GEREMICCA, Alberto
Nacque a Napoli il 1° ott. 1863. Dopo la laurea in giurisprudenza conseguita presso l'Università partenopea, allora dominata dalla figura e dall'insegnamento di G. Bovio, cominciò a esercitare come avvocato penalista e raggiunse una notevole fama di studioso pubblicando, oltre a svariati saggi, la monografia La pratica nel foro penale (Napoli 1890) e La giuria e le corti di assise (ibid. 1896). Collaborò inoltre a numerose riviste e diresse La Domenica giudiziaria e La Rivista del Circolo giuridico napoletano.
Di idee monarchico-liberali, compendiò il proprio pensiero politico che, pressoché inalterato, lo avrebbe poi guidato nel corso della sua lunga carriera, nel volume Partiti e programmi in Italia (ibid. 1902), raccolta degli articoli già pubblicati sul quotidiano Il Pungolo di Napoli.
Scopo di questo volume era raccogliere tutte le "gradazioni del gran partito liberale-costituzionale intorno a un solo programma di verità e di riforme, con un solo indirizzo e contro i comuni nemici" (p. VII), laddove il pericolo era rappresentato, per il G., dall'avanzare minaccioso dei partiti "estralegali" e in particolar modo del partito socialista, il "comune nemico", peggiore degli altri per la sua tendenza a nascondere dietro un'apparenza riformista il reale intento di conquista dei pubblici poteri.
Il programma del G., allineato agli interessi dei ceti commerciali e industriali del Mezzogiorno ma non ciecamente conservatore, si basava su due capisaldi: "far sua la essenza semplice del socialismo", che consiste nell'accrescere in generale il benessere dei cittadini e, nel contempo, studiare e applicare le riforme necessarie per eliminare i motivi profondi che alimentano la lotta di classe; dimostrare come il partito socialista abbia, quale unico scopo, quello di sostituirsi dittatorialmente al "presente regime", e quindi combatterne "risolutamente il metodo, i mezzi ed il fine" (p. 36). Tra le riforme proposte dal G. nell'ambito dei rapporti di lavoro vi era l'istituzione di coalizioni padronali e operaie che potessero trasformarsi in futuro in organizzazioni miste (p. 50); erano contemplati anche il contratto collettivo di lavoro e la definitiva legittimazione del diritto di sciopero, ma soltanto nel caso di scioperi motivati da rivendicazioni strettamente economiche e non politiche.
Tutte le riforme proposte dal G. tendevano, in sostanza, a eliminare ogni valenza politica nelle relazioni tra imprenditori e operai: a questo scopo egli arrivava a proporre, quale soluzione possibile per evitare la lotta di classe, la sostituzione del sistema parlamentare tradizionale con un metodo che consentisse la diretta rappresentanza politica degli interessi economici, ritenendo di riuscire a mettere fine così "all'assolutismo, all'intolleranza, all'incompetenza, alla corruzione, a tutti i difetti del regime parlamentare" (p. 105).
Dopo la rielezione di F. Del Carretto a sindaco di Napoli (aprile 1907), il G., già consigliere provinciale e comunale (era stato, tra l'altro, tra i fautori dell'inchiesta sull'amministrazione provinciale), entrò in giunta con la carica di assessore alle Finanze. Egli pose al centro del suo impegno una più concreta e incisiva utilizzazione dei fondi messi a disposizione dalla legge speciale per Napoli dell'8 luglio 1904 e una conseguente effettiva realizzazione delle opere da questa previste, mostrandosi inizialmente ottimista in quanto riteneva che per questo tramite si potesse giungere a un significativo potenziamento dell'industrializzazione del comprensorio napoletano. L'ottimismo, alla prova dei fatti, si dimostrò eccessivo e il G., bersagliato da accuse di immobilismo, nel maggio 1909 fu costretto a dimettersi, passando fra i critici dell'amministrazione che egli accusò, a sua volta, di mancanza di chiarezza e di determinazione nel definire e attuare la linea politica di governo.
Nel 1912 in seguito a un rimpasto, tornò assessore alle Finanze fino al definitivo scioglimento della giunta nel novembre 1913. Non si presentò alle elezioni comunali del 1914 con il raggruppamento del Fascio liberale dell'ordine (cui tra gli altri aveva dato il suo appoggio B. Croce), ritenuto troppo compromesso con l'immobilismo delle precedenti amministrazioni; mantenne, tuttavia, saldamente la propria influenza sui "partiti dell'ordine" napoletani e alla fine della guerra preparò il ritorno alla politica attiva pubblicando il volume Per l'avvenire della vita economica italiana (Napoli 1918).
In esso esponeva sinteticamente le posizioni della vecchia classe dirigente moderata riguardo ai gravi problemi economici e sociali che la fine del conflitto avrebbe inevitabilmente portato con sé, per risolvere i quali auspicava la smobilitazione di una burocrazia statale cresciuta in modo aberrante, il concreto attuarsi di una politica che favorisse l'incremento dell'industria, del commercio e dell'agricoltura, il potenziamento del porto di Napoli; riteneva, infine, indispensabile per l'attuazione di questo programma raggiungere la concordia nazionale e il superamento dei contrasti di classe.
