GIURLANI, Aldo (pseudonimo Aldo Palazzeschi)
Nacque il 2 febbr. 1885, da Alberto e Amalia Martinelli, a Firenze, in una casa di via Guicciardini.
Il padre era un solido commerciante, titolare di un raffinato negozio di abbigliamento per uomo, tra i primi in città, sito in via dei Calzaiuoli. La madre era nata in Umbria, a Città di Castello, donna severa di costumi, in molte occasioni intransigente; ciononostante, la sola custode delle confidenze del G. fanciullo e adolescente, i cui rapporti col padre erano di natura formale e si esaurivano nelle consuetudini di una vita familiare tipica di un ambiente sociale chiuso e "vittoriano". Forte fu il legame che unì il bambino G. alla nonna materna Anna Palazzeschi, di famiglia clericale umbra, che fascinò il futuro poeta con le sue molte storie di preti e che gli ispirò il suo nom de plume.
Nel 1887 la famiglia si trasferì in una vecchia casa d'Oltrarno, in via S. Spirito e successivamente in via Calimala; nel frattempo il padre si era fatto edificare una bella villa nelle vicinanze di Settignano, dove, in seguito, il G. avrebbe scritto molte delle sue opere. La famiglia prese anche l'abitudine di trascorrere alcune settimane estive sull'Appennino pistoiese o sul litorale tirrenico, non mancando qualche viaggio, come quelli a Napoli e a Venezia. Il padre era appassionato di teatro, vera evasione dalle norme domestiche di cui fece partecipe il G. man mano che cresceva.
Dopo le scuole elementari il G. frequentò l'istituto tecnico L.B. Alberti; nel 1902 si diplomò ragioniere, iscrivendosi poi all'Istituto superiore di economia e commercio di Venezia (Ca' Foscari). La passione per il teatro, acuitasi anche grazie ai molti spettacoli visti da ragazzo col padre, lo spinse a frequentare, a Firenze, l'importante scuola di recitazione T. Salvini, di via Laura 68, diretta da L. Rasi.
Qui conobbe, tra gli altri, M. Moretti, suo grande amico per tutta la vita: proprio Moretti, con scritti quali Il tempo felice (Milano 1929) e Via Laura (ibid. 1931), offrì, più tardi, notizie e particolari inediti sulla vita giovanile del G.; l'esperienza del teatro, di fatto, restò determinante per il G., che la considerò sua vera e fondamentale scuola, come ebbe a dichiarare a M. Picchi in un'intervista del 1955 (poi apparsa su Belfagor nel 1978). Furono anche gli anni in cui il G. fece le prime letture di scrittori contemporanei, quali G. D'Annunzio, G. Pascoli, M. Maeterlinck, O. Wilde.
Nel 1906 esordì come attore con la compagnia Talli-Borelli, fondata l'anno precedente e denominata "dei giovanissimi": nella quaresima di quell'anno, recitò a Bologna, in Dora, o Le spie di V. Sardou, per abbandonare la compagnia, dopo pochi giorni di tournée, e rientrare a Firenze, ormai convinto che l'esprimersi come attore non fosse sufficiente ad appagare le sue più intime aspirazioni né il suo bisogno d'indipendenza. Quest'esperienza gli era servita, comunque, per riscattarsi dall'obbligo di seguire gli studi di scienze commerciali, di ragioneria e di economia politica e, contemporaneamente, lo aveva avviato sulla strada giusta, liberandogli la fantasia e spingendolo verso la sua vera vocazione, la scrittura. Già nel 1905 aveva pubblicato, a sue spese, il primo libriccino di poesie, I cavalli bianchi (Firenze), e nel 1907 apparve, sempre a sue spese, la seconda raccolta, Lanterna (ibid.).
In entrambe le opere si avverte l'influenza di S. Corazzini, con cui il G. aveva stretto una forte amicizia epistolare durata due anni, fino alla morte, nel 1907, del poeta romano, uno fra i primi a rendersi conto del valore di quel giovane fiorentino anticonformista.
