CARONCINI, Alberto
Nacque a Roma il 21 febbr. 1883 da Gustavo e da Giovanna Biasioli, una solida famiglia di ceto medio, di origine veneta.
Nell'aprile 1897 partecipò, a Pisa, ad un congresso socialista universitario. Nel 1901 aderì al movimento dei Giovani liberali, di Giovanni Borelli, e alle correnti irredentistiche, alle quali cercò di fornire un contributo di riflessione su temi economici, e secondo un'angolazione non ristretta al Trentino e a Trieste.
Il C. s'inseriva così negli schieramenti dell'eterodossia politica del primo quindicennio del '900 (nazionalisti, liberisti, sindacalisti, vociani, salveminiani), come protagonista minore, ma di un certo rilievo e dotato di una sua personalità, costituendo, nell'ambito di queste correnti, uno dei tramiti tra la letteratura e la cultura economica. Si trattava di esperienze giovanili, etiche e culturali oltre che politiche, in cui si rifletteva la mancanza di una saldatura con la generazione precedente, e, più in profondità, la mancanza di un'identificazione con le strutture del regime politico.
Fu alunno del Banco di Napoli dal 22 dic. 1902 al 29 apr. 1903.
Nel 1904 il C. entrava al ministero di Agricoltura, all'Ufficio del lavoro, diretto dal Montemartini, presso la direzione della statistica degli scioperi. Nello stesso anno pubblicava a Roma la propria tesi di laurea (Lo Stato e i sindacati industriali), discussa nel 1903 all'università di Roma. Presso la medesima università ottenne il premio per il corso di perfezionamento in economia politica nel 1905.
Nell'opera il C. considerava le concentrazioni industriali come un fenomeno che modificava il sistema di libero mercato, sul quale era opportuno un controllo pubblico. Era, tuttavia, animato da un vivo interesse per l'economia delle grandi imprese, e per le loro implicazioni politiche.
Vicino a Il Regno del Corradini, collaborò a Critica e azione, una rivista che ebbe vita irregolare tra il 1904 e il 1910, e che nel 1908 aveva nella propria redazione, oltre al C., G. Bergmann, che ne era il direttore, G. Jona, G. Mangianti e U. Magini.
Collegata ai Giovani liberali, protonazionalista, le colonne dellarivista dettero ai temi di una rigenerazione delle classi dirigenti maggior risalto che agli interessi sociali. Poi, nel giugno dell'anno 1910 Critica e azione confluiva nella rivista La Libertà economica, diretta da A. Giovannini, che riusciva a raccogliere un gruppo poco omogeneo di firme, come E. Giretti, O. Zuccarini, T. Martello, N. Quilici, N. M. Fovel, P. Orano, G. Borelli, e il cui trait d'union dovette essere soprattutto un certo liberismo taumaturgico, la consapevolezza d'essere gli uni e gli altri esponenti di piccole frange politiche, e, forse, il comune antigiolittismo.
Nel 1910 il C. partecipò al congresso di fondazione dell'Associazione nazionalista italiana a Firenze; intendeva trasmettere in quell'area politica i suoi principi liberisti e un articolato sostegno della emigrazione (cfr. Ancora del nazionalismo, in La Voce, 21 luglio 1910). Dal 1910 al 1912, per Il Giornale degli economisti, scrisse le "Cronache" una rubrica politica redatta, tra il 1890 e il 1914, oltre che dal C., dal Pantaleoni e dal De Viti de Marco, dal Mazzola, dal Pareto, dal Papafava e infine da minori come A. Renda e Mario Silvestri.
L'opposizione del C. era radicale, ma se dalla sua negazione del sistema politico italiano si enucleava quello che era il più concreto rifiuto del sistema giolittiano di conquista e di gestione del potere governativo, finivano per emergere dei punti di contatto o almeno di intersecazione con le linee alternative rappresentate dal Sonnino. Lo sviluppo dello Stato unitario gli pareva soffocato dalla cristallizzazione di una coalizione di vertice tra proprietari fondiari e industriali privilegiati, tra operai e ceti impiegatizi. E così il movimento delle rivendicazioni sociali si convertiva, a suo parere, nella codificazione di redditi eccezionali di massa, nella stabilizzazione del malgoverno, nella cronicizzazione di un disordine sezionale e corporativo.
Il mito della produttività veniva levato contro questo processo, come soluzione economica e come diverso metodo di convivenza, che esaltava le funzioni dei gruppi sociali e chiariva il destino delle persone individuali. Tuttavia questo mito rimaneva circoscritto, nell'analisi del C., a un mito di minoranza. Era per lui il mito delle antitesi, cariche di capacità creatrici, qualora lo Stato fosse stato capace di incanalarle nell'alveo delle istituzioni, piuttosto che offrirsi come piattaforma per la costituzione di soluzioni compromissorie (cfr. Economiae democrazia, in LaLibertà economica, 1º giugno 1910). Una presa di coscienza non neutrale, quindi, delle nuove forme di concorrenza per il potere tipiche di una società industriale, che vedeva le classi e le categorie ormai organizzate in grandi raggruppamenti sindacali e di partito, con residui che sfuggivano a una determinazione economica. Ma per il C. era altresì necessario purificarsi dalle incrostazioni parassitarie, dallo scarso sentimento dello Stato e del dovere civile, dalle concentrazioni monopolistiche di potere che egemonizzavano l'autorità costituita.
Il C. era dunque critico risoluto dei partiti ufficiali del movimento operaio (cfr. l'intervista con Arturo Labriola sulla crisi del partito socialista in La Libertà economica, 31 marzo 1906) e della burocrazia giolittiana, e scettico sulle virtù riformatrici del suffragio universale.