Nel 1918 ritornò alla politica attiva, facendo parte della Commissione di studio per i problemi del dopoguerra (la cosiddetta Commissionissima) e, contemporaneamente, si attivò per organizzare una struttura politica che desse voce agli specifici interessi della borghesia produttiva napoletana. Il 3 dic. 1918 sottoscrisse il programma dell'Associazione monarchica liberale dove, tra l'altro, si proponeva il suffragio universale e obbligatorio per uomini e donne e la compartecipazione degli operai agli utili delle imprese, ma contemporaneamente si vietava il ricorso allo sciopero generale.
Il 12 ottobre, insieme con l'ex sindaco Del Carretto e i maggiori esponenti del mondo economico e finanziario napoletano, fu tra i fondatori del Partito economico, sostenuto anche da Monarchia liberale.
Il nuovo partito, oltre a dichiararsi pronto a combattere per i valori tradizionalmente sostenuti da ogni schieramento conservatore, quali la difesa della civiltà, della patria, della famiglia, intendeva di fatto sostenere più concretamente gli interessi economici dei ceti imprenditoriali locali, compressi tra burocrazia statale e pressione operaia.
In occasione delle elezioni comunali del 1920, a Napoli si formò un blocco conservatore costituito da due grandi gruppi che raccoglievano nella lista Federazione-Alleanza praticamente tutte le forze della "concentrazione borghese", e con questa si presentò il G.; il raggruppamento conquistò a larga maggioranza il Comune e, dopo un breve mandato di A.V. Russo, il 14 apr. 1920 il G. divenne sindaco.
Nel programma egli prevedeva di interessare le banche e il capitale privato allo sviluppo economico ed edilizio di Napoli. Trovandosi a dover affrontare un disavanzo di circa 50 milioni e un complesso di debiti ammontante a 225 milioni, il G. intese risolvere l'indebitamento con l'aiuto della Banca d'Italia, che concesse un anticipo di 17 milioni e frazionò nel tempo i debiti della Municipalità; il passivo di 225 milioni venne addossato alla Cassa depositi e prestiti. Inoltre il G. costituì due società di consulenza, una destinata al risanamento della città e l'altra alla gestione dei servizi pubblici; l'operazione, che doveva favorire lo sviluppo delle potenzialità economiche cittadine, venne avviata tramite un gruppo di studio guidato da N. Miraglia, direttore generale del Banco di Napoli, e con la partecipazione di esponenti di altri istituti di credito. Di fatto il vasto piano progettato dal G. non ebbe neppure un principio di attuazione: il crollo, nel dicembre 1921, della Banca di sconto e il fallimento dell'Alleanza dei Comuni, che coinvolse vari industriali che il G. intendeva interessare ai suoi programmi, vanificarono subito il progetto.
Per quanto riguarda le tensioni che si verificarono anche a Napoli tra il 1920 e il 1922 - e in particolare durante l'occupazione delle fabbriche e nei due scioperi generali del 1922 -, il G. tenne un atteggiamento piuttosto rigido nei confronti delle richieste operaie; nel febbraio del 1922, poi, quando dovette affrontare una dura vertenza dei tranvieri napoletani, respinse il loro ultimatum e li costrinse alla resa.
Sul finire del 1922, il G. si schierò in favore del fascismo e il 24 ottobre fece una calorosa accoglienza a B. Mussolini, nel corso della manifestazione che in quella data si tenne al teatro S. Carlo. Il 20 novembre successivo si dimise dalla carica di sindaco; la sua posizione nella maggioranza si era, infatti, vieppiù indebolita, anche se egli intese motivare le dimissioni con la nuova situazione creatasi con l'avvento del fascismo.
Alle elezioni del 1924 (XXVII legislatura) il G. si presentò nel "listone" e fu eletto deputato per la Campania; fu quindi per breve tempo, dal 20 ott. 1924, commissario regio di Napoli, in seguito alle dimissioni del sindaco A. Angiulli e all'istituzione dell'Alto Commissariato per la provincia napoletana. Nel corso della sua prima legislatura svolse un'attività parlamentare piuttosto intensa diventando, tra l'altro, presidente di numerose commissioni. Venne quindi rieletto deputato nel 1929 e nominato senatore nel 1935. Fu anche amministratore del Banco di Napoli e presidente dell'Ente autonomo Volturno.
Morì a Sarno, presso Salerno, il 9 sett. 1943.
Tra le opere del G., oltre quelle già citate, si ricordano: Pel mare e per la patria. Conferenza, La Spezia 1900; Riordinamento amministrativo, contabile e finanziario. Relazione alla R. Commissione, Napoli 1903; Proposte del Circolo giuridico di Napoli per una riforma dell'ordinamento giudiziario, ibid. 1906.
Fonti e Bibl.: E. Nobile, A. G. per A. Torelli, in Almanacco dei bibliotecari italiani 1960, Roma 1960, pp. 89-94; R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, pp. 23, 40, 81, 140, 156, 270; G. Sepe, Napoli nella vita unitaria, Napoli 1964, pp. 381, 423; Storia di Napoli, X, Napoli contemporanea, Napoli 1971, ad indicem; G. De Antonellis, Napoli sotto il regime, Napoli 1972, pp. 32, 76 s.; A. Ghirelli, Napoli italiana, Torino 1977, p. 189; G. Galasso, Napoli, Roma-Bari 1987, pp. 195 s.; Chi è? Dizionario degli italiani d'oggi, 1936, sub voce.
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