CAPRA, Alessandro
Non possediamo documenti che indichino con precisione i termini cronologici della sua vita. Tuttavia, da alcuni dati indiziari, è legittimo ritenere il C. nato da Agostino (Mazzuchelli) nei primi anni del sec. XVII: infatti, l'incisione inserita dopo il frontespizio del suo più famoso trattato lo dice, nell'anno 1672, di sessantaquattro anni di età. Questa testimonianza, tenendo anche conto degli inevitabili scarti fra l'esecuzione della lastra e la pubblicazione del volume, si accorda sostanzialmente con quanto asserisce il principale biografo del C., Giambattista Zaist, il quale pone la data della sua nascita "sul principio del secolo". Non ci sono, viceversa, dubbi per ciò che riguarda il luogo d'origine del C., Cremona, città dove egli trascorse la maggior parte della sua esistenza, fino alla morte, abitando la casa attigua alla chiesa di S. Leonardo. Per la sua formazione culturale dovette essere fondamentale l'amicizia che lo legò a Iacopo Erba, sotto la cui guida apprese i rudimenti della pratica architettonica, ma anche elementi di goniometria, di geometria, di gnomonica, di tecnica della fortificazione.
Sempre tramite i buoni uffici del maestro, ed anzi al suo fianco, il C. fu impiegato al servizio di Gonzalo Fernández de Cordoba e Ambrogio Spinola, governatori spagnoli dello Stato di Milano. In quel periodo di tempo, fra 1628 e 1630, il giovane architetto ebbe modo di prender coscienza delle tecniche più avanzate dell'arte bellica, approfondendo le proprie cognizioni in campi di studio affini, sempre tuttavia, legati alla sperimentazione funzionale e all'esercizio empirico. Così, frequentò "molti virtuosi geometri di diverse nazioni" (Zaist), presenti e attivi nel Milanese, specialisti di fortificazioni come il Barca, esperti d'idraulica e di economia agricola, tanto da distinguersi al livello dei più reputati e qualificati conoscitori del settore. Ma, proprio per la peculiarità decisamente orientata dei suoi interessi, mentre dovette venir proficuamente impiegato nella costruzione di macchine, di strumenti bellici e di trasporto, in "invenzioni" dove la sua esperienza trovava pieno campo dapplicazione, e comunque in lavori specifici di tecnica ingegneristica o di sistematone territoriale, ben raramente ebbe modo di cimentarsi in imprese di progettazione architettonica di risonante consistenza. Secondo la testimonianza addotta dai suoi stessi scritti, si limitò prevalentemente ad interventi di ristrutturazione e restauro come, ad esempio, nel coro della chiesa di S. Francesco e nel collegio dei gesuiti di Cremona (v., anche, Bonacina).
La sola prova sicura e tangibilmente documentata di un'opera di rilevante portata si riferisce al progetto che elaborò per la cattedrale di Pontremoli, dedicata alla Madonna del Popolo. Come attestano le delibere comunali (riportate dal Dezzi Bardeschi), fin dal 1620 si manifestò la precisa volontà da parte degli organi governativi della città di rinnovare l'antico tempio; negli anni successivi, il proposito venne più volte riaffermato e ribadito. Soltanto nel 1630, però, s'accerta l'espressione del voto concreto, nell'occasione della pestilenza che si accaniva sulla regione, di erigere una sede cattedrale "suntuosa, nobile, e capace del popolo quanto più possibile". Interpellato, il C. - che, dunque, nonostante la giovanissima età, già doveva godere di una certa reputazione come pubblico architetto dello Stato di Milano - nel 1633 forniva un dettagliato progetto che, dopo qualche incertezza, venne approvato e messo in opera: abbastanza sollecitamente, visto che, tre anni dopo, fu posta la prima pietra e fu aperto ufficialmente il cantiere. Per quel che è dato evincere dalla lettura della fabbrica attuale (il tempio fu aperto al pubblico, ancora incompiuto, nel 1687 e, dunque, dopo la morte del suo ideatore; fu definitivamente consacrato nel 1723 e la facciata fu completata nel 1879 dall'architetto V. Micheli), condizionata dal peso di ulteriori rimaneggiamenti, constatiamo una sostanziale concordanza con i principi programmatici espressi dal C. nei trattati, cioè una semplicità d'impianto lontana da cedimenti al "capriccio" barocco e, al tempo stesso, una massiccia solennità di proporzioni, solo alleggerita dallo svettare centrale della cupola che, come attesta il Ricci, emana "un movimento talmente svelto, ed ardito da farsi tosto ammirare".
