CRIVELLI, Alessandro
Figlio di Antonio, conte di Dorno e Lomello, e di Costanza Landriani, nacque intorno al 1511: tale data, che non coincide con quella generalmente accolta dai suoi biografi, si può ricavare dalla lapide del monumento funerario che lo stesso C. si fece costruire nella basilica di S. Maria in Aracoeli a Roma e dalla quale risulta che, nel 1571, egli aveva compiuto il sessantesimo anno di età.
Della sua gioventù non si conosce nulla, salvo che, in data imprecisata, abbracciò la carriera delle armi. Ma anche intorno a questo periodo della sua vita si sa poco: in uno strumento di procura del 4 nov. 1538 figura con il titolo di "caesareus capitaneus peditum" ed, infatti, in un documento posteriore, si accenna ai servizi da lui prestati nell'esercito imperiale sotto il comando di Antonio de Leyva (evidentemente nel 1535-1536) e alla partecipazione a successive operazioni militari in Piemonte; risulta, inoltre, che, tra il 1555 e il 1556, fu governatore militare di Abbiategrasso. Nonostante la frammentarietà di queste notizie, sembra però certo che alla testa delle sue truppe, egli diede buona prova di sé, come attesta un diploma di Carlo V del 20 marzo 1541, nel quale "... considerantes fidelia ipsius servicia nobis et pacis et belli temporum praestita" l'imperatore gli confermava l'investitura dei feudi di Domo e Lornello con l'annesso titolo comitale e l'esenzione generale perpetua da qualsiasi gravame fiscale.
A partire dal 1557 il C. - che precedentemente, ma in data non nota, si era sposato con Margherita dei conti Scarampi, dalla quale avrà sei figli - sembra avere abbandonato la vita militare, come almeno induce a ritenere la sua nomina a senatore il 23 febbraio di quell'anno, seguita, il 19 settembre successivo, da quella di decurione del Consiglio generale della città di Milano.
Sin dal mese precedente alla sua nomina, però, il Consiglio aveva deliberato di inviarlo in missione alla corte di Madrid, come risulta dalle apposite istruzioni, recanti la data del 18ag. 1557. In base ad esse, il C. avrebbe dovuto presentare, a nome non solo della città, ma dell'intero Stato, alcune richieste miranti a ottenere l'alleggerimento della pressione fiscale e la riduzione delle spese per il mantenimento delle truppe, nonché provvedimenti contro i disordini commessi dalla soldatesca.
Contrariamente a quanto alcuni autori hanno ritenuto, vi sono motivi per dubitare che il C. abbia effettivamente compiuto la missione progettata: avvalorano questa ipotesi, in primo luogo, l'assoluta mancanza di documentazione relativa a un viaggio e soggiorno in Spagna, e, in secondo luogo, la circostanza che egli figura tra i partecipanti a una seduta del Consiglio svoltasi il 13novembre successivo, il che induce ad escludere che, tenuto conto della durata del viaggio, egli abbia avuto la possibilità materiale, tra la seconda metà di agosto e la prima metà di novembre, di andare a Madrid, di portare a termine le trattative e di rientrare a Milano. là perciò probabile che, per motivi non noti, dopo la stesura delle istruzioni, le autorità cittadine abbiano rinunciato a inviare un loro rappresentante alla corte spagnola.
La svolta decisiva nella vita del C. doveva avvenire intorno al 1560, allorquando, rimasto vedovo, decise di abbracciare la carriera ecclesiastica. A spingerlo a questa decisione non dovette essere probabilmente estranea anche la circostanza che, il 26 dic. 1559, era stato innalzato al soglio pontificio, con il nome di Pio IV, il cardinale milanese Giovanni Angelo de' Medici, alla cui famiglia il C. era da tempo legato: ciò che è certo, comunque, è che il nuovo papa, il quale, sin dall'inizio del suo pontificato, aveva palesato una particolare propensione a scegliere i suoi più stretti collaboratori tra elementi di origine milanese, non mancò di accordare la propria protezione all'antico ufficiale degli eserciti imperiali. Il 25 febbr. 1561, infatti, gli conferiva la nomina a protonotario partecipante di numero e, pochi giorni più tardi, lo eleggeva vescovo di Cerenza e Cariati, sebbene l'interessato non avesse ancora ricevuto gli ordini maggiori, che infatti prenderà soltanto agli inizi del 1563. Nel novembre di quello stesso 1561, quindi, essendo improvvisamente deceduto a Madrid il nunzio pontificio Ottaviano Raverta, Pio IV designava il C. a succedergli nell'importante incarico.
La scelta del papa evidenziava il suo desiderio di rinsaldare i rapporti diplornanci con la Spagna nel momento in cui, in previsione dell'imminente riapertura a Trento del concilio, premeva particolarmente alla Santa Sede di poter fare affidamento sulla fattiva collaborazione di Filippo II al buon esito dei lavori conciliari: il pontefice - come doveva dichiarare il cardinale nipote Carlo Borromeo - aveva perciò deciso di inviare a Madrid il C., perché, mentre da un lato godeva della sua piena fiducia, dall'altro, per le passate benemerenze al servizio della Corona e per la sua condizione di vassallo della Spagna, sarebbe stato certamente gradito a Filippo II.
