ROSSI, Aldo
– Nacque a Milano il 3 maggio 1931 da Ettore e da Angela Mantovani.
A soli undici anni, nel 1942, a causa della guerra si trasferì con il fratello Edoardo sul lago di Como, dove frequentò le scuole medie inferiori presso il Collegio arcivescovile Alessandro Volta di Lecco, diretto da padri somaschi. A distanza di molto tempo lo stesso Rossi riconobbe a questa prima formazione la capacità di segnare profondamente la sua vita sia per l’immaginario riferito al paesaggio lacustre sia per l’educazione cattolica molto marcata allora ricevuta.
Tornato nel 1944 a Milano, terminò la scuola media e cinque anni dopo conseguì la maturità presso il liceo scientifico Leonardo da Vinci. Nel 1950 si iscrisse alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano, dove si laureò nel 1959, scegliendo come relatore l’architetto Piero Portaluppi, allora preside, con un progetto di tesi per un centro culturale e un teatro nel capoluogo lombardo.
Durante la formazione universitaria iniziò il suo impegno politico e la conseguente militanza all’interno del Partito comunista italiano. In quegli anni scrisse diversi articoli per il settimanale Voce comunista, il primo dei quali, La coscienza di poter ‘dirigere la natura’ (1954, n. 31), redatto dopo un viaggio in Unione Sovietica organizzato nel 1951 dal partito, evidenzia come Rossi avesse preso consapevolezza del ruolo dell’architettura in relazione alla storia civile dell’epoca. Poco più tardi, un altro saggio, Il concetto di tradizione nell’architettura neoclassica milanese, pubblicato nel 1956 su Società (n. 3), riprende e sostanzia la necessità di ricondurre l’architettura a un’arte realista e popolare.
A partire dal 1956, ancora studente, iniziò a lavorare nello studio di Ignazio Gardella, e successivamente presso quello di Marco Zanuso. Negli stessi anni, accanto all’attivismo politico e alle collaborazioni con alcuni periodici tra cui Il contemporaneo, Comunità, Società, iniziò il suo lavoro di ricerca all’interno della rivista Casabella-Continuità, punto di riferimento per la cultura architettonica italiana, sotto la guida di Ernesto Nathan Rogers. Dal 1955 al 1958 fu collaboratore saltuario con alcuni scritti e recensioni, tra i quali il saggio sull’architettura di Alessandro Antonelli nel rapporto con il romanticismo europeo; dal 1958 entrò a far parte del Centro studi della rivista (con Luciano Semerani, Francesco Tentori, Silvano Tintori), dove ebbe modo di approfondire l’architettura dell’Illuminismo, a partire dagli studi compiuti nel 1933 dallo storico Emil Kaufmann, l’opera e la figura di Adolf Loos, al quale la rivista dedicò un numero monografico nel 1959, e ancora l’architettura tedesca, presentando, nel 1960, il lavoro di Peter Behrens sul tema dell’abitazione moderna; infine dal 1961 fino al gennaio del 1965, anno in cui Rogers lasciò la direzione, fu redattore al fianco di Tentori.
La sua prima esperienza progettuale risale al 1960: una villa immersa nella pineta a Ronchi, frazione di Massa, costruita in calcestruzzo armato, intonacata e passata a calce come nella tradizione delle bianche case di vacanza della Versilia; nel progetto, redatto con Leonardo Ferrari, la memoria locale si unisce, in una composizione razionale, ai tanti progetti di abitazioni unifamiliari di Loos.
Tra il 1960 e il 1963 i primi concorsi di architettura nacquero dalla collaborazione con Luca Meda e Gianugo Polesello, con i quali Rossi condivise il suo primo studio a Milano in corso di Porta Vigentina. Il progetto per il monumento alla Resistenza a Cuneo e il progetto per il centro direzionale di Torino, entrambi del 1962, dimostrano, seppur in due scale dimensionali opposte, un unico ragionamento che, da una geometria pura delle forme, costruisce la qualità dello spazio, delle percorrenze, delle relazioni con il contesto. Qualche anno dopo, nel 1964, la collaborazione con Meda portò al progetto per la XIII Triennale di Milano, con la realizzazione di un ponte triangolare in ferro per collegare il Palazzo dell’arte al parco Sempione e di un allestimento composto da frammenti di muri all’interno del parco stesso.