Nel 1908 pubblicò il romanzo liberty :riflessi (ibid.); nel 1909, anno in cui vide la luce il primo manifesto del futurismo, uscirono i Poemi di Aldo Palazzeschi (ibid.); fino a quest'opera i volumi citati dichiarano come editore Cesare Blanc, nome del gatto del G., sigla usata dalla tipografia che lo scrittore aveva pagato per la stampa dei primi lavori. Nel maggio 1909 ebbe inizio il carteggio con F.T. Marinetti, fondatore del futurismo, cui il giovane G. aderì; nel novembre dello stesso anno si recò a Milano per conoscere di persona Marinetti. Nel 1910, per le Edizioni futuriste di "Poesia" di Milano, pubblicò la raccolta L'incendiario, il suo primo libro futurista, passaggio chiave del suo percorso poetico; partecipò, quindi, alle serate futuriste di Trieste, Napoli e Torino. Nel 1911, con la medesima casa editrice, pubblicò Il codice di Perelà, che si pose come opera eccentrica nel panorama della narrativa del tempo, trovando debole eco presso critica e pubblico; nel 1912 iniziò un nuovo romanzo, La piramide.
Oramai, nell'ambiente letterario italiano dell'epoca, il G. iniziava ad avere un suo ruolo riconosciuto. Lo stesso Marinetti volle da subito sostenerne il lavoro riconoscendogli una grande originalità d'ingegno, che ben rientrava nei canoni avanguardistici del movimento futurista; per Marinetti l'ingegno del G. aveva, nel fondo, un'aggressiva e demolitrice ironia che attaccava tutti i temi salienti del romanticismo: l'amore, la morte, la donna ideale, il misticismo. Nel G. quest'ansia demolitrice proveniva da uno sforzo di arrivare a nuove forme creative, che impegnava tutti i movimenti avanguardistici del primo Novecento, ben oltre il gusto di un funambolismo stilistico-espressivo fine a se stesso, semmai segnato da un'originaria tragicità.
Nel 1913 il G. collaborò, con poesie, racconti e prose di vario genere, alla rivista Lacerba, fondata nel gennaio di quell'anno, a Firenze, da G. Papini e A. Soffici; come pure iniziò a scrivere su La Riviera ligure di M. Novaro e su Conquista di R. Roberti; nello stesso anno soggiornò a Napoli per qualche mese. Il G. si era, poi, fatto tramite tra i futuristi milanesi e i lacerbiani ottenendo che Marinetti, U. Boccioni e altri cominciassero a pubblicare sulla rivista fiorentina; sempre nel 1913 uscì una seconda edizione de L'incendiario (Milano). All'inizio del 1914, il 15 gennaio, il G. pubblicò su Lacerba il suo personale manifesto futurista intitolato Il controdolore (I, 2, pp. 17-21); in marzo compì il primo viaggio a Parigi con Soffici, Papini, Boccioni, C. Carrà, frequentando il clan avanguardistico che si riuniva alla Closerie des lilas e conoscendo G. Apollinaire, H. Matisse, G. Braque, P. Picasso. Iniziò anche a collaborare a La Voce.
Su questa rivista, il 28 apr. 1914, pubblicò una "Dichiarazione", con cui prendeva decisamente le distanze dal futurismo, diffidando Marinetti dall'usare abusivamente il suo nome per il movimento, anche se personalmente mantenne col fondatore rapporti amichevoli.
Al momento dell'entrata in guerra dell'Italia si distinse da Papini e Soffici, e dagli altri futuristi e lacerbiani, dichiarandosi neutrale; si ritirò, quindi, a vivere da solo a Firenze in una casa sulla costa S. Giorgio. Nel giro di un anno, tuttavia, la sua posizione nei confronti dell'intervento mutò sensibilmente in base a una logica per cui combattere la "barbarie germanica" avrebbe significato impedire, alla lunga, la guerra stessa. Benché riformato alla visita di leva, nel luglio 1916 venne chiamato alle armi come soldato semplice nel 3° reggimento telegrafisti e inviato di stanza prima a Firenze, poi a Roma, presso il ministero dell'Interno, al sottosegretariato per gli Approvvigionamenti e i consumi; e, infine, insieme con l'amico Moretti e lo scrittore toscano F. Tozzi, a Tivoli, dove il ministero della Guerra aveva stabilito di organizzare un nuovo reggimento. Nel primo periodo del servizio fu fiaccato nel fisico e nel morale dalle privazioni e dai sacrifici imposti dall'ambiente militare, tanto da subire un ricovero ospedaliero e una convalescenza, trascorsa tra le pareti domestiche.
Il lavoro poetico e la scrittura in prosa fin qui realizzati hanno precise denotazioni che fanno del G. uno scrittore in realtà solo tangenzialmente ricollegabile al crepuscolarismo - anche se, almeno a una lettura superficiale, egli ne condivise le tematiche, insieme con le atmosfere liberty del primo Novecento - e al futurismo, con cui ebbe in comune la spinta sperimentale sul piano del linguaggio poetico, ma da cui rimase lontano nell'impostazione programmatica e nella prassi culturale; il G. si presenta, dunque, per certi aspetti contenutistici ed espressivi, come autore unico ed esemplare.
