DELL'ANTELLA, Alessandro
Appartenente ad una nobile e cospicua famiglia che fu tra le protagoniste della vita politica di Firenze nel sec. XIV, nacque da Giovanni, come appare da un documento patavino pubblicato dal Gloria (II, 1, n. 278, p. 126; II, 2, n. 1178, p. 39).
Scarne e parzialmente contraddittorie sono le notizie biografiche desumibili dalla documentazione pubblica e privata, così come dai cenni presenti nei frammenti della sua opera di commentatore canonista, fino a noi pervenuti. La formazione universitaria del D. dovette avvenire, con tutta probabilità, in Padova, ma si ignorano i suoi maestri, l'anno del suo dottorato e dell'inizio della sua attività di docente nello Studio. L'iscrizione del D. nella matricola del Collegio patavino dei dottori giuristi, come decretorum doctor e col numero. 178 (cfr. Gloria, II, 1, n. 278, p. 126 e n. 550, p. 273), non può tuttavia essere posta intorno al 1328. Questa è la data che lo Schulte (p. 232) leggeva in una sottoscrizione della repetitio al c. licet in tua, VI, de rerum permutatione (c.un., VI, 3, 10), contenuta nel ms. Ye, fol. 79 della Universitätsbibliothek di Halle. Ma il chiarissimo riferimento (contenuto nella stessa subscriptio)a Francesco da Carrara il Vecchio, signore di Padova dal 1350, pone ovviamente negli anni '50 del secolo l'attività universitaria del Dell'Antella. Del resto la medesima repetitio era datata dal Fabricius, sulla fede di un codice viennese, all'11 nov. 1355 (p. 58b); data che, assai curiosamente, lo Schulte equivocò essere quella della morte del giurista, seguito, in tempi più recenti, dal Van Hove (p. 490) e dal Besta (p. 840, dove tuttavia per un sicuro errore tipografico si legge 1325).
Non era dunque il Gloria a supporre che il D. "abbia tenuto scuola negli anni scolastici 1354-55 e 1355-56" (II, 1, n. 278, p. 126); erra invece nel contestarne la professione canonistica, pur attestata, come si è veduto, nella matricola del Collegio patavino dei dottori giuristi (e confermata, ovviamente, dalla citata repetitio), sulla base di un documento del 30 marzo 1355 che lo dice doctor legum. Il documento in questione (Gloria, II, 2, n. 1178, p. 39) ci mostra il D. nella sua casa posta nella contrada di S. Sofia, presente all'atto con cui il fiorentino Taddeo Dell'Antella dichiara di aver ricevuto 3.000 ducati d'oro da Franceschino Del Bene, anch'egli di Firenze. Nel luglio dello stesso anno 1355 il D. è inoltre ricordato in un atto rogato nel palazzo del Comune, in compagnia di due studenti testimoni per Bartolomeo Dell'Antella, suo consanguineo. Ed è ancora il Gloria a ricordare (II, 2, n. 1197, p. 46) un atto del 31 maggio 1359, in cui un Filippo Dell'Antella, studente a Padova in diritto civile, è detto figlio "quondam domini Alexandri de Lantilla de Florentia".
Si tratta però - senza che peraltro sia da escludersi un caso di omonimia - di una svista, giacché negli anni immediatamente successivi troviamo il D. tra i professori di diritto canonico dello Studio senese. Il suo nome ricorre, infatti, nei registri dell'Archivio della Biccherna per gli anni 1363-1365, ed è fra quelli dei dottori forestieri che, come risulta dagli atti dell'Archivio del Concistoro in data del 28 apr. 1365, il Comune di Siena deliberò di licenziare per ragioni di bilancio. Tale deliberazione dovette poi rientrare per principale iniziativa del giureconsulto Giovanni Pagliaresi, che nel 1366 si trovava ad essere tra i Dodici per il terzo di S. Martino, e che doveva essere in ottimi rapporti con il D.: un atto del Consiglio della Campana in data del 27 marzo 1364, pubblicato dallo Zdekauer (doc. VI, pp. 144 s.), mostra come i chierici di Siena, ottenuto il diritto di partecipare con i savi dello Studio alla chiamata dei lettori, si offrissero di versare un contributo di 1.200 fiorini d'oro per sopperirne le spese, proprio dietro consiglio del Pagliaresi e del D. "(domini Alexandri de Antilla, de Florentia, in iure canonico doctoris").