Nel 1963 Rossi iniziò la sua esperienza accademica, prima come assistente di Ludovico Quaroni alla Scuola di urbanistica di Arezzo e poi – nello stesso anno – come ricercatore con Carlo Aymonino presso l’Istituto universitario di architettura di Venezia (IUAV). Nel corso di caratteri distributivi degli edifici, tra il 1963 e il 1966, si svilupparono i primi studi di analisi urbana nel rapporto tra tipologia edilizia e morfologia cittadina come base imprescindibile del progetto di architettura; il contributo di Rossi apparve subito decisivo e autonomo grazie agli approfondimenti riferiti agli studi di storia urbana di scuola francese e soprattutto tedesca.
A trentaquattro anni, nel 1965, conseguì la libera docenza in caratteri distributivi degli edifici al Politecnico di Milano, dove nel 1969 divenne professore ordinario di composizione architettonica.
In quegli stessi anni, tra il giugno del 1963 e la fine del 1965, scrisse quello che provocatoriamente avrebbe dovuto essere un Manuale di urbanistica e che invece, con il maturato titolo L’architettura della città, divenne immediatamente un testo di riferimento in Italia come all’estero; un saggio complesso in cui è facile trovare ancora oggi la capacità analitica dello studioso, così come le domande aperte dell’architetto in una sorta di manifesto di teoria urbana.
La prima edizione del libro venne pubblicata nel 1966 dalla casa editrice Marsilio, fondata nel 1961 a Padova, tra gli altri, dall’amico Paolo Ceccarelli; la scansione dei capitoli – Struttura dei fatti urbani, Gli elementi primari e l’area, Individualità dei fatti urbani. L’architettura, L’evoluzione dei fatti urbani – raccolse un inatteso successo, riportando alla luce l’inscindibile rapporto tra città, storia e architettura nella sua valenza interdisciplinare e diventando negli anni base di studio e discussione nelle scuole d’Europa, degli Stati Uniti e poi di tutto il mondo.
Tra il 1965 e il 1970 Rossi assunse la direzione della collana POLIS, quaderni di architettura e urbanistica per Marsilio; il progetto editoriale raccolse la maggior parte della sua produzione critica, portando a maturazione molti degli interessi costruiti nel tempo, tra i quali, sicuramente il più importante, la pubblicazione nel 1967 di Architettura. Saggio sull’arte, di Étienne-Louis Boullée, di cui curò la traduzione e scrisse l’introduzione. Come già avvenuto per la lettura critica di altri architetti – Loos, Mario Ridolfi, ad esempio – Rossi rovesciò la visione più canonica del lavoro di Boullée sottolineando quel «razionalismo esaltato» che sarebbe divenuto fulcro della sua stessa poetica.
Le ricerche compiute in quegli anni, la crescente stima in ambito accademico così come la sempre maggiore attività progettuale, portarono Rossi a intraprendere i primi viaggi all’estero, soprattutto in Spagna, durante i quali ebbe modo di legarsi a un gruppo di architetti catalani guidati da Salvador Tarragó Cid. Questo rapporto preferenziale con la penisola iberica, il cui momento più intenso sarebbe stato vissuto alla metà degli anni Settanta in un frangente storico-politico cruciale per la caduta delle dittature di Spagna e Portogallo, nacque attorno alla redazione della rivista 2C Construccion de la ciudad e ai Seminari internazionali di architettura di Santiago de Compostela (inaugurati con la sua direzione nel 1976), e rappresentò fin dai primi momenti per Rossi un naturale sistema di riferimento per la sua componente figurativa divisa tra luoghi conosciuti e oggetti immaginati.
