CONTARINI, Alessandro
Nacque, con ogni probabilità, a Venezia, il 7 marzo 1486 da Andrea di Pandolfo, dei Contarini da S. Sofia, e da una figlia di Bernardo Malipiero.
Appartenne ad una famiglia di grandi tradizioni marinare, di cui fu brillante continuatore, incarnando così la figura del patrizio veneziano formatosi in mare e che al mare dedica gran parte della sua vita, figura che si ricollegava alla più pura tradizione veneziana che in quegli anni mostrava i primi sintomi di un incipiente declino. Il padre era stato provveditore d'Armata; lo zio, anch'egli provveditore d'Armata, fu valoroso combattente e morì per mano dei Turchi; dei suoi sei fratelli, Bertucci, Marino, Pandolfo, Ettore, Pietro e Girolamo, il primo percorse una notevole carriera navale e mori mentre era imbarcato nel 1537; Pandolfo, anch'egli uomo di mare, fu protagonista di un brillante attacco a Durazzo ma in tempo di pace, sicché dovette subire provvedimenti punitivi da parte del Senato.
La prima notizia che abbiamo del C. risale all'agosto 1510: lo troviamo capitano di tre galee di Siria con le quali compiva continui viaggi nel Mediterraneo orientale: in Siria, a Cipro, in Istria, dove giunse dall'Oriente con un carico di frumento e d'olio. Nel 1513 era in terraferma, a Padova con il provveditore Cristoforo Moro, ma nel 1514 era nuovamente in mare, dove è anche possibile, in certa misura, seguire i suoi spostamenti, aventi il duplice scopo di sorveglianza militare e di trasporto di merci e di persone. Nel giugno di quell'anno dalle lagune di Marano sostenne con la sua nave i combattimenti contro gli Imperiali che si svolgevano in terraferma ed alla fine scrisse al Senato che la sua galea era ridotta in pessimo stato. Nell'agosto il Collegio lo richiamò urgentemente dall'Istria perché andasse a rafforzare la difesa di Chioggia; nel settembre disarmò la sua galea. Ma un mese dopo era di nuovo in mare col provveditore d'Armata Vincenzo Cappello, impegnato nella lotta contro pirati e banditi; in alcune lettere da Lesina parla dei banditi che "feno novità contro i nobili" e riferisce delle raccapriccianti repressioni messe in atto dal Cappello. Negli anni 1518, '19 e '20 fu eletto per tre volte sopracomito di galea; in precedenza dovette essere entrato in Senato, perché è ricordato come "fo di Pregadi". Nel giugno 1520 da una delibera dei Savi si deduce che il C. era uno dei pochi ad avere la galea armata e pronta a qualsiasi evenienza; pervengono talvolta notizie di sue scaramucce contro pirati e barbareschi.
Nell'ottobre 1520 fu tra i protagonisti di un episodio rivelatore di alcuni lati tipici dei suo carattere: la focosità e l'aggressività talvolta irriflessive, unite ad una grintosità più da militare che da politico, tutti modi di fare che di lì a qualche anno gli avrebbero procurato non pochi fastidi. In quel mese di ottobre, infatti, era tornato a Venezia e riferì al Senato di un violento attacco a tradimento dei Turchi alla sua galea a Corone, mentre egli era li per risolvere pacificamente un incidente di mare; in conseguenza di ciò lui ed il provveditore d'Armata Domenico Cappello avevano catturato delle fuste nemiche. Il fatto era però che l'incidente era stato causato dall'aver il Cappello ed il C. fermato e trattenuto delle navi munite di salvacondotto del bailo e di patenti dei sultano; la cosa aveva così provocato la reazione e le rimostranze dei Turchi ed Alvise Mocenigo, in Senato, voleva deferire i due capitani agli Avogadori come perturbatori dei delicati rapporti veneto-turchi a rischio di gravi conseguenze. Prevalse però alla fine l'opinione di Marco Foscari, savio di Terraferma, che sostenne un'azione più discreta di riparazione nei confronti dei Turchi, senza mettere a repentaglio il prestigio della Repubblica con una piateale punizione dei due responsabili. Nel gennaio 1521 il C. fu di nuovo in mare con il nuovo provveditore d'Armata Agostino da Mula; un mese dopo giunse a Venezia Domenico Cappello, che spiegò in Senato l'incidente di Corone, con il massacro di marinai veneziani scesi a terra per rifornirsi d'acqua e con la reazione veneta: nonostante ciò, per la cattura delle fuste turche "non fu laudato".