La missione affidata al C. si presentava particolarmente delicata. Sebbene, infatti, Filippo II fosse apertamente favorevole alla ripresa dei lavori conciliari, egli desiderava che il papa dichiarasse esplicitamente che non si trattava della convocazione di un nuovo concilio, ma della continuazione di quello sospeso nel 1552, dichiarazione che invece Pio IV voleva evitare di fare, perché ad essa erano contrari sia l'Impero, sia la Francia; inoltre, in Spagna si temeva che il diritto esclusivo di iniziativa conferito dal papa ai cardinali legati e sintetizzato nella nota formula proponentibus legatis mirasse ad imporre all'assise ecumenica le scelte della Curia romana, a scapito della libertà d'espressione dei padri conciliari. A complicare ulteriormente i rapporti con la Corona cattolica contribuiva inoltre la causa per eresia aperta contro l'arcivescovo di Toledo, Bartolomé Carranza, la cui sentenza definitiva il papa aveva riservato a sé, nonostante le insistenti richieste di Madrid affinché la decisione finale fosse lasciata all'Inquisizione spagnola, che ne stava istruendo il processo.
La complessità dei problemi sul tappeto spiega perciò le difficoltà che avrebbe incontrato il C. nella sua azione e la valutazione sostanzialmente negativa che a Roma si sarebbe data del suo operato. Particolarmente severo il giudizio che doveva esprimere su di lui un veterano della diplomazia pontificia, il cardinale Prospero Santacroce, il quale lascerà scritto che, nello svolgimento della sua missione in Spagna, il nunzio, pur brillando per la sua integrità morale, non aveva dato prova né di acume né di abilità.
Purtroppo la scomparsa della quasi totalità della corrispondenza del C. da Madrid non consente di verificare la fondatezza di questo giudizio: se è probabile che la sua mancanza di esperienza diplomatica abbia potuto pesare negativamente sull'esito di una parte almeno delle trattative da lui condotte, è però certo che furono la lentezza di decisione di Filippo II e le iniziative personali dei suoi rappresentanti a Roma ed a Trento, che non sempre coincidevano con la posizione ufficiale di Madrid, a mettere talvolta il nunzio in situazioni difficili ed a esporlo ai rimproveri di Pio IV che, in una occasione , nell'ottobre 1563, giunse ad accusarlo, con la violenza verbale che gli era propria, di farsi abbindolare dalle dichiarazioni menzognere dei suoi interlocutori, senza essere in grado di penetrarne le reali intenzioni.
Il rimprovero del papa appare però eccessivo ed è probabile che si trattasse di uno sfogo momentaneo, anche perché sarà poi lo stesso Pio IV ad elevare il C. al cardinalato. Nell'insieme, infatti, non si può dire che l'opera del nunzio in Spagna si fosse risolta in un totale fallimento, dal momento che, tutto sommato, Filippo II aveva finito con l'assecondare l'azione della Santa Sede in relazione allo svolgimento ed alla conclusione del concilio, anche se l'appoggio fu dato talvolta dopo ripensamenti e dilazioni. Così, la presenza permanente di un ambasciatore spagnolo presso l'assise ecumenica, che il C. aveva avuto incarico di trattare con il re nelle istruzioni con le quali era giunto a Madrid il 16 genn. 1562, fu ottenuta soltanto nel maggio del 1563 con l'arrivo del conte di Luna; sulla questione della libertà del concilio, invece, sin dall'agosto 1562 il nunzio aveva conseguito la rinuncia a tempo indeterminato del sovrano alla modifica della clausola proponentibus legatis; si trattò però di un successo effimero, perché la richiesta veniva un anno più tardi nuovamente presentata in concilio dal Luna. Non poco, poi, dovette faticare il C. per far sì che da Madrid si scrivesse ai vescovi spagnoli - i quali avevano assunto un atteggiamento di opposizione nei confronti dei legati papali, soprattutto nella difesa della tesi che l'obbligo di residenza dei vescovi si fondava sul diritto divino - di procedere di concerto con i rappresentanti pontifici, cosa che ottenne all'inizio dell'estate del 1562. Più difficile fu per il nunzio assicurare l'appoggio della Corona cattolica alla conclusione del concilio. Sin dal luglio 1561, Filippo II, dietro richiesta del C., si era impegnato a garantire la cooperazione dei prelati spagnoli e del suo ambasciatore a una sollecita chiusura dei lavori ed a respingere la proposta francese di traslazione del concilio a Costanza; ma a dispetto di tale impegno, a Trento, il Luna chiedeva, dapprima, nell'agosto, la convocazione dei protestanti e, quindi, nell'ottobre, la sospensione dei lavori. Rinnovando le pressioni sul sovrano, il nunzio ottenne nuove istruzioni per il Luna - il quale, stando alle assicurazioni di Filippo II, aveva agito di propria iniziativa - di modo che, il 4 dic. 1563, grazie anche, all'abile direzione dei lavori assunta dal cardinale Giovanni Morone, il concilio poté essere solennemente dichiarato concluso.
