbe l'incoronazione a granduca di Cosimo, avvenuta il 5 marzo 1570, mentre il ritratto dell'anziano B. Cellini costituirebbe un diretto omaggio all'artista e al suo Trattato di oreficeria (Schaefer, 1980).
Subito dopo aver terminato il pannello dello studiolo il F. seguì il Vasari a Roma nei primi mesi del 1571 per coadiuvarlo nella decorazione delle cappelle di Pio V in Vaticano. A questo proposito una nota di pagamenti riferibile alla cappella di S. Pietro Martire consentirebbe di attribuire al F. alcune figure di Virtù e Santi della cappella stessa (Frey, 1930). Al 1571 si fa risalire anche la sua partecipazione agli affreschi del chiostro grande di S. Maria Novella a Firenze, con la storia di S. Domenico che resuscita il cardinal Orsini, opera non citata nel catalogo del Borghini ma già segnalata dal Venturi (1933) e più recentemente confermatagli insieme con il disegno preparatorio conservato agli Uffizi, sulla cui base sono stati restituiti al F. anche altri disegni in precedenza diversamente attribuiti (Petrioli Tofani, 1980).
Di questo stesso periodo, o di poco precedente (1570 c.), dovrebbe essere anche la decorazione del soffitto a grottesche della villa Corsi, oggi Guicciardini-Corsi-Salviati, a Sesto Fiorentino.
L'opera, commissionata da Giovanni di Iacopo Corsi e attribuita al F. per assonanze stilistiche con il pannello dell'Oreficeria dellostudiolo, testimonierebbe un contatto con la famiglia Corsi precedente alla commissione della cappella in S. Croce (Mannini, 1979). Sempre in questi anni il F. partecipò alla decorazione ad affresco della cappella dei pittori all'Annunziata, cappella di pertinenza degli Accademici del disegno e nella quale eseguì parte delle storie a chiaroscuro poste sopra le nicchie (Cavallucci, 1873).
Nel 1574 il F. fu coinvolto nell'uffirno grande progetto decorativo che ebbe quale promotore Cosimo I e coordinatore il Vasari: la ristrutturazione delle chiese di S. Maria Novella e S. Croce, progetto che coinvolse tutti i discepoli del Vasari e fu una ennesima affermazione dell'Accademia. Al F. fu affidata la pala d'altare della cappella Corsi in S. Croce, raffigurante la Flagellazione di Cristo, datata al 1575 e firmata "Alexandro, del Barbiere De Fei".
Considerata da Raffaele Borghini come uno dei dipinti più conformi ai nuovi precetti riguardanti l'arte sacra, è tuttora designata come perfetto esempio della svolta subita dalla pittura fiorentina con il progressivo estinguersi della corrente manierista. Dopo la morte del Vasari e del duca Cosimo nel 1574, infatti, nel nuovo clima religioso che imponeva precisi canoni estetici, si cominciò ad affermare una pittura lontana dal "capriccio" e improntata a criteri di chiarezza compositiva, facile leggibilità e massima compostezza nei personaggi. La citazione fatta dal F. della Flagellazione di Sebastiano del Piombo in S. Pietro in Montorio, che aveva visto senza dubbio a Roma quando era stato al seguito del Vasari, risulta molto filtrata dalle nuove esigenze di chiarezza e luminosità delle forme, tanto da suggerire un ritorno alla nitidezza narrativa di Andrea del Sarto, in particolare degli affreschi del chiostro dello Scalzo, filiazione che si riflette anche nella tecnica disegnativa del F. (Hall, 1979).
L'anno seguente il F. era impegnato nei lavori della cappella di Iacopo di Giovan Francesco Guardini in S. Niccolò Oltrarno a Firenze.
Il Borghini gli attribuisce anche l'architettura oltre che la pala d'altare, mentre un contemporaneo, il Tanci (Laghi, 1982) ascrive al F., come completamento della decorazione, anche' due figure di santi, S. Giuliano e S. Antonio, una Sibilla e un Profeta. Di questo complesso oggi rimane, peraltro assai danneggiata, solo la pala d'altare con l'Annunciazione, che, per semplificazione stilistica, conferma l'orientamento già affermatosi nella pala di S. Croce.