Fra il 1647 e il 1648 il C., tornato ai consueti interessi, si adoperò in difesa della città natale, ancora al servizio degli Spagnoli, durante un episodio della guerra dei Trent'anni che vide Cremona posta in stato d'assedio. Così poté esercitare i suoi talenti nei più diversi campi: costruendo mulini a trazione, dighe per dirigere le acque secondo esigenze strategiche, contrappesi per facilitare l'uso delle campane, un nuovo tipo di trombe, oltre a più dilettose invenzioni quali sistemi di fontane di particolare ingegnosità e complicati meccanismi idraulici per rinfrescare gli ambienti. In quest'attività trascorse il resto della vita, fra la considerazione e la stima dei concittadini, dedicandosi sia alla elaborazione di nuovi artifici sia studiando e scrivendo sui prediletti argomenti. La sua produzione è, di fatto, cospicua: nel 1671 compose una Geometriafamigliare,ed istruzione pratica..., pubblicata a Cremona per i tipi di Pietro Zanni. L'anno successivo Paolo Puerone gli stampò, sempre a Cremona, la Nuova architettura dell'agrimensura di terre,ed acque..., e nel 1673 riprese, ampliandolo, il suo primo testo in Le due prime parti della geometria famigliare.... L'opera di maggior importanza, Della architettura famigliare..., fu stampata a Bologna nel 1678 dalla tipografia di G. Monti che, nel 1683, pubblicò pure La nuova architettura militare..., e tutte e due furono successivamente ripubblicate a Cremona nel 1717 in un'edizione unica, dopo la morte del C., dedicata dagli editori a F. Arisi che vi premetteva un dettagliato "elogio dell'autore".
Il ritratto fisico che del C. ha lasciato il Bonacina ("fronte spaciosa, bocca piccola, vicina al naso, e questo lungo, occhi vivi, umidetti risplendenti, e alquanto grandi, capelli quasi distesi, e le due linee mercuriali tra le ciglia"), forse esemplato sulla citata incisione che lo raffigura - per quanto il Bonacina con tutta probabilità abbia potuto fare di persona i propri rilievi -, è emblematico di un carattere e di una sensibilità che, per i conterranei, avrebbe richiamato l'attitudine di ingegni famosi e dello stampo di Alessandro il Grande e Pico della Mirandola. "Uomo assai timorato, e dabbene" (Zaist), acquisì benemerenze nei confronti dei governanti locali, anche adoperandosi per studiare e debellare con progetti d'argini le piene del Po (egli stesso afferma, nella Nuova architettura famigliare, di essersi distinto in quest'attività nel 1670 a Casalmaggiore).
I suoi proficui interventi gli valsero, oltre all'attestato del vicario del Tribunale di provisione di Milano che, nel 1658, lo qualificava giovevole alla "utilità pubblica" (il documento è inserito nella Nuova architettura dell'agrimensura... ), anche la chiamata - in un anno non precisato dalle fonti - alla corte di Madrid dove, tuttavia, egli non giunse, poiché, ammalatosi durante il viaggio, fu costretto al ritorno. Non conosciamo con precisione l'anno della morte ma, sulla base di dati indiziari costituiti dalla pubblicazione del suo ultimo trattato e dall'uscita, ormai postuma, di un libretto del figlio Domenico, possiamo porla tra 1683 e 1685.