La precaria posizione dello Studio senese, che si riflette nella contraddittorietà delle deliberazioni comunali al suo riguardo, è certamente da porre in rapporto con la condotta per la lettura del Liber Sextus e delle Clementinac, forse sollecitata dallo stesso D. e votata dagli ufficiali dello Studio fiorentino il 20 apr. 1366 (Gherardi, n. XLII, pp. 314 s.). Si tratta della stessa condotta offerta a Baldo degli Ubaldi per la lettura del Codice e a Lapo da Castiglionchio per la lettura del Liber Extra, e che avrebbe impegnato il D. per un anno, a cominciare dal 10 ott. 1366, con un salario di 180 fiorini d'oro: assai meno del celebre Baldo, al quale si offrivano 400 fiorini d'oro, ma più di Lapo, a cui se ne offrivano 120; di 100 fiorini era poi il salario che era stato previsto dagli officiali dello Studio per colui che, in caso di rinunzia del D., lo avrebbe sostituito nel corso universitario, vale a dire il decretista Cino di Marco da Pistoia, la qual cosa può essere indicativa dell'apprezzamento di cui il D. godeva in patria. La condotta, per la probabile mancata accettazione sia da parte di Baldo, sia di Lapo da Castiglionchio, sia del D., fu però cassata il 4 luglio 1366 (Gherardi, n. XLIX, p. 316).
Il ritorno a Firenze non dovette ad ogni modo tardare. E che il D. occupasse, una volta rientrato in patria, una posizione di tutto rispetto nella vita politica cittadina, lo si desume dalla legazione avignonese di cui gli Otto di balia lo incaricarono nel 1376, durante la cosiddetta guerra degli Otto santi, insieme con Pazzino di Francesco Strozzi e Michele di Vanni (o Donato Barbadori, come vuole il Pellini contro Marchionne di Coppo Stefani). La familiarità dimostratagli, pare, tempo prima da Gregorio XI (il 2 genn. 1375, secondo Cristoforo da Piacenza, il D. fungeva da avvocato presso la Curia) non produsse, però, alcun effetto. L'infelice esito dell'ambasceria non impedì ai Fiorentini di impegnare il D. in nuove legazioni presso il papa Gregorio XI, ormai rientrato in Italia (maggio 1377: ne facevano parte anche Pazzino Strozzi, Lapo da Castiglionchio, Simone di Ranieri Peruzzi e Benedetto di Nerozzo degli Alberti) e presso il nuovo pontefice Urbano VI (maggio 1378, con Mainardo e Pazzino Strozzi, Donato Barbadori, Astoldo Altovisi e Vieri de' Cambi: Pellini, pp. 1179 e 1218).
Dopo questa data si deve porre la morte del D.: egli è infatti ricordato insieme con altri otto membri illustri della sua famiglia, già scomparsi nel 1390, nel carme di Franco Sacchetti Lasso, Fiorenza mia, ch'io mi ritrovo (n. CCXLV, vv. 58-65): "Ne gli Antelesi, s'io ben riguardo, / nove ne vidi sì degne persone / ch'avrien governato ogni stendardo: / il vescovo e'l piovano e Simone, / Taddeo, Andrea, Zanobi e Giovanni / ed Allessandro col dolce sermone / decretalista, e colui ch'è poch'anni / messer Filippo l'ultimo morto".
Delle letture canonistiche del D. non sembrano restare oggi che poche testimonianze, nella forma di repetitiones o additiones (sebbene la repetitio al c. un., VI, 3, 10, sopra ricordata, sia talvolta menzionata come Tractatus de rerum permutatione o Tractatus de permutatione beneficiorum ecclesiasticorum). Oltre all'esemplare manoscritto menzionato dallo Schulte (Halle, Universitätsbibliothek, ms. Ye, fol. 79), se ne conoscono altri a Firenze (Biblioteca nazionale, Magl. XXIX,179), a Lucca, Biblioteca capitolare Feliniana, ms. 224 (già noto al Blume e presente ora nel Verzeichnis del Dolezalek) e presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2244 (Kuttner-Elze, I, p. 278).
Una seconda repetitio, al c. tibi qui, VI, de rescriptis (c. 12, VI, 1, 3), ricordata dal Blume nel ms. 349 della Biblioteca capitolare Feliniana di Lucca e nota al Fabricius in una non meglio identificata stampa incunabola (forse L. Hain, Repert. bibl., 4251; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, 5905; Ind. gen. d. incunaboli, 2367; Ascheri, Saggi, p.85 nota 40), ebbe una tarda edizione nella raccolta di repetitiones canonistiche stampata a Colonia nel 1618 (Ascheri-Brizio, p. 4).