Centrale, a questo proposito, risulta l'edizione 1909 delle Poesie, dove egli opera la prima vera sterzata nei confronti della produzione poetica coeva: i suoi versi prendono le distanze dai modelli illustri e dalle influenze crepuscolari trattandone i temi con ironia e senso del grottesco, con piglio parodico e con un'"allegria" di fondo tesa alla dissacrazione. La critica ha giustamente parlato di un "nichilismo giocoso" (G. Ferroni, Storia della letteratura italiana, IV, Il Novecento, Torino 1991, p. 111) che risulta la cifra personale di tutta questa prima fase produttiva del G., di là da formule definitorie, mode, scuole, gruppi, e grazie a una pur ingenua conquista di autonomia creativa, tipica di uno scrittore che, per una sua vena naif, rivendicò sempre una formazione estranea ai libri, ma piuttosto aderente alle esperienze del vivere. Crepuscolarismo e futurismo, nel caso del G., vanno quindi intesi come termini di riferimento, non come caratteri fondanti del suo lavoro; finanche la definizione di liberty, usata dallo stesso G. e significativa di un contesto simbolista e dannunziano, perde l'accezione originaria, essendo primario impulso quello di rifiutare la stereotipata immagine ufficiale del poeta e del suo ruolo sociale. La figura propria di questo rifiuto è, per il G., quella del poeta saltimbanco della sua anima, espressa nel celebre Chi sono?. I topoi ufficiali, luoghi, personaggi, oggetti della poesia cosiddetta crepuscolare risultano pertanto declinati dal G. in modi, se vogliamo, del tutto anomali e suoi precipui. È il caso di tutto l'armamentario "malinconico" e "triste" che, per l'"allegro" G., serve piuttosto a indagare il mistero, la curiosità e gli effetti di choc, con relativo assunto scandalistico, con divertimento giocoso e scherzoso (E lasciatemi divertire), nei confronti, per esempio, di personaggi quali beghine o prostitute, o di ambienti come quelli delle ville, o di oggetti inquietanti come gli specchi. La stessa malattia delle cose (La fontana malata) è vissuta nei toni del grottesco, non certo sublimanti, come ha osservato G. Bàrberi Squarotti. Il paradosso, i funambolismi verbali, il riso e l'allegria clowneschi suoi tipici pongono dunque il G. fuori dalle atmosfere e dalle scene del crepuscolarismo di scuola; figurine come le suore, nella sua opera (Le nazarene) vivono un loro ritmo fugace di apparizione, assecondato da un uso del metro libero che passa dall'ottonario al settenario sdrucciolo e piano, misure non proprio tipiche di altri poeti definiti crepuscolari.
È facilmente intuibile come la spinta eversiva di temi e forme modificati dal gioco e dal riso del G., lo abbiano poi portato a incontrarsi col futurismo, ma sempre in modi del tutto particolari e, al fondo, estranei al modello. Nel G. il gusto dell'eversione non ha nulla di programmatico, di ideologico, di teorico, di politico-sociale, non aggredisce l'esterno ma si risolve all'interno delle forme poetiche, senza esiti sperati di palingenesi rivoluzionaria, senza angoscia. Il suo stesso manifesto di apparente adesione al futurismo Il controdolore (titolo mutato da Marinetti e poi ripristinato dall'autore nella sua forma originale, L'antidolore) non ha nulla di seriosamente contestatore (lo riprova il fatto stesso di essere uno dei Lazzi, frizzi, schizzi, girigogoli e ghiribizzi che danno il titolo alla raccolta in cui tale testo fu collocato); la stessa immagine del fuoco, dell'incendio (L'incendiario) non suscita un'azione demolitrice che poi debba ricostruire dalle macerie; ha più un significato irrisorio, genericamente rivolto verso ciò che la tradizione letteraria aveva consacrato. Certamente sul piano espressivo e su quello del linguaggio poetico il lavorio del G. sui significanti verbali, il suo gusto del gioco fonetico e della scomposizione della parola si avvicinano alle parallele esperienze delle "parole in libertà" di Marinetti e sodali, ma il punto di partenza "fanciullesco", favolistico, "fisiologicamente" bisognoso del riso, dello scherzo, del mandare il mondo a gambe all'aria per puro divertimento, e per "scorticare" l'involucro di dolore di ciascuno, finirono per collocare la scrittura del G. e il suo immaginario sostanzialmente al di fuori dei canoni futuristi.