Nel 1522 la posizione del C. nell'Armata era ormai di primo piano: il suo nome figura immediatamente accanto a quello del provveditore. Nel dicembre 1523 venne eletto capitano delle galee di Barbaria, che si muovevano nella zona occidentale del Mediterraneo. Lo troviamo, infatti, a Tunisi, da dove trasporta importanti lettere e doni per la Signoria ed in Sicilia; scrive lettere da Orano. Nell'aprile 1525 ebbe in mare un altro incidente, questa volta con navi da guerra francesi ma per il suo comportamento in tale occasione fu lodato dal Senato. Nel maggio successivo giunse a Venezia con tre galee cariche di "molto oro"; riferì in Senato scusandosi di non saper parlare per aver sempre vissuto in mare, episodio che rivela ulteriormente il carattere dell'uomo, probabilmente non alieno da qualche atteggiamento polemico nei confronti di certe tendenze del patriziato veneziano.
Ciò non gli impedì però di uniformarsi all'uso, così frequente a Venezia nei momenti difficili, di ottenere cariche per denari: infatti, dopo essere stato per un certo periodo di tempo a Padova tra i responsabili della difesa della città, riuscì ad ottenere di essere mandato capitano a Creta dopo una tormentata serie di votazioni, combattute anche a suon di ducati. E di denari doveva averne abbastanza: infatti il suo nome ricorre, oltre che come capitano di galee della Repubblica, anche come attivo commerciante con l'Oriente e come armatore, insieme con i fratelli, di navi da trasporto; del resto i prestiti che effettua alla Signoria in quegli anni sono di entità mediamente piuttosto alta.
Nel 1530 lo troviamo, quindi, capitano a Candia, a fianco del duca di Candia, prima Giacomo Corner, poi Nicolò Nani; la sua corrispondenza con i capi dei Dieci ci permette di dare uno sguardo alle sue attività principali: lavori continui alle fortificazioni, reclutamento degli uomini, azioni contro le scorrerie delle fuste maltesi, problema della scarsezza di grano e di denari. Nel settembre 1532 tornò a Venezia e il 2 ottobre riferì in Senato. Prima di partire per Candia, il 17 genn. 1530, si era sposato con Paola di Giovanni Priuli. Per qualche tempo, dopo il suo ritorno da Candia, rimase a Venezia e nel 1534 venne eletto provveditore sopra i Banchi. Nel 1536 fu nominato provveditore generale d'Armata in un periodo in cui i rapporti veneto-turchi si erano fatti più tesi e, nel quadro di una serie continua di piccole provocazioni dall'una e dall'altra parte, una nave dei C. carica di mercanzie fu sequestrata presso Cipro e trattenuta dai Turchi. Nel 1537 il C. era in mare affiancato dall'altro provveditore Francesco Pasqualigo, con Girolamo Pesaro capitano generale da Mar; egli ebbe occasione di incontrare con la sua avanguardia un gruppo di galee turche: non si sa se perché le scambiò per navi corsare, come sostenne; o perché non fu da esse salutato, come potrebbe confermare il carattere del personaggio; o perché volle compiere una rappresaglia per il sequestro della sua nave, come sostennero i suoi accusatori, il C. assaltò quelle navi, tra le quali c'era la nave destinata a trasportare il sultano, affondandone due. La reazione turca fu immediata: oltre ad effettuare rappresaglie, dichiararono di ritenere violata la pace. Per il momento il C. continuò a rimanere in mare e fu tra i protagonisti della sfortunata guerra contro i Turchi scoppiata appunto in quell'anno. Davanti a Corfù fece "cose egregie"; nel '38 le sue navi erano unite a quelle pontificie ed imperiali; dopo la sconfitta e la pace con i Turchi diresse con malcelata, rabbiosa tristezza lo sgombero da Napoli di Romania e da Malvasia. Il 28 giugno 1538 era stato creato, in sua assenza, procuratore di S. Marco, probabilmente per l'intervento dei suoi familiari; ma il raggiungimento, sostanzialmente imprevisto, della massima carica della Repubblica dopo quella dogale fu dovuto ad un notevole esborso di ducati, in un periodo di grave crisi finanziaria per Venezia. Nel 1539 era tornato a Candia come capitano generale, con l'ordine di armare venticinque galee e di tenerle sempre pronte a muovere contro i Turchi.