Infine Additiones ad Iohannem Andreae super Clementinas sono ricordate dal Guizard (sub nom. Alexander de Autilla) presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Arch. S. Pietro,ms. A 29, a conferma di una affermazione del Diplovatazio, che voleva che le letture super Sexto e super Clementinis attribuite dal Tritemio ad Alessandro Tartagni fossero opera "Alexandri de Antilla Florentini" (Ascheri, Saggi, p. 94).
Fonti e Bibl.: Per la presenza del D. nello Studio patavino cfr. i documenti raccolti da A. Gloria, Monumenti della Università di Padova, II (1318-1405),Padova 1888, I, nn. 278 p. 126, e 550 p. 273; 2, nn. 1178 p. 39, 1197 p. 46; per gli anni senesi cfr. L. Zdekauer, Lo Studio di Siena nel Rinascimento, Milano 1894, p. 144 s., doc. VI, e G. Prunai, Lo Studio senese dalla o migratio" bolognese alla fondazione della "Domus Sapientiae" (1321-1408), in Bull. senese di storia patria, s. 3, IX (1950), pp. 39, 51. Per la condotta, poi cassata, presso lo Studio fiorentino, cfr. A. Gherardi, Statuti della Università e Studio fiorentino..., Firenze 1881, nn. XLII, XLIX, pp. 314-16; cfr. anche T. Cuturi, Baldo degli Ubaldi in Firenze,in L'opera di Baldo, Perugia 1901, pp. 375 e 393, note 50 e 52. Per i rapporti del D. con la Curia avignonese e per le legazioni durante la guerra degli Otto santi, si vedano Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, in Rerum Italic. Scriptores, 2 ed., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, p. 296 e P. Pellini, Dell'Historia di Perugia, pt. I, Venezia 1664, pp. 1166, 1179, 1218; cfr. G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I,Firenze 1875, p. 289; A. Segre, I dispacci di Cristoforo da Piacenza procuratore mantovano alla corte pontificia (1371-1383),in Arch. stor. italiano, s. 5, XLIII (1909), p. 70; G. A. Brucker, Florentine politics and society, 1343-1378,Princeton 1962, pp. 272 n. 83, 299, 327, 332, 348, 350, 353; B. Guillemain, La Cour pontificale d'Avignon (1309-1376)..., Paris 1962, pp. 573 n. 69, 606-608 n. 186; C. Piana, Nuove ricerche su le Università di Bologna e di Parma, Firenze 1966, p. 45 n. 3. Per il ricordo sacchettiano cfr. F. Sacchetti, Illibro delle rime, a cura di A. Chiari, Bari 1936, n. CCXLV, p. 287. Per le notizie sulla vita e le opere, con particolare riguardo ai manoscritti, si vedano le numerose indicazioni e correzioni di M. Ascheri, Saggi sul Diplovatazio, Milano 1971, pp. 80 n. 14, 83-85 nn. 29 e 40, 94 e n., 96-98; cfr. anche F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, III,Venetiis 1718, col. 150; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 15b-16a; F. Blume, Bibliotheca librorum manuscriptorum Italica, Gottingae 1834, p. 56; I. A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, I,Florentiae 1858, p. 58 b; J. F. von Schulte, Die Gesch. der Quellen und Literatur des canonischen Rechts, II,Stuttgart 1877, p. 232; E. Besta, Fonti, in Storia del diritto italiano, a cura di P. Del Giudice, I, 2, Milano 1925, p. 840; L. Guizard, Codices manuscripti Vaticani iuris canonici et civilis. Index auctorum,Città del Vaticano 1934, sub nomine; A. Van Hove, Prolegomena, in Commentarium Lovaniense in Codicem iuris canonici, I, 1, Maechliniae-Romae 1945, p. 490; G. Dolezalek, Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600, Frankfurt a. M. 1972, sub nomine;M. Ascheri-E. Brizio, Index repetitionum iuris canonici et civilis, Siena 1985, p. 4; A catal. of canon and Roman law manuscripts in the Vatican Libr., a cura di S. Kuttner-R. Elze, I, Città del Vaticano 1986, p. 278.