Nella sua prima stagione di prosatore, con :riflessi (poi Allegoria di novembre), Il codice di Perelà, La piramide, il G. condusse una scrittura successiva ma insieme parallela a quella lirico-poetica. Ed è soprattutto con Perelà, uomo di fumo che egli raggiunse risultati di grande rilievo: Perelà è il personaggio suo più emblematico, aereo protagonista di una favola che solo la fantasia accesa e funambolica del G. poteva immaginare, vivo per la sola viva necessità di un ritmico e dinamico flusso di fantasia inarrestabile. Personaggio teatralissimo nel suo discorso (sull'impianto teatrale della "voce" poetica del G. si è soffermato P.V. Mengaldo), è altrettanto vaporoso e incorporeo nella sua natura, "purificato da ogni immondezza umana", leggero conquistatore della città, ingiustamente incarcerato e condannato, fuggito in aria come una nuvola di fumo nel cielo. Ogni referente sociale, ideologico, psicologico, morale si alleggerisce nelle volute inafferrabili della favola, che può essere anche interpretata come "polemica allegoria di se stesso poeta" (S. Jacomuzzi, Aldo Palazzeschi, in Letteratura italiana contemporanea, a cura di G. Mariani - M. Petrucciani, I, Roma 1979, p. 486), uno stupito poeta meritevole prima di rispetto poi di disprezzo, se capace di lasciare sulla terra solo ciò in cui si identifica il suo valore, "un paio di scarpe", il suo "codice", ciò che gli rendeva possibile camminare tra gli uomini pur essendo figura aerea.
Nel 1919 il G. venne congedato e tornò nella sua Firenze, dove scrisse le pagine di Due imperi… mancati, una risentita e addolorata testimonianza sull'assurdità della guerra; il libro fu pubblicato a Firenze nel 1920, presso A. Vallecchi, suo principale editore fino al 1955 (e a tale edizione si fa qui riferimento, salvo diversa indicazione). Nel 1921 uscì la prima raccolta di novelle, Il re bello, in cui il G., dopo gli anni dello "sperimentalismo" giovanile, intraprese un particolare realismo, che raggiunse il suo vertice nei successivi romanzi, come Sorelle Materassi. Nel 1926 iniziò a collaborare con il Corriere della sera e dette infine alle stampe - col sottotitolo di Scherzo di cattivo genere e fuori di luogo - La piramide, iniziato nel 1912, ancora legato all'effervescente e grottesca fantasia degli anni giovanili. Nel 1930 pubblicò l'edizione definitiva delle Poesie presso l'editore Preda di Milano. Tra il 1930 e il 1931 si recò più volte a Parigi, città divenutagli molto cara, dove strinse amicizia col pittore F. De Pisis (F. Tibertelli) e conobbe L. Pirandello. Nel 1932, grazie anche all'amico U. Ojetti, uscì il libro di ricordi Stampe dell'800 (Milano); nel 1934 fu la volta del suo romanzo più famoso, Sorelle Materassi, nel 1937 venne pubblicata una seconda raccolta di novelle, Il palio dei buffi. Nel 1938 gli morì il padre e nel 1940 venne a mancargli anche la madre: coi genitori aveva vissuto, a Firenze, quasi tutta la seconda metà degli anni Trenta, tra la casa di piazza Beccaria e la villa di Settignano, piuttosto lontano dall'ambiente della cultura ufficiale e senza legami diretti col regime fascista. Nel 1941 decise di trasferirsi a Roma, nell'appartamento di via dei Redentoristi 9, al piano alto di un palazzo gentilizio, dove rimase tranne che per frequenti soggiorni, più o meno lunghi, a Firenze e, soprattutto, a Venezia. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1945, dette alle stampe a Firenze una cronaca farsesca e umorale del ventennio fascista, Tre imperi… mancati. Cronaca (1922-1945); nel 1947 col titolo Difetti1905 (Milano) raccolse i versi (33 poesie) esclusi dall'edizione definitiva delle Poesie.