Tra il 1578 e il 1583 risulta che il F. non pagò all'Accademia del disegno le tasse prescritte, e ciò ha fatto supporre che in questo periodo vi sia stata una prolungata assenza dell'artista da Firenze (Hall, 1979). Effettivamente in questi anni è riscontrabile una lacuna nelle notizie riguardanti l'attività fiorentina del pittore; l'ultima data certa è quella testimoniata dal Milanesi (in Vasari [1568], 1882), che dichiarava di aver letto la firma del F. e la data 1578 su una tavola con Madonna e santi nella chiesa del monastero di S. Girolamo delle Poverine a Firenze, oggi conservata nella pieve di S. Ilario a Montereggi (cfr. anche Giglioli, 1933). Una sicura ripresa di attività a Firenze si può collocare solo verso il 1583, poiché il Borghini descrive nel 1584 alcune opere che il F. vi avrebbe appena avviate. Si potrebbe allora ipotizzare che il F. si sia dedicato in questi anni soprattutto all'esecuzione di opere d'arte devozionale per chiese e conventi della Toscana, peraltro testimoniate, ma senza indicazione di data, nel catalogo del Borghini, dove si ricordano ad esempio gli interventi a Peccioli, a Chiusure, a Brolio in Chianti, alla badia di Vernio.
Fuori Firenze il F. lavorò anche in due chiese di Pistoia, la Madonna delle Grazie e la Madonna dell'Umiltà.
Nessuna delle due opere pistoiesi è datata ma si possono genericamente collocare prima del 1584, poiché sono descritte dal Borghini, e non prima del 1575, poiché piuttosto affini sia alla pala di S. Niccolò Oltrarno sia a quella di S. Croce. La pala per la chiesa di S. Maria delle Grazie, detta anche Madonna del Letto, si trova sopra l'altare Sozzifanti e raffigura l'Assunzione della Vergine. Lo schema compositivo è di tale semplicità e simmetria da rasentare la rigidità ed il linguaggio, ancora memore delle tipologie vasariane, denuncia un desiderio di arcaismo quasi neoraffaellesco. Oggetto di valutazioni contraddittorie è stato invece l'intervento del F. nella cappella Rospigliosi della Madonna dell'Umiltà. La pala d'altare con Annunciazione, tradizionalmente attribuitagli, anche sulla base del Borghini, è oggi riconosciuta come di Ludovico Buti, mentre rimangono al F. le Storie della Vergine, affrescate nel sottarco della cappella, e gli stucchi che ne completano la decorazione (Acidini Luchinat, 1980). Le Storie della Vergine sono piccole scene racchiuse da cornici e tratteggiate con un tocco bozzettistico, composte con estrema linearità. Questa semplicità raggiunge però risultati di grande eleganza, tali da ricordare ancora Andrea del Sarto allo Scalzo e anche le Storie della Vergine dipinte da Francesco Salviati in S. Marcello a Roma. Ugualmente raffinati sono i festoni floreali, che si intervallano con grottesche e mascheroni negli stucchi.
A riprova di una attività diffusa oltre il confine toscano e perfino nazionale, il Borghini (1584) ricorda due opere che il F. avrebbe inviato in Francia, un Ritratto di Antonio Del Bene in veste di gonfaloniere ed una Veduta di Firenze, nonché un'opera mandata in Germania, un S. Giovanni Battista nel deserto, che avrebbe eseguito nel 1584, all'età di 46 anni. Inoltre avrebbe inviato per tre volte alcune opere a Messina: una Madonna con Gesù, angeli e santi per la "chiesa grande", dodici Storie del Battista per la chiesa dei Fiorentini ed una Adorazione dei magi. La presenza a Messina di dipinti del F. appartenenti alla sua attività finale e che non coincidono con le segnalazioni del Borghini è prova forse di un rapporto con la città di Messina protrattosi nel tempo, se non di un vero e proprio soggiorno messinese negli ultimi anni di attività dell'artista (Campagna Cicala, 1985-86).