Nonostante la fama di cui il C. godette ai suoi tempi, è il caso di sottolineare come il suo nome, al di là delle citazioni dovute agli storici cremonesi, sia stato quasi completamente ignorato dagli studi più recenti, a parte alcune brevi note nei repertori d'obbligo, sino al recupero in un ampio saggio di rivalutazione (Dezzi Bardeschi). Il contributo oggettivo di considerevole interesse, che qualifica il C. come personalità meritevole di un più attento esame e di una opportuna riconsiderazione è costituito dai diversi trattati che egli compose, dedicati per lo più all'approfondimento dei problemi teorici che sempre lo appassionarono ed in particolare all'architettura, intesa non solo come tecnica costruttiva ma come coacervo di regole generiche con le quali impostare e risolvere le più diverse situazioni. Secondo il C., infatti, l'architettura è "scienza che pone i veri principi, e documenti per fare una cosa bene aggiustata, e s'accosti alla perfezione più che sia possibile, che così appunto Dio si chiama Supremo, e Divino Architetto, perché nella creazione del mondo perfettissime fece tutte le sue opere". Così nel più famoso e più rilevante dei suoi scritti, La nuova architettura famigliare..., si passa con grande disinvoltura dagli "avvertimenti per governar terre" (del resto già proposti e analizzati nel precedente trattato sulla Nuova architettura dell'agrimensura...) agli "avvertimenti a' padroni delle fabbriche", a questioni riguardanti i sistemi di misurazione, ai "principi della geometria", a dettagliate descrizioni di macchine dai più diversi usi (del resto, come l'autore stesso tiene a chiarire, l'aggettivo "famigliare" inserito nel titolo vuol appunto significare che i soggetti che vengono trattati sono "cose usuali, che più riusciranno curiose, e utili"). Ma, nell'apparente eclettica disinvoltura con cui il C. trascorre fra i più diversi campi di specializzazione, rileviamo anzitutto una aggiornata e documentata informazione e una capacità di sintesi che, davvero, riduce il pensiero a sistemazione unitaria. Il C., infatti, opera un puntuale riferimento ai grandi trattatisti del Rinascimento che dimostra di aver conosciuto e ben assimilato. Oltre ai più banali richiami a Vitruvio, letto nell'edizione del Cesariano, con cognizione di causa è effettuato l'uso dello Scamozzi, del Serlio, del Vignola, del Palladio; né mancano richiami a testi meno noti come quelli di Pietro della Valle, del teorico di fortificazioni Pietro Antonio Barca, del matematico N. Tartaglia, dell'idraulico G. B. Barettieri, del teorico di stime B. Cipolla. Su codesta base teorica garante il C., nelle sue dissertazioni giustifica e articola il suo intento essenziale diretto a funzionalità pratiche: sono abolite le divagazioni polemiche e le descrizioni fini a se stesse e troppo dettagliate, mentre i concetti risultano espressi semplicemente e senza indugi, nella prospettiva dell'uso funzionale. La diatriba, allora fervente, fra i fautori del classicismo e gli "eretici" barocchi sembra lasciare il C. alieno da critiche animose e violente; dichiarata apertamente la sua posizione - quella di un conservatorismo di principio, estraneo alle ardite sperimentazioni del "capriccio" - rinunzia ad accanirsi poi contro gli "infiniti spropositi" dei suoi contemporanei che si guarda bene dal nominare dal momento che - afferma - "non amo la confusione, o vergogna altrui, ma solamente bramo l'emendazione degl'errori, affinché rieschino le fabbriche non degne di biasimo, ma sì ben meritevoli di lode e di fama immortale". Ancor più rigoroso, ma anche vivace il C. si dimostra nel trattare gli argomenti specifici e a lui più consueti del suo "mestiere" concretamente e giornalmente vissuto. Così, a leggere le puntigliose rassegne dei vari sistemi di misure, di regole matematiche ed empiriche per prendere la distanza fra diversi punti, o calcolare le superfici e i volumi dei solidi (colonne, volte, sfere, pietre, balle di fieno, ecc.), come anche di strategia alluvionale, appare evidente il legame fra una tale tematica e il filone, ricco di contributi, dedicato alla tecnica ingegneristica dove la prassi tecnologica ha ormai sostituito le proposte di "modelli" del perfetto costruire. In quest'ordine, la dottrina del C. sembra direttamente derivare dal razionalismo scientista tardomanieristico, affermatosi nel granducato di Toscana attraverso la tecnocratica politica dei sovrani, ma trasmesso alle corti del Nord e colà attestato dal proliferare di iniziative riformistiche come dalla grande diffusione della trattatistica militare. Sintomo di un tale atteggiamento, nel C., è l'esaltazione della "macchina", ultima conquista della polemica antinaturalistica come superamento e ratonalizzazione del mito astrologico. Il quinto libro della Nuova architettura famigliare... è interamente dedicato alla ideazione di fantastici quanto elaborati meccanismi, atti per le loro virtù a suscitare la compiaciuta meraviglia dei lettori o di coloro che avevano avuto la grazia di assistere agli esperimenti del maestro: dato che, si rileva, si tratta di proposte già verificate nella pratica dal Capra. E si tratta, ad esempio, di una "tromba di bronzo" che sputa acqua "in altezza d'una torre" o della "fontana perpetua" che fu esposta al pubblico nel giorno del Corpus Domini e rimase all'aperto "alla curiosità della città", fra 1643 e 1645, fra la stupita ammiratone degli abitanti; ovvero della "ruota meravigliosa, che girando forma un movimento perpetuo", studio al quale più di ogni altri si dedicò e che gli valse l'ammirazione degli specialisti (Lana).