Negli anni Venti-Trenta spiccano, per motivi e valori diversi, Due imperi… mancati, Stampe dell'800, Sorelle Materassi e Il palio dei buffi. Nel primo, definito il libro "serio" del G., lo scrittore svolge riflessioni che nascono dalla meditazione sui temi legati alla guerra: il militarismo, l'opzione del disarmo, l'apparentemente paradossale eroismo della paura; e, contemporaneamente, considera, con amarezza e sofferenza, la sua posizione di isolamento, incomprensione e solitudine, vedendosi distaccato, nella visione delle cose, dalla gran parte degli altri intellettuali e dovendo prendere atto che ben pochi fra questi ponevano i rapporti umani e le personali passioni letterarie al di sopra dello scontro politico e ideologico. In Stampe, pur permanendo l'opposizione tra le convenzioni e i formalismi, sociali o meno, e il mondo della libertà, della spregiudicatezza, il G. cala tale contrasto nella concretezza della storia, con la rievocazione dei costumi e della vita dell'Ottocento e del primo Novecento, diversamente dall'astrazione che aveva caratterizzato, per esempio, il Perelà. Rimpianto e malinconia, ma anche ironia, sono i toni predominanti in questa rivisitazione del passato condotta con accenti fortemente autobiografici e ancorata a una realtà memoriale distesamente ripercorsa. Con Sorelle Materassi, il suo grande successo, l'impianto diegetico presenta una struttura realistica del tutto tradizionale, piuttosto appiattita su una dimensione di conversazione d'impronta toscana, anche troppo "buonista" e misurata; più liberamente inventivo e "giocoso" è l'aspetto della vicenda basato particolarmente sui turbamenti e gli scompigli che un giovane nipote, sbrigliato e scioperato, provoca nell'esistenza tranquilla e solida di due anziane sorelle "cucitrici di bianco". Anche in quest'opera, dunque, attraverso i personaggi di Remo, il nipote, e del suo amico Palle, s'introduce l'elemento liberatorio, passionale e scanzonato, che rompe gli schemi fino a cambiare i modi dell'esistenza; e ciò avviene appunto per il tramite di un personaggio "buffo", al di fuori delle regole, che diverge con disagio dalla generale "comunità umana", come ebbe a precisare lo stesso G. nella premessa all'edizione del 1957 di Tutte le novelle. Nei successivi racconti de Il palio dei buffi il concetto, già espresso e definito, di "buffo" assume toni anche più tristi e tragicomici rispetto alle Sorelle, e si registra una più marcata ripresa dell'immaginario presente nel Codice di Perelà: sono favole lievi che spiazzano di continuo le logiche aspettative del lettore, in cui la vita piccolo borghese viene scompigliata da strani, irregolari e sconvolgenti eventi. I personaggi dimessi e umili - impiegati, zitelle, scapoli, vecchi - risultano, infine, essere degli autentici "buffi", sperimentando, nella loro interiorità e nel loro grigio modo di vivere, stranezze e abnormità; in essi misteriosi slanci di fantasia, di immaginazione irregolare nascono all'interno di una dimensione di vita passiva e stagnante.
Nel 1948 il G. vinse il premio Viareggio col romanzo I fratelli Cuccoli; nel 1951 pubblicò la sua terza raccolta di novelle, Bestie del '900. Con il romanzo Roma ottenne, nel 1953, il premio Marzotto. Da questa data cominciò a trascorrere lunghi periodi a Venezia, dapprima in una casa di fondamenta del Rimedio, poi, dal 1956, in calle del Forno vicino alla Strada Nova. Nel 1955 tornò, provvisoriamente, alla poesia con Viaggio sentimentale. Nel 1957 gli venne attribuito il premio dell'Accademia dei Lincei per la letteratura ed ebbe anche inizio, per i tipi dell'editore A. Mondadori, la pubblicazione di Tutte le opere; il G. aveva accettato questo progetto anche perché, nel 1956, per divergenze sulla revisione dei testi, aveva interrotto il lungo sodalizio con la Vallecchi. Per primo uscì il volume Tutte le novelle (Milano 1957) cui seguirono Opere giovanili (ibid. 1958) e I romanzi della maturità (ibid. 1960). Nel 1959, per l'editore Rebellato di Padova, stampò i bozzetti di Vita militare; nel 1960, su iniziativa di D. Valeri, V. Branca e G. Folena, l'Università di Padova gli conferì la laurea honoris causa. Nel 1964 vennero edite le prose a sfondo autobiografico Il piacere della memoria (Milano) - dove raccolse Stampe dell'800 (col titolo di Infanzia), la parte centrale di Due imperi… mancati e parte dei racconti memorialistici usciti su quotidiani - quindi, nel 1966, venne pubblicata una nuova raccolta di novelle, Il buffo integrale (ibid.). Nel 1967, in pieno clima di neoavanguardia, il G. fece uscire il romanzo Il doge (ibid.), rinnovando intrinsecamente l'ispirazione della sua scrittura giovanile. Seguirono, nel 1968, la raccolta poetica Cuor mio (ibid.; con una sezione in lingua francese), nella quale confluirono, rielaborati, anche i versi di Viaggio sentimentale; rispettivamente nel 1969 e nel 1971 (ibid.), apparvero i romanzi Stefanino e Storia di un'amicizia; nel 1972 un altro libro di poesie, Via delle cento stelle (ibid.).