Nel frattempo, nel dicembre del 1965, a Zermatt, Rossi aveva sposato Sonia Gessner, e dal loro matrimonio erano nati i figli Fausto (1966) e Vera (1968).
Tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta l’attività progettuale cominciò ad assumere un ruolo predominante, tanto nelle architetture costruite quanto in quelle rimaste su carta, producendo nell’insieme una vera e propria tendenza architettonica; la sistemazione della piazza del Municipio di Segrate (1965), l’unità d’abitazione al quartiere Gallaratese di Milano (1968-73), la scuola elementare a Fagnano Olona (1972-76) e la scuola media a Broni (1979-81), rappresentano un percorso coerente che via via chiarisce il procedimento rossiano di composizione e scomposizione di volumi, pezzi o forme pure in un profondo ragionamento tipologico.
L’ampliamento del cimitero di S. Cataldo a Modena, progettato nel 1971 con Gianni Braghieri, con il quale da quel momento Rossi avrebbe condiviso molti progetti, è forse l’esempio principale di questo procedimento che si misura con la dimensione urbana. Il progetto osteologico, costruito a partire dal 1976 e oggi ancora incompiuto, è interpretato come ‘città dei morti’, recinto che assomma volumi in linea ed elementi monumentali.
Il 1971 rappresentò un momento di passaggio nella vita accademica di Rossi: sospeso dall’insegnamento assieme ad altri membri del Consiglio di facoltà del Politecnico con un provvedimento firmato dal ministro della Pubblica Istruzione (il provvedimento si riferisce a «gravi mancanze ai doveri inerenti alla loro posizione di professori» riscontrate nelle sperimentazioni didattiche non autorizzate introdotte dagli stessi docenti), fu reintegrato nel 1974, ma decise di non fare ritorno nell’ateneo; nel frattempo, tra il 1972 e il 1975, fu invitato a insegnare all’ETH (Eidgenössische Technische Hochschule), scuola politecnica federale di Zurigo. Dal 1976 fu professore ordinario di composizione architettonica allo IUAV e dallo stesso anno iniziarono i sempre più frequenti contatti con le maggiori università statunitensi (tra cui la Cornel University di Ithaca e la Cooper Union di New York). Diviso tra l’Italia e la Svizzera, si consolidò attorno alla sua figura un gruppo di giovani studiosi che con lui diedero vita, nel 1973, alla sezione di architettura della XV Triennale di Milano diretta dallo stesso Rossi con il titolo Architettura razionale. In questa occasione egli realizzò, con Braghieri e Franco Raggi, il film Ornamento e delitto (omaggio all’omonimo saggio di Loos del 1908) per la regia di Luigi Durissi, dove emerge l’interesse di Rossi per tutte le discipline artistiche, la letteratura, il teatro ma soprattutto il cinema. L’anno successivo espose alla Biennale di Venezia La città analoga, «un’opera collettiva» nelle sue stesse parole, dove «gli autori, più o meno automaticamente, hanno introdotto, cose, oggetti, ricordi cercando di esprimere una dimensione dell’intorno e della memoria» (A. Rossi, La città analoga, in Lotus International, 1976, n.13, pp. 6 s.).
Le relazioni tecniche presenti nei moltissimi progetti realizzati in quegli anni andavano via via assumendo il ruolo di testi teorici, liquidando spesso questioni dimensionali o funzionali per affrontare temi di carattere generale; anche il disegno cominciava a precisare il suo ruolo nella poetica di Rossi, e non a caso iniziarono le prime mostre personali prima a Trieste (1967), poi a Losanna (1973), Barcellona (1975), New York (1976), dedicate al suo lavoro e ai disegni.
Nel maggio del 1979 fu nominato accademico di San Luca, e nello stesso anno progettò per la Biennale di Venezia, su invito di Paolo Portoghesi (direttore del settore architettura in quell’edizione), il Teatro del Mondo: un teatro galleggiante a pianta centrale, alto 20 m, costruito con una struttura di tubi innocenti e rivestito in legno. Il progetto visionario, in dialogo con i monumenti veneziani, dopo il suo arrivo in laguna su di una chiatta, sancì per la critica il definitivo successo nel panorama architettonico internazionale.