Fu decentratore, in un giudizio eclettico che integrava la polemica salveminiana contro il prefetto, perno della maggioranza giolittiana, con gli accenti sonniniani sulla disgregazione particolaristica del Parlamento; e, ancora, integrava la tesi conservatrice dell'emergere dei corpi sociali, custodi delle tradizioni della comunità nazionale contro il formalismo giuridico dello Stato, con la rivendicazione liberista delle autonomie della società civile. Il C. oscillava così tra il primato del potere dello Stato e quello della società nazionale, senza sciogliere la contraddizione.
La nozione che il C. ebbe della guerra libica fu einaudiana, quale banco di prova di un'occasione di rinascita politica, mentre lo Stato doveva tutelare le attività economiche private, italiane e straniere, garantire l'instaurazione di un meccanismo liberista, e fornire le infrastrutture economiche e politiche (cfr. I dazi di Tripolitania, in La Voce, 11genn. 1912). L'ideologia liberista si congiungeva, in questo caso, con una politica estera espansiva, di affermazione della dignità nazionale, proiettata su tutta l'area mediterranea.
Nel 1912 il C. lasciava il ministero di Agricoltura per salire alla cattedra di scienze economiche della scuola di commercio di Torino. Iniziava la sua collaborazione al Resto del Carlino, di cui, verso la fine del 1914, doveva diventare vicedirettore. Il 10 maggio 1914, assieme a P. Arcari, fondava, a Milano, L'Azione.Pochi giorni prima del terzo congresso nazionalista, l'Arcari puntualizzava sulla rivista le sue critiche e le sue differenziazioni - peraltro già concretate in ormai ratificati atti di scissione - in una non accettazione dell'esaltazione superomistica dell'io, in una ripulsa della morale della forza e in una concezione innovatrice del Risorgimento.
Obiettivo dell'Azione era il recupero della borghesia, su un piano di attacco; ma essa voleva inoltre allargare le basi degli ideali nazionali, investendo le classi lavoratrici (cfr., del C., L'avvento del riformismo, in L'Azione, 5 luglio 1914, e I socialisti tedeschi sono nel vero, ibid., 13 sett. 1914): per il C. in quel momento era proprio la polemica del movimento operaio contro l'etica della nazione a creare una pericolosa scissione tra questa e le masse popolari e a mettere in discussione la conservazione di un bene come l'ordine pubblico.
Al precipitare del primo conflitto mondiale l'interventismo dell'Azione edel C. fu tendenzialmente irredentista e imperialista. Si credeva però a una continuità della funzione dell'Austria e si temeva il pericolo del dilagare degli Slavi. Riemergeva allora una interpretazione imperialistica del Risorgimento e della figura politica del conte di Cavour (cfr. La guerra della vera libertà, in L'Azione, 22 nov. e 20 dic. 1914: sintesi del discorso del C. al convegno dei nazionalisti liberali). Secondo il C., occorreva che l'Italia fosse all'altezza della soluzione bellica, se la guerra era un momento di progressione storica, attraverso il quale si sarebbe raggiunto un nuovo punto di equilibrio mondiale (cfr. Probletni di politica nazionale, Bari 1922). E la guerra doveva essere diretta dalla borghesia, coagulata attorno alla monarchia nei quadri dell'esercito regolare, respingendo le velleità dei corpi volontari (e sulle funzioni dirigenti della borghesia il C. ebbe una polemica col Mussolini ancora socialista: cfr. Vigezzi).
Il C. partì volontario per la guerra, e il 30 maggio 1915 L'Azione interrompeva le pubblicazioni. Le riprese il 1º agosto, diretta da L. Giovanola.
In sede di polemica L'Azione, tranne qualche spunto, non smarrì i sensi della compostezza. E d'altronde l'anticonformismo del C., durante tutta la sua traiettoria politica, più che formulare progetti eversivi riguardo allo Stato liberale, fu teso a sollecitare una presa di coscienza politica della borghesia imprenditoriale e dei ceti medi, affinché accentuassero il loro ruolo direttivo nella società e nelle istituzioni pubbliche.
Il C. fu dichiarato disperso in guerra, sul Podgora, nella prima decade di novembre del 1915.
Fonti e Bibl.: Il nazional. italiano. Atti del Congresso di Firenze, Firenze 1911, pp. 145 s., 177 s., 204-06; E. Amendola Kühn, Vita con G. Amendola, Firenze 1960, ad Ind.;G. Del Vecchio, A.C., in Giorn. degli economisti, s. 3, XXVII (1916), 2, pp. 266-68; R. Michels, A. C., in La Riforma sociale, XXIV(1917), pp. 109-16; Id., Storia critica del movimento socialista italiano dagli inizi fino al 1911, Firenze 1926, p. 187; G. Volpe, L'Italia in cammino, l'ultimo cinquant., Milano 1928, pp. 93-101, 330 ss.; P. M. Arcari, Le elaboraz. della dottrina politica nazionale (1870-1914), Firenze 1934-39, ad Ind.;A. Bobbio, Le riviste fiorentine del principio del secolo (1903-1916), Firenze 1936, passim;G. Volpe, Italia moderna, II, Firenze 1949, pp. 330-81; III, ibid. 1952, pp. 274 ss., 520 ss.; P. Gobetti, Scritti politici, Torino 1960, pp. 473, 962; D. Frigezzi, introd. a La cultura politica ital. del 900attraverso le riviste, I, Leonardo, Hermes, Il Regno, Torino 1960, pp. II ss., 41, 57 ss., 639; F. Gaeta, Nazionalismo ital., Napoli 1965, passim;B. Vigezzi, L'Italia di fronte alla guerra mondiale, I, L'Italia neutrale, Milano 1966, pp. 901-906.