Nel lungo periodo finale della vita del G., meritano una certa attenzione critica in particolare i romanzi Il doge e Stefanino, e le raccolte poetiche Cuor mio e Via delle cento stelle. Il primo romanzo offre il quadro di una Venezia al contempo surreale e autentica, in cui il G. dà sfogo, ancora una volta, alla sua irriverente, spavalda, libera fantasia già dall'idea iniziale, quella che mette in moto la macchina narrativa: l'arrivo di un enorme fallo nella città lagunare che viene subito eletto doge; come afferma Bàrberi Squarotti (in Storia della civiltà letteraria italiana, V, Torino 1994, p. 718) il G. istituisce una metafora che "incarna un'ammodernata proposta di paradossale trasformazione politica, che deriva dalla presa alla lettera di una metafora ingiuriosa di facile e abbondante diffusione. Tutto il romanzo non è che lo sviluppo di tale metafora: ma adesso Palazzeschi esaurisce nella trovata presso che l'intero significato dell'opera". Sulla linea del Doge si colloca Stefanino, forse più fiaccamente vicino alle opere giovanili, anch'esso basato su una "trovata": il protagonista, a causa di una malformazione congenita, si trova ad avere la testa al posto dei genitali e viceversa; anche questo romanzo, tramite una metafora sessuale, ma troppo eclatante e scontata, vorrebbe essere un divertissement allegorico e, al fondo, moralistico, ironicamente concepito come critica del potere (alcune interpretazioni hanno voluto vedere questi spunti come tentativi, da parte del G., di elaborare letterariamente e sublimare la propria omosessualità).
Fondate sulla constatazione del G. che "la gioventù e la vecchiaia sono il tempo della follia" sono le sue due ultime raccolte poetiche. Volendo citare un verso dalla prima, Cuor mio, emblematico della disposizione spirituale della tarda stagione del poeta, non potremmo che ricordare quello in cui esprime, in una formula, il suo senso della vita: "orrenda cosa che mi piace tanto". E, in questa raccolta, vitalismo, disponibilità del suo "cuore" ad aprirsi sempre e di nuovo allo spettacolo della vita hanno un ritorno di fiamma, un'istintiva carica creativa. Ci si trova la stessa forza immaginativa delle raccolte giovanili, la medesima freschezza d'immagini, magari con un minor impiego di sperimentalismo verbale e metrico; nostalgie impreviste e tocchi retorici sublimi, con una lieve patina di malinconia, appena sfiorano le lievi meditazioni, le sterzate polemiche incapaci di atrabiliare indignazione. In Via delle cento stelle la parola del G. si fa ancor più tenue, meno oltranzistica, perché il disincanto spesso sta per affiorare o forse perché è più sulla difensiva, per l'inevitabile stanchezza di una vita molto lunga.
Negli ultimissimi anni il G. visse una stagione di grande impegno creativo, quasi una ritrovata giovinezza, accompagnato da una crescente fortuna critica: si occupò contemporaneamente di un libro di novelle e di una nuova raccolta poetica, nove "sinfonie" dalla misura "lunga" che avrebbero dovuto bilanciare le brevi composizioni di Via delle cento stelle.
Nell'agosto del 1974, però, un ascesso dentario gli provocò gravissime complicazioni polmonari per cui dovette lasciare la casa di via dei Redentoristi (dove aveva sempre vissuto con la vecchia domestica Margherita Bellocchio) ed essere ricoverato in ospedale.
Il G. morì a Roma il 17 ag. 1974.
