ALCAMENE ('Αλκαμένης, Alcamĕnes)
Scultore contemporaneo di Fidia, talvolta indicato come suo scolaro, talvolta come emulo. Plinio (Nat. hist., XXXVI, 16), lo dice ateniese; Suida (sotto 'Αλκαμένης) e Tzetzes (Chil., VIII, 340) lo dicono, invece, lemnio. Questa divergenza di notizie ha dato luogo a discussioni. Si è congetturato o che A. fosse nato a Lemno, ma da un cleruco ateniese, o che, pure essendo d'origine lemnia, avesse ottenuto la cittadinanza di Atene in premio dei suoi grandi meriti d'artista. Un'altra congettura, che cioè, invece di lemnio, si debba intendere limnio (da Limne, quartiere di Atene) urta contro la testimonianza del menzionato Tzetzes, che lo dice anche isolano (νησιώτης). Si potrebbe anche pensare che la qualifica di ateniese fosse derivata semplicemente dal fatto che A. viveva e lavorava ad Atene; ma contro questa possibilità starebbe l'aneddoto di una sua vittoria sopra Agoracrito, dovuta al favoreggiamento dei suoi concittadini (Plin., Nat. hist., XXXVI, 17).
Ma, accanto alla questione dell'etnico, altre ne esistono, più gravi, derivanti dalle notizie degli antichi sia sulla cronologia, sia sull'attività dell'artista; e queste poi si complicano con quelle relative all'identificazione di alcune sue opere. Lasciando da parte qualche notizia generica secondo cui A. sarebbe stato un più giovane contemporaneo di Fidia e suo scolaro, se ne ha una che costituisce un punto fermo per la cronologia: di A. sarebbero due statue (qualcuno pensa che le parole di Pausania, IX, 11, 6, indichino un gruppo) rappresentanti Atena ed Eracle, che Trasibulo e i suoi compagni consacrarono nell'Herakleion di Tebe dopo la caduta dei trenta tiranni, cioè dopo il 403 a. C. È evidente che con questa data non si può conciliare l'attribuzione che Pausania fa ad A. delle sculture del frontone occidentale del tempio di Zeus a Olimpia. Pausania riferisce una notizia errata, o parla con cognizione di causa? E, in questo caso, non sarebbe legittimo il dubbio, che infatti a più di uno studioso si è affacciato, che siano esistiti due scultori di nome Alcamene? E il fatto che Plinio una volta pone A. tra gli scolari di Fidia (loc. cit.) e un'altra tra gli emuli (Nat. hist., XXXIV, 49), non indicherebbe appunto la confusione di due persone in una?
Oltre alle sculture frontonali di Olimpia e alle due statue dell'Herakleion di Tebe, le altre opere di A., di cui ci dànno notizia gli scrittori antichi, sarebbero: 1. un'Afrodite, detta - dalla località ove si trovava, presso Atene - dei giardini (ἐν κήποις), ricordata da Plinio (Nat. hist., XXXVI, 16) e da Pausania (I, 19, 2), e molto apprezzata da Luciano (Imag., 4 e 6); 2. un'altra Afrodite, eseguita in gara con Agoracrito (Plin., Nat. hist., XXXVI, 17); 3. una Atena eseguita in gara con Fidia (Tzetzes, Chil., VIII, 353); 4. una Era per un tempio esistente fra Atene e il Falero (Pausania, I, 1, 5); 5. Un Hekataion (triplice figura di Ecate), detto Hekate Epipyrgidia, posto sull'Acropoli di Atene, presso il tempio di Atena Nike (Paus., II, 30, 2); 6. un Ares in Atene (Paus., I, 8, 4); 7. un Dioniso in Atene (Paus., I, 20, 3); 8. un Efesto in Atene (Cic., De nat. Deorum, I, 30; Val. Max., 11, ext. 3); 9. un Asclepio per Mantinea (Paus., VIII, 9, 1); 10. un atleta di bronzo, detto da Plinio encrinomenos (Nat. hist., XXXIV, 72). Delle opere su elencate nessuna s'identifica con sicurezza. I giudizî di Quintiliano (Instit. orat., XII, 10, 8) e Dionisio di Alicarnasso (De admir. vi dicendi in Demosth., 50, p. 1108) sull'arte di A. in genere sono più vaghi assai di quello di Luciano sull'Afrodite dei giardini. Rispetto alle opere suddette soltanto congetture più o meno attendibili si sono potute avanzare. Questo è il caso, per esempio, dell'encrinomenos di Plinio, che il Klein ha proposto di correggere in enchriomenos, il che, a suo avviso, permetterebbe di riconoscere l'opera di Alcamene in una statua di atleta che si versa dell'olio sul corpo, esistente nella gliptoteca di Monaco. Maggior fortuna ha incontrato l'ipotesi del Furtwängler che le numerose repliche della statua di Afrodite in vestito trasparente, detta comunemente Venere Genitrice, siano altrettante riproduzioni dell'Afrodite dei giardini; ma sostanzialmente quest'ipotesi non è più fondata della precedente. E più o meno nelle stesse condizioni ci troviamo rispetto ad altre presunte identificazioni di opere di A., che non sono neppure ricordate dalle fonti antiche, come il Marte Borghese del Louvre o il Discobolo del Vaticano.