Con la metà degli anni '80 riprese con certezza la produzione fiorentina del F., poiché il Borghini nel 1584 descrive una serie di opere in corso: tra queste le Storie di Cristo e degli apostoli per S. Giovannino degli scolopi e la decorazione della cappella Albizzi in S. Pier Maggiore, purtroppo oggi scomparsa, di cui il Borghini, che attribuisce all'artista anche l'architettura della cappella, descrive minuziosamente i soggetti. Meglio documentate alcune opere che il F. avrebbe eseguito nel 1586: a quell'anno è infatti datata la pala con S. Cecilia e s. Pancrazio per la chiesa di S. Pancrazio nell'omonima frazione del Comune di S. Casciano in Val di Pesa, oggi esposta sopra l'altare destro della chiesa (Mannini, 1984). Datata al 1586 sarebbe anche la Madonna del Rosario per la chiesa di S. Giovanni Battista a Vicchio del Mugello, che, essendo citata dal Borghini, doveva comunque essere perlomeno avviata fin dal 1584 (Petrioli Tofani, 1980). Sicuramente documentato da un pagamento al 1586 è il ritratto, oggi agli Uffizi, raffigurante Lorenzo de' Medici duca d'Urbino, copia del ritratto eseguito da Raffaello nel 1518, che faceva parte di una serie di ritratti della famiglia Medici, commissionati dal granduca Francesco I, da collocare appunto nella Galleria degli Uffizi (Poggi, 1919; Oberhuber, 1971). In questa serie ritroviamo quali autori accanto al F. molti artisti dello studiolo, come A. Allori, G. Macchietti, G. B. Naldini, F. Morandini detto il Poppi, prova che, oltre alla costante della committenza medicea, continuava a permanere lo stesso tipo di coesione culturale creatasi nell'età giovanile. Altra costante nella attività del F. fu la partecipazione alle decorazioni per gli apparati. Nel 1587 lavorò all'apparato per le esequie di Francesco I, con un chiaroscuro raffigurante il Ricevimento dei principi giapponesi per la chiesa di S. Lorenzo, mentre nel 1589 lavorò all'apparato per le nozze di Ferdinando I dei Medici e Cristina di Lorena, per il quale dipinse una delle Storie di Cosimo I, destinate ad ornare l'arco al canto degli Antellesi (Gaeta Bertelà-Petrioli Tofani, 1969). Risulta documentata inoltre la sua partecipazione all'apparato allestito a Pisa per l'ingresso del granduca Ferdinando I nel marzo 1588: eseguì una delle cinque tele bicrome con Storie di s. Stefano papa, oggi conservate in S. Stefano dei Cavalieri, identificata, in base a confronti stilistici, con quella raffigurante S. Stefano papa arrestato che fa crollare con la preghiera una statua di Marte (Matteoli, 1980; Contini, 1992).
A testimoniare gli ultimi anni di attività del F., oltre gli apparati segnalati, rimangono i piccoli rami messinesi recentemente riscoperti ed attribuiti all'artista. Si tratta di scenette raffiguranti cinque episodi della Vita della Vergine, conservate al Museo regionale di Messina e facenti parte di una serie di dodici immagini poste in origine attorno al mosaico della Madonna della Ciambretta nella chiesa di S. Gregorio.
Tra queste, la scena raffigurante la Visitazione deriva da quella dipinta da F. Barocci per la chiesa Nuova di Roma nel 1586, conosciuta dal F. probabilmente attraverso una incisione di Gysbert van Veen, datata al 1588; tale circostanza porrebbe le lastre messinesi ad una data piuttosto tarda, quasi uniche testimonianze dell'ultima attività dell'artista (Campagna Cicala, 1985-86).
Benché non sembri esserne rimasta oggi alcuna traccia, una menzione a parte meriterebbe la sua attività come decoratore di "studioli" o "camerini", assai valorizzata dal Borghini: in queste opere il F. si sarebbe dimostrato oltre che pittore di grottesche, abile esecutore di piccole vedute paesistiche e soprattutto vero decoratore, capace di costruire la giusta cornice ornamentale nella quale accogliere opere da collezione.
Di questo tipo di attività il Borghini (1584) ricorda gli interventi del F. per il cavalier Gaddi, nonché la sistemazione del suo stesso scrittoio, comprendente due quadri di prospettiva destinati ad "accompagnare" dipinti di Francesco Salviati e la decorazione del palco con le Muse e la Storia di Zeusi. Il piùcomplesso doveva essere lo scrittoio di Matteo Botti, per il quale il F. concepì una articolata decorazione dove Virtù ed Arti liberali, effigi di uomini illustri, scenette di caccia e di pesca, Mesi ed Elementi, costituivano la preziosa cornice per alcune stampe del Dürer.