Egualmente, abilissimo nell'allestimento di apparati scenici, il C. non si limitò a ricercare facili effetti come "voli e... cadute d'uomini", ma si misurò in arditissime figurazioni che rappresentavano via via "uno a cavallo sopra un arcobaleno", "il salire in giro, ed intreccio [di] quattro personaggi al Cielo", il "tramutar le nuvole in un tempio", il "tramutare il proprio pavimento... in mare ondoso" e in altre ingegnose finzioni teatrali le più clamorose delle quali furono, a sentire il Bonacina, effettuate a Venezia. La testimonianza attendibile del più devoto scolaro (Bonacina) rappresenta il C. negli ultimi anni di vita, nella sua casa-laboratorio, circondato dai modelli dei meccanismi da lui escogitati, "tutto intento al beneficio, ed utile del prossimo", ormai logorato nella vista e nella salute dal continuo lavoro che gli aveva permesso di produrre un tale "arsenale di stromenti e di pellegrine invenzioni". In quel periodo di tempo meditava, appunto, uno specifico trattato dedicato agli ultimi suoi interessi. Come lo stesso C. annuncia nelle pagine della Nuova architettura famigliare..., doveva trattarsi di un volume diviso in quattro libri relativi alla costruzione di "orologi a sole", ai "cinque ordini dell'architettura civile", alla maniera... di fabbricar scene e macchine per uso de' teatri", all'architettura militare; testi che, alla sua morte, rimasero manoscritti: e della cui esistenza - essendo oggi perduti - ci testimoniano le fonti (Lana, Arisi). È da ritenere con lo Zaist che l'opuscolo che il figlio Domenico compose e che fu pubblicato a Bologna nel 1685 (Il vero riparo,il facile,il naturale,per ovviare,e rimediare ogni corrosione,e rovina di fiume,e torrente abbenché giudicata irrimediabile) sia non solo in gran parte ispirato agli insegnamenti del padre, ma che testimoni le ultime sue meditazioni. Resta alquanto dubbio se si debba riconoscere in questo quel figlio del C. che abbandonò ad un certo momento la vita laica "tra i Carmelitani Scalzi si chiamò Giusto da S. Agostino" (Mazzuchelli). Per certo a Giusto pervennero "diverse scritture a penna intorno orologi" lasciate dal padre e che passarono quindi in dono all'Arisi.
Fonti e Bibl.: C. A. Bonacina, Lettera del 20 sett. 1693 da Aliumte, in A. Capra, La nuova archit. civile e militare, Cremona 1717, pp. or-3v; F. Lana, Magisterium Naturae,et Artis, Brescia 1684, probl. 10; G. Guarini, Archit. civile, Torino 1737, I, p. 1; F. Arisi, Cremona literata..., Cremona 1741, III, p. 5; P. Orlandi, Abecedario pittorico, Venezia 1753, p. 563; Biblioteca Apost. Vaticana, Vat. lat. 9265: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, f 285rv; G. B. Zaist, Memorie istor. de' pittori,scultori e architetti cremonesi, Cremona 1774 II, pp. 94-97; B. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1783, III, p. 101; V. Lancetti, Biogr. cremonese, Milano 1820, II, p. 357; S. Maffei, Verona illustr., Milano 1826, IV, p. 172; A. C. Quatremère de Quincy, Diz. stor. di arch., Mantova 1842, II, p. 353; A. Ricci, St. dell'architettura in Italia..., Modena 1859, III, p. 642; G. Campori, Mem. biogr. degliscultori,architetti... di Carrara, Modena 1873, p. 298; U. Lazzeroni, Cenni stor. intorno alla catt. diPontremoli..., Parma 1887; P. Bologna, Artisti ecose d'arte e di storia pontremolesi, Firenze 1898, p. 96; M. Dezzi Bardeschi, Su A. C. …, in Studisecenteschi, IV(1963), pp. 45-79; Diz. encicl. diarch. e urb., I, p. 484; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 553.