Nulla di concreto, invece, Poté conseguire il C. nella causa dell'arcivescovo Carranza perché, terminata la fase istruttoria del processo nel 1564, sia l'Inquisizione spagnola, sia lo stesso Filippo II, cercavano di rinviare l'estradizione del presunto colpevole, nella speranza che il papa finisse col rimettere al Sant'Officio di Spagna la sentenza, cosa che non avvenne: nel giugno del 1565, però, per venire in qualche modo incontro ai desideri di Filippo II, Pio IV decideva di inviare in Spagna un legato nella persona del cardinale Ugo Boncompagni, con l'incarico di pronunciare la sentenza a nome della Santa Sede. Altrettanto infruttuose furono le trattative per ottenere la riéonsegna a Roma di un religioso spagnolo riottoso, tale licenciado Esquivel, che Pambasciatore di Filippo II presso la Santa Sede Luis de Requeséns aveva fatto catturare, alla fine dell'ottobre 1563, mentre si trovava a Roma, ed inviato prigioniero in Spagna.
Nonostante, quindi, che il bilancio della sua missione non fosse complessivamente positivo, il 10 marzo 1565, il C. riceveva la porpora cardinalizia.
Quali fossero i reali motivi che "avevano spinto Pio IV" questa I promozione, non e noto: è probabile, però, che mentre da un lato il papa avesse finito col giungere ad una valutazione più equa dell'operato dei C., dall'altro desiderasse compiere un gesto di riguardo verso Filippo II "presso il quale il nunzio era accreditato e che aveva dimostrato di apprezzarlo" in un momento in cui, dopo il ritiro dell'ambasciatore spagnolo a Roma, ordinato dal sovrano a seguito di una controversia per questioni di precedenza, i rapporti diplomatici tra la Corona Cattolica e la S. Sede attraversavano una fase critica. È verosimile, inoltre, che alla promozione non sia stato estraneo il cardinale nipote Borromeo, che con il C. doveva mantenere stretti rapporti negli anni successivi.
Dopo il conferimento della porpora il C. rimase in Spagna ancora qualche mese. Partito da Barcellona nel novembre 1565, durante il viaggio lo raggiunse ia notizia della morte di Pio IV, avvenuta il 9 dic. 1565: a Roma, però il cardinale arrivò soltanto il 7 gennaio, pochi minuti dopo l'elezione di Pio V.
Durante il nuovo pontificato il C. non ricoprì incarichi di rilievo, sicché poté, negli anni successivi, allontanarsi ripetutamente dalla corte pontificia per compiere soggiorni in Lombardia. Sembra però che il papa nutrisse stima per lui, perché, nel 1568, dopo la sua rinuncia alla diocesi, Pio V lo chiamava a far parte di una speciale commissione cardinalizia per la conversione degli infedeli, primo germe della futura Congregazione di Propaganda Fide; in quello stesso anno, poi, lo nominava viceprotettore dell'Ordine francescano. Dato che il protettore, il cardinale Borromeo, risiedeva ormai nella sua diocesi di Milano, fu di fatto il C. ad eiercitare la carica e a cooperare con il papa - che lo riceveva frequentemente in udienza - all'opera di riforma dell'Ordine che, sulla scia delle decisioni conciliari, quest'ultimo aveva intrapreso. L'interessamento di Pio V per il cardinale doveva, del resto, manifestarsi anche in modo più concreto con la concessione, nel 1568, di una pensione di 600 scudi e, nel 1571, con il conferimento della commenda di San Giovanni alla Vigna di Lodi, le cui entrate si vennero così a sommare ai 1.500 ducati di pensione sulla mensa vescovile di Burgos assegnatigli nel 1567 da Filippo II.
Alla morte di Pio V il C. partecipò al conclave dal quale doveva uscire papa il cardinale Ugo Boncompagni, con il nome di Gregorio XIII. Secondo la diplomazia spagnola a Roma, che aveva ordine di appoggiare la candidatura dell'antico nunzio a Madrid qualora si fosse presentata un'occasione favorevole, egli aveva qualche probabilità di riuscita: in realtà, non sembra che nel conclave, peraltro durato meno di quarantott'ore, il suo nome sia stato preso seriamente in considerazione, anche se, oltre al sostegno della Spagna, risulta che poteva contare pure su quello del granduca di Toscana.
Con l'elezione di Gregorio XIII, avvenuta il 13 maggio 1572, la situazione del C. non subì alcun cambiamento. Morì di lì a poco, il 22 dic. 1574; con le disposizioni codicillari del 13 dicembre precedente, aggiunte al suo testamento, aveva istituito un fondo destinato a coprire le spese di tre suoi discendenti che avessero desiderato compiere i loro studi a Roma.
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