Nel 1592 il F. fu console dell'Accademia del disegno: morì a Firenze il 7 dic. 1592, con sepoltura alla Compagnia dello Scalzo (Coinaghi, 1928), o il 28 dicembre dello stesso anno, ma con sepoltura all'Annunziata (Milanesi, in Vasari [1568], 1882).
ono ricordati quali suoi allievi un Domenico Botti, attivo nella sua bottega nel 1590 e un non meglio precisato "Domenico", autore di una tela con la Geometria eseguita nel 1590 per la festa di S. Luca (Colnaghi, 1928).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite ... [1568], a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, p. 620; VIII, 1882, pp. 457, 621; R. Borghini, Ilriposo [1584], Milano 1967, pp. 59, 111 s., 190, 632-637; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno, X, Firenze 1771, pp. 180-183; C. I. Cavallucci, Notizie stor. intorno alla R. Accademia del disegno in Firenze, Firenze 1873, pp. 25 n. 2, 105; G. Poggi, Di alcuni ritratti dei Medici, in Riv. d'arte, VI (1909), pp. 321 s.; W. Bombe, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, pp. 348 ss.; D. E. Colnaghi, A dictionary of the Florentine painters, London 1928, pp. 49, 89, 98; K. Frey, Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, München 1930, II, pp. 548 s., 561 s., 565 ss., 571-574, 583; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 6, Milano 1933, pp. 417-422; Catalogo delle cose d'arte e di antichità d'Italia, O.H. Giglioli, Fiesole, Roma 1933, p. 278; W. Paatz - E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, IV, Frankfurt am Main 1952, p. 624; G. Gaeta Bertelà -A. Petrioli Tofani, Feste e apparati medicei da Cosimo I a Cosimo II, Firenze 1969, p. 72; G. Bonacchi Gazzarini, La pittura a Pistoia dal XVI al XIX secolo, Pistoia 1970, pp. 17 s.; S. J. Freedberg, Painting in Italy. 1500 to 1600, Harmondsworth 1971, p. 427; K. Oberhuber, Raphael and the State portrait, II, The portrait of Lorenzo de' Medici, in Burlington Magazine, CXIII (1971), 821, pp. 436, 439; S. Meloni Trkulja, Gli Uffizi. Catalogo generale, II, Firenze 1979, p. 704; M. B. Hall, Renovation and counter-reformation, Oxford 1979, pp. 30, 60, 7578; M. P. Mannini, La decorazione in villa tra Sesto e Castello, Sesto Fiorentino 1979, pp. 8 s.; M. P. Mannini, Ilpaesaggio nella pittura tra Cinque e Seicento a Firenze, Poggibonsi 1980, p. 102; A. M. Petrioli Tofani, in Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del Cinquecento, Il primato del disegno (catal.), Firenze 1980, p. 111; C. Acidini Luchinat, Itinerario della pittura religiosa del '500 a Pistoia, in Pistoia: una città nello Stato mediceo, Pistoia 1980, pp. 339, 347; S. J. Schaefer, The Studiolo of Francesco I de' Medici in the palazzo Vecchio in Florence, tesi dott., University microfilms international, Ann Arbor, Mich., 1980, I, pp. 160 s., 331-336; E. Allegri-A. Cecchi, Palazzo Vecchio e i Medici. Guida storica, Firenze 1980, pp. 248, 250, 256 s., 263, 276, 328, 345, 347; A. Matteoli, in Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici, Pisa 1980, pp. 328, 338 s.; A. Laghi, La chiesa cinquecentesca e il suo arredo: vicende e restauro, in S. Niccolò Oltrarno. La chiesa, una famiglia di antiquari, Firenze 1982, pp. 95, 113 s.; M. P. Mannini, Chimere, capricci, ghiribizzi e altre cose: esempi periferici di grottesca del tardo Cinquecento, in Annali della Fondazione di studi di storia dell'arte R. Longhi, I (1984), pp. 72 ss.; F. Campagna Cicala, Presenze fiorentin a Messina nella seconda metà del Cinquecento, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'arte medioevale e moderna, Facoltà di lettere e filosofia, Università di Messina, nn. 9-10, 1985-86, pp. 21-29; M.Tazartes, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, I, Milano 1988, p. 327; T. Pugliatti, II, p. 517; A. Giovannetti, ibid., p. 710 (con ulteriore bibl.); R. Contini, in Pittura a Pisa tra Manierismo e Barocco, Pisa 1992, p. 165.