Nel 1981 Rossi pubblicò per il MIT Press di Cambridge A scientific autobiography. Il volume, come una narrazione confidenziale, mette in relazione l’esperienza progettuale, le riflessioni teoriche, con la sua vita privata, riscoprendo nell’esperienza personale un carattere di generalità.
Tradotta in numerose lingue, l’autobiografia vide la pubblicazione della versione italiana soltanto nel 1990. Il canovaccio del fortunato libro si può in qualche modo considerare contenuto all’interno dei Quaderni azzurri che Rossi incominciò a tenere a partire dal 1968 e fino al 1992, annotando, come in un diario, pensieri, riflessioni, appunti di viaggio, e intrecciando tra loro i tanti progetti continuamente ridisegnati.
Tra il 1980 e il 1990 la sua architettura varcò definitivamente i confini nazionali alternando i progetti italiani, tra cui gli edifici pubblici nell’area di Fontivegge a Perugia (1982-89), la cappella Molteni a Giussano (1980-87), il municipio di Borgoricco (1983-88), il Centro Torri a Parma (1985-88), con le prime opere costruite in Germania (complesso residenziale sulla Friederichstrasse a Berlino, 1981-88), Francia (Centre international d’art et du paysage a Vassivière, 1988), Olanda (Bonnefantenmuseum a Maastricht, 1990-94) e Giappone (edificio commerciale a Gifu, 1988). Il suo linguaggio passava in questo periodo da una ricerca sulle forme elementari dei primi progetti a una sorta di teatralità dell’architettura: la grande torre scenica nella ricostruzione del Teatro Carlo Felice a Genova (1983, con Ignazio Gardella), la monumentale ed eloquente facciata dell’albergo Il palazzo a Fukuoka (1987-89) o la piccola scena-gradonata del monumento a Sandro Pertini in piazzetta Croce Rossa a Milano (1989) dimostrano, in questo senso, il definirsi di una ricerca che ragiona sul carattere urbano dell’edificio e sulla rappresentazione della sua costruzione così come sulle ragioni profonde del suo significato.
Allo studio milanese si affiancò quello a New York che Rossi aprì nel 1986 con Morris Adjmi e quello in Giappone aperto nel 1989 con Toyota Horiguchi. Cominciarono in questi stessi anni la ricerca e la produzione attorno al tema del design, in particolare con Molteni, Longoni e Alessi, e successivamente con Artemide e Unifor, a fianco a numerosi progetti di arredi (tra cui la libreria Piroscafo per Molteni & C., la sedia Parigi per Unifor, l’orologio da parete Momento per Alessi); due sono gli oggetti divenuti iconici e quasi ossessivi per Rossi per il loro legame con la sua architettura: la Cabina dell’Elba (cabina armadio prodotta, nel 1983, da Molteni & Co. in tre unici esemplari) e la caffettiera (La conica e La cupola progettate per Alessi rispettivamente nel 1984 e nel 1987).
I numerosi viaggi trovarono in questi anni una coincidenza quasi didascalica con altrettante conferenze o concorsi d’architettura in tutto il mondo: nel 1989 la Harvard University Graduate School of design lo invitò a tenere la celebre Walter Gropius lecture, che Rossi decise di dedicare al tema della Continuità in architettura.
A Venezia, nel 1990, fu il primo architetto italiano a ricevere il Pritzker architecture prize, considerato il premio Nobel per l’architettura.
Da quel momento incarichi e riconoscimenti aumentarono in modo esponenziale: nel 1991 vinse l’American Institute of architecture award per il progetto Il Palazzo a Fukuoka, nel 1993 fu insignito della Thomas Jefferson medal, nel 1996, dopo essere stato nominato membro onorario dell’American Academy of arts and letters di New York, ricevette il premio speciale Cultura 1996 per il settore architettura e design dalla presidenza del Consiglio dei ministri.