Gli vennero tributate doppie onoranze funebri, prima a Roma, poi a Firenze; la salma fu tumulata nel cimitero di Settignano. Il testamento destinava la gran parte dei suoi beni, con le carte, la biblioteca e i quadri d'autore, alla facoltà di lettere dell'Università di Firenze. Lascito del G. fu anche, per molti, la sua attenzione per gli autori più giovani, l'ospitalità verso chiunque andasse a trovarlo nella sua casa romana, la sua apertura e partecipazione alla vita di tutti e alla vita di tutti i giorni, nonostante l'avanzare impietoso dell'età; ricorda uno dei frequentatori, C. Marabini, che negli ultimi anni "Seduto su una poltroncina di ferro, si guardava intorno come uno che sia al centro di un bellissimo spettacolo […] mi diceva che la curiosità e il divertimento del vivere è in fondo amore alla vita, e che questo amore può essere inesauribile come il suo spettacolo, anche oltre i limiti naturali dell'età" (cfr. La chiave e il cerchio. Ritratti di scrittori contemporanei, Milano 1973, pp. 147-156). I tanti che andavano a trovarlo in quello che era divenuto un piccolo e scenografico santuario fuori moda di una società letteraria in via di dissoluzione, tra i tetti, gli abbaini, i campanili e le lanterne delle chiese della vecchia Roma, trovavano un ambiente accogliente, la porta sempre aperta, il poeta sorridente, un modo di fare legato ad altri tempi, poiché "da quando sono a Roma io sono diventato diverso […] sono diventato un uomo socievole, ho conosciuto tanta gente e mi sono trovato benissimo a conoscerla. […] Sono stato accolto benissimo da tutti, senza distinzione, e mi sono trovato sempre bene ovunque sono andato e anche non frequentando esclusivamente determinate persone o determinati gruppi. Pensare che parlano di Roma come di un bordello: ma non è mica vero. È spensierata. Gaia no, anche perché è sempre sorniona; bonaria, però, e comprensiva, umanamente comprensiva, specialmente il popolo, che ha anche tanto buonsenso" (cfr. E. Ragni, Incontro con Palazzeschi, in Galleria, XXIV [1974], 2-4, pp. 136-142).
Le opere principali del G. hanno avuto diverse edizioni, con revisioni, aggiustamenti, aggiunte; oltre a quanto già citato, ricordiamo ancora, per la poesia: Poesie 1904-1909, Firenze 1925; Poesie, ed. definitiva, Milano 1930; l'antologia Poesie, a cura di S. Antonielli, ibid. 1971. Per la narrativa e la scrittura in prosa: postuma, per la collana mondadoriana dei "Meridiani", l'edizione, curata da L. De Maria e prefata da G. Ferrata, di Tutte le novelle, ibid. 1975. Per il teatro: Roma (adattamento in 3 atti dall'omonimo romanzo, in collab. con A. Perrini, con una nota Il mio giovanile esperimento), in Sipario, 1955, n. 108, pp. 33-52. Per le edizioni singole: Romanzi straordinari 1907-1914, Firenze 1943; Scherzi di gioventù, Milano 1956; Ieri, oggi e… non domani, Firenze 1967. Le riedizioni: Perelà uomo di fumo, ibid. 1954; Stampe dell'800, ibid. 1957. Si ricorda, infine, anche l'importante Carteggio Marinetti-Palazzeschi, con introduzione di P. Prestigiacomo, presentazione di L. De Maria, Milano 1978.