Due nuovi fatti hanno lasciato sperare di raggiungere una più concreta conoscenza dell'arte di Alcamene. Uno è stata la scoperta, avvenuta a Pergamo, nel 1903, di un'erma con testa di Ermete barbato, di stile arcaistico, che porta un'iscrizione indicante A. come autore dell'opera e che facilmente è stata riconosciuta come copia di un Hermes propylaios, che Pausania ricorda tra le sculture dell'acropoli di Atene (I, 22, 8), senza dire chi l'avesse fatta. L'altro è la tentata identificazione di una statua del museo dell'Acropoli, rappresentante una donna panneggiata, alla cui parte inferiore strettamente aderisce la figura di un bambino, con il gruppo di Procne e Iti, che Pausania ricorda come opera dedicata da un personaggio di nome Alcamene, e che il Winter ha poi creduto di attribuire allo scultore omonimo, il quale avrebbe così dedicato un'opera propria. Ora, per certo l'Hermes propylaios è un'opera di stile volutamente arcaico. Ma è accaduto che, mentre alcuni vi ravvisano una grande affinità con le sculture del frontone occidentale di Olimpia (donde la pretesa conferma dell'attribuzione di Pausania, da una parte, e, dall'altra, della supposizione che siano esistiti due artisti omonimi), per altri invece la maggiore affinità sarebbe da ricercarsi in opere più recenti, e precisamente in alcune figure del frontone orientale del Partenone. Nulla di straordinario presenterebbe questa seconda indicazione. Si sa come nessuno possa ormai credere seriamente che le decorazioni plastiche del Partenone siano opera personale di Fidia. Nulla di più verisimile che egli abbia scelto i suoi collaboratori tra i migliori artisti del tempo, comprendendovi anche i migliori tra i suoi scolari; ed A. era certo uno di costoro. Ma, indipendentemente dall'Hermes propylaios, in favore dell'ipotesi che tra i collaboratori di Fidia si trovasse anche A., potrebbero concorrere altri elementi. In questi ultimi tempi l'argomento è stato ripreso da Hans Schrader in un suo volume che s'intitola Phidias, ma che si occupa anche di molti altri artisti contemporanei del grande maestro, e, tra essi, di Alcamene.
Molte parti dell'opera dello Schrader sono assai discutibili; ma merita di essere tenuta in considerazione la congettura che l'Afrodite dei giardini sia rappresentata, non dalla cosiddetta Venere Genitrice, bensì da una figura della dea in un rilievo votivo di Dafni; figura che concorda pienamente con una statua pervenutaci in varie repliche, le quali, pur mostrando delle varianti, rivelano la loro dipendenza da un unico originale. La dea, vestita di chitone e di himation, si appoggia col gomito sinistro, come in atteggiamento di abbandono, a un pilastro, portando il piede sinistro avanti al destro. Nulla, a prima vista, che giustifichi l'identificazione di questa figura statuaria con una qualsiasi opera di un qualsiasi autore. Ma ad un osservatore attento s'impone la grande affinità stilistica (nel trattamento del panneggio) con alcune figure del Partenone e più particolarmente con le cosiddette Parche del frontone orientale. Lo Schrader giustamente mette in rilievo quest'affinità e ne deduce che il frontone orientale del Partenone debba attribuirsi ad Alcamene.
Se l'identificazione dell'Afrodite dei giardini, proposta dallo Schrader, rispondesse al vero, e se l'affinità di questa statua di Afrodite con le menzionate sculture del Partenone bastasse, non solo ad autorizzare, ma anche a convalidare l'attribuzione di quella e di queste a un medesimo autore, e se alla serie si potesse aggiungere anche il gruppo del museo dell'Acropoli, che si vuole rappresenti Procne e Iti, ma di cui, comunque, una certa affinità, sia con la statua di Afrodite sia con le sculture del Partenone, è innegabile, ne risulterebbe un tale concatenamento di fatti che, anche a prescindere dall'Hermes propylaios, la vecchia ipotesi del riconoscimento dell'opera di A. in una parte delle sculture del Partenone, ora ripresa dallo Schrader, apparirebbe tutt'altro che cervellotica. Ma lo Schrader ha molto allargato la serie dei confronti; e certo la stessa molteplicità di opere, tra di loro affini, non può non suscitare delle titubanze. Evidentemente abbiamo da fare con una diffusa somiglianza d'indirizzo artistico e con un genere di affinità stilistica, che dobbiamo riconoscere peculiari di tutto l'ambiente attico durante l'età fidiaca e l'immediata postfidiaca, e che naturalmente impongono le debite riserve nell'individuazione dell'opera di questo o di quell'artista.
Bibl.: H. Brunn, Geschichte d. griechischen Künstler, I, 2ª ed., Stoccarda 1889; Robert, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 1507, Stoccarda 1894; M. Collignon, Histoire de la sculpture grecque, II, Parigi 1897; W. Klein, geschichte d. griechischen Kunst, II, Lipsia 1905; H. Schrader, Phidias, Francoforte s. M. 1924; P. Ducati, L'arte classica, Torino 1926. Per l'Encrinomenos: W. Klein, in Archäol.-epigraph. Mittheilungen, XIV (1891), p. 6 segg. (cfr. id., Geschichte d. griechischen Künstler, II, Lipsia 1905). Per l'Afrodite dei giardini: A. Furtwängler, in Roscher, Lexikon d. gr. u. röm. Mythol., Lipsia 1884-1890, I, i. Per l'Hermes propylaios: A. Conze, in Sitzungsb. d. Berliner Akademie, 1904, p. 69 segg.; G. Loeschcke, in Jahrb. d. deutschen archäol. Instituts, XIX (1904), p. 22 segg.