Tra il 1991 e il 1996 il suo lavoro, sempre più frenetico, comprese progetti importanti quali l’ampliamento dell’aeroporto di Linate (1991-93), il Parco tecnologico a Fondo Toce sul lago Maggiore (1993), l’isolato della Schützenstrasse a Berlino (1992-98). I progetti realizzati a Parigi, negli Stati Uniti per la Disney development company o per la Coca Cola, a Città del Messico, si sovrappongono per cronologia a progetti di concorso in Italia, a Bari, Roma o Milano, con il progetto per l’area di Garibaldi Repubblica (1991) nel quale Rossi dimostrò ancora una volta la profonda conoscenza e affezione per la sua città natale. Sul lago Maggiore, divenuto nel tempo un pensiero costante, Aldo Rossi acquistò e ristrutturò a Ghiffa un vecchio mulino. Assieme a Milano, questa casa fu il luogo «dove tornare» dai tanti viaggi intorno al mondo.
Morì il 4 settembre 1997 a Milano, all’ospedale S. Raffaele, in seguito a un incidente stradale avvenuto sul lago Maggiore.
Nel 2005 è stata costituita, per volontà dei figli, la Fondazione Aldo Rossi, con la finalità di riunire, tutelare, divulgare l’opera dell’architetto. I materiali inerenti alla sua produzione sono conservati presso il Bonnefantenmuseum di Maastricht, il Canadian Centre for architecture di Montréal, il Deutsches Architekturmuseum di Francoforte, il Centre Pompidou di Parigi, il Getty Trust di Los Angeles e il MAXXI di Roma, oltre che in numerose collezioni private.
Opere. L’architettura della città, Padova 1966; Scritti scelti sull’architettura e la città. 1956-1972, a cura di R. Bonicalzi Milano 1975; A scientific autobiography, Cambridge (Mass.) 1981 (edizione italiana Parma 1990); A. R. I quaderni azzurri, a cura di F. Dal Co, Milano 1999.
Fonti e Bibl.: V. Savi, L’architettura di A. R., Milano 1976, 19783; A. R., a cura di G. Braghieri, Bologna 1981; A. R., disegni di architettura, 1967-1985 (catal. Torino), a cura di C. Olmo, I-III, Milano 1986; A. R.. Opera completa, a cura di A. Ferlenga, Milano 1959-1996; The Pritzker architecture prize. 1990. A. R., Los Angeles 1990; A. R. Architecture 1981-1991, a cura di M. Adjmi, New York 1991; A. Ferlenga, A. R., Tutte le opere, Milano 1999; «Care architetture». Scritti su A. R., a cura di P. Posocco - G. Radicchio - G. Rakowitz, Torino 2002; A. R. Disegni, a cura di G. Celant, Milano 2008; La lezione di A. R., Atti del Convegno internazionale, a cura di A. Trentin, Bologna 2008; E. Vasumi Roveri, A. R. e L’architettura della città, Torino 2010; G. Poletti, L’autobiografia scientifica di A. R. Un’indagine critica tra scrittura e progetto di architettura, Milano 2011; G. Celant, A. R. Teatri, Milano 2012; C. Tinazzi, A. R., L’idea di abitare, Milano 2013; A. R. Storia di un libro. l’Architettura della città dal 1966 ad oggi, a cura di F. de Maio - A. Ferlenga - P. Montini Zimolo, Venezia 2014; A. Monestiroli, Il mondo di A. R., Siracusa 2015; A. R. Opera grafica, incisioni, litografie, serigrafie, a cura di G. Celant - S. Huijts, Cinisello Balsamo 2015; B. Lampariello, A. R. e le forme del razionalismo esaltato, Macerata 2017; A. R. e Milano, a cura di A. Ferlenga - M. Ferrari - C. Tinazzi, nuova ed., Milano 2017.