Fonti e Bibl.: Tra i numerosi interventi critici dedicati all'opera del G. si ricorda innanzi tutto l'indispensabile Bibliografia degli scritti di Aldo Palazzeschi, a cura di A.G. D'Oria, Roma 1982. Si vedano poi: S. Giovanardi, La critica e Palazzeschi, Bologna 1975; Nota bibliografica, a cura di S. Ferrone, in Palazzeschi oggi. Atti del Convegno, Firenze… 1976, a cura di L. Caretti, Milano 1978 (con scritti di E. Montale, L. De Maria, E. Sanguineti, R. Barilli, M. Forti, A. Asor Rosa, G. Pampaloni, M. Guglielminetti, F. Curi, L. Baldacci, G. Contini, M. Luzi); per indicazioni sugli studi degli anni più recenti v. in particolare la nota di bibliografia critica nel profilo del G. redatto da G. Bàrberi Squarotti, in Storia generale della letteratura italiana, X, Milano 1999, pp. 510-545; non si registrano voci biobibliografiche in dizionari ed enciclopedie di particolare interesse; si cita solo quella di F. Del Beccaro, equilibrato consuntivo critico, più che ricostruzione biografica, in Dizionario critico della letteratura italiana, a cura di V. Branca, Torino 1986, III, pp. 319-324; le notizie sulla vita del G. sono per lo più offerte dalle sue opere a sfondo autobiografico. Fra gli interventi critico-interpretativi ricordiamo: S. Corazzini, rec. a I cavalli bianchi, in Il Sancio Panza, 11 marzo 1906; G.A. Borgese, Poesia da ridere, in La Stampa, 20 ott. 1909; F.T. Marinetti, Il poeta futurista Aldo Palazzeschi, Milano 1913; P. Pancrazi, Umanità di Palazzeschi, in Id., Ragguagli di Parnaso, Firenze 1920, pp. 127-133; L. Russo, A. Palazzeschi, in Id., I narratori, Roma 1923, pp. 176-178; G. De Robertis, Scrittori del Novecento, Firenze 1940, pp. 144-183; G. Getto, Palazzeschi poeta, in Civiltà moderna, XIV (1942), 3-4, pp. 160-172; A. Gargiulo, Aldo Palazzeschi, in Id., Letteratura italiana del Novecento, Firenze 1958, pp. 97-104, 513-540; E. Sanguineti, Palazzeschi tra liberty e crepuscolarismo, in Id., Tra liberty e crepuscolarismo, Milano 1961, pp. 80-105; E. Falqui, in Id., Novecento letterario italiano, III, Firenze 1970, pp. 348-374; G. Spagnoletti, Palazzeschi, Milano 1971; G. Guntert, Palazzeschi e la giocondità, in Paragone, XXII (1971), 262, pp. 62-88; M. Miccinesi, Aldo Palazzeschi, Firenze 1972; A. Borlenghi, Aldo Palazzeschi, in Letteratura italiana. I contemporanei, Milano 1974, I, pp. 625-648; il numero speciale de Il Verri, XIX (1974), 5-6 (con scritti, saggi e testimonianze di R. Barilli, A. Borlenghi, G. Conte, F. Curi, L. De Maria, M. Graffi, G. Guntert, M. Moretti, E. Montale, S. Solmi, A. Giuliani, G. Pontiggia); il numero speciale di Galleria, XXVI (1974), 2-4 (con interventi di S. Quasimodo, N. Ajello, A. Arbasino, L. Baldacci, C. Betocchi, G. Caproni, E. De Michelis, A. Gatto, M. Luzi, M. Moretti, P.P. Pasolini, G. Petroni, V. Pratolini, G. Pullini, E. Siciliano, P. Prestigiacomo, E. Ragni); P.V. Mengaldo, A. Palazzeschi, in Poeti italiani del Novecento, a cura di P.V. Mengaldo, Milano 1975, pp. 47-52; L. De Maria, Palazzeschi e l'avanguardia, Milano 1976; F.P. Memmo, Invito alla lettura di Palazzeschi, Milano 1976; M. Picchi, Palazzeschi e i suoi amici, in Belfagor, XXXIII (1978), 2, pp. 129-158; P. Pieri, Ritratto del saltimbanco da giovane: Palazzeschi 1905-1914, Bologna 1980; M. Barenghi, Palazzeschi "umorista" sulle soglie del palcoscenico, in Otto/Novecento, VI (1982), 1, pp. 137-160; A. Saccone, L'occhio narrante. Tre studi sul primo Palazzeschi, Napoli 1987; L. Lepri, Il funambolo innocente. A. Palazzeschi, Firenze 1991; W. Pedullà, Il ritorno dell'uomo di fumo. Viaggio paradossale con Palazzeschi in un paese allegro e innocente, Milano 1992; E. Finamore, A. Palazzeschi e i futuristi di "Lacerba", Rimini 1993; G. Savoca, Concordanza delle poesie di A. Palazzeschi, I, Testi. Liste di frequenza. Indici, Firenze 1993. In occasione di un convegno promosso dall'Università di Firenze, d'intesa con il Gabinetto Vieusseux (22-24 febbr. 2001: gli atti sono in corso di stampa presso l'editore Olschki), è stata pubblicata la "biografia per immagini", Scherzi di gioventù e d'altre età. Album Palazzeschi (1885-1974), a cura di S. Magherini - G. Menghetti, con una prefazione di G. Tellini, Firenze 2001; è recentemente apparso, altresì, il volume intitolato Cinema, curato da M.C. Papini (Roma 2001), che raccoglie le recensioni cinematografiche che il G. scrisse per il settimanale Epoca lungo l'arco di dieci mesi, fra il 1950 e il 1951.