Nel 1540, al suo ritorno a Venezia, il C. venne immediatamente citato dall'avogadore Pietro Mocenigo per il fatto del 1537. Ne seguì un dibattito particolarmente intenso, che finì per ruotare anche attorno a questioni di principio. Il problema era infatti se nei momenti di pace, pace sempre instabile, con i Turchi, i quali cercavano continuamente pretesti per rompere quell'equilibrio che sostanzialmente imbrigliava la loro maggiore forza, bisognasse comportarsi in modo assolutamente corretto, accontentando le pretese di Costantinopoli e punendo i colpevoli di rischiose iniziative; o se invece bisognasse mettersi sul piano dello scontro mostrandosi forti con il nemico, dissuadendolo dall'osare e dal provocare oltre: era la stessa questione in cui il C. si era trovato coinvolto nel 1520, questa volta però molto più grave. Alla fine, specie per l'appassionato intervento di Nicolò da Ponte, prevalse la tesi del Senato di "conservare certa pubblica dignità" su quella dell'Avogaria di punire il C., il quale finì per essere lodato per il suo ardimento e la sua virtù.
Nel 1542 fu eletto provveditore sopra le Fortezze, carica che ricoprì una seconda volta nel 1547; ricoprì poi probabilmente una serie di cariche, nelle quali non è indicato con accanto il nome dei padre; l'Alessandro Contarini di cui si parla in quelle occasioni è però, in base a considerazioni cronologiche e al confronto con la contemporanea attività dell'altro Alessandro figlio di Imperiale, quasi sicuramente il C., che viene tra l'altro indicato come procuratore: nel 1545 fu, quindi, provveditore al Collegio della milizia da mar; quindi provveditore sopra i Luoghi inculti; nel 1547 fu incaricato di armare le triremi con i condannati; nel 1548 fu tra i sedici nobili tansadori.
Si ha l'impressione che negli ultimi anni della sua vita il C. riuscisse a realizzare quell'ingresso nei massimi organi politici della Repubblica dai quali lui, uomo di mare, era parso fosse rimasto escluso. Si registrano infatti suoi interventi in Collegio, particolarmente su questioni concernenti i domini veneziani di mare; nel 1552 fu eletto savio dei Consiglio. Un anno dopo, il 16 marzo 1553, moriva a Padova.
Venne sepolto nella basilica di S. Antonio in un bel mausoleo disegnato da Michele Sanmicheli con inciso un elogio che esalta le sue doti guerresche e marinare redatto dai fratelli Pietro e Pandolfo, particolare che confermerebbe il fatto che il C. non ebbe figli. L'importanza della sua figura di uomo di mare è confermata dal fatto che il C. compare come uno dei principali interlocutori nel noto dialogo di Cristoforo Canal Della milizia marittima.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Libro d'oro, Schedario matrimoni, ad vocem;Ibid., Segretario alle voci, Elez. del Maggior Consiglio, reg. 1; Ibid., Elez. dei Senato, reg. 1; Ibid., Capi Consiglio dei Dieci, Lettore di rettori, b. 285, ff. 33-35; Ibid., M. Barbaro, Arbori de' patritii veneri, II, c. 514; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Ital., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, IlCampidoglio veneto, II, c. 313v; M. Sanuto, Diarii, IX, XI, XV, XVII-XIX, XXVI, XXVIII-XXIX, XXXII-XXXVIII, XL-XLVII, XLIX, LI-LVIII, Venezia 1879-1903, ad Indicem;C. Canal, Della milizia marittima, a cura di M. Nani Mocenigo, Roma 1930, passim;P. Paruta, Historia vinetiana, Venezia 1719, I, pp. 657, 665, 687; II, pp. 84, 120; A. Morosini, Historia venera, I-III, Venezia 1719-20, ad Indicem;T. Tamanza, Vita dei più celebri architetti e scultori che fiorirono nel sec. XVI, Venezia 1778, pp. 185-87; A. Bigoni, Il forestiere istruito, Venezia 1830, pp. 74-75; G. A. Moschini, Guida di Padova, Venezia s.d., pp. 34. 40; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, II, Venezia 1827, pp. 18, 124; III, ibid. 1830, pp. 235, 236; V, ibid. 1842, p. 543; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, III, Stuttgart 1934, pp. 30, 53.