BISSA, Alberto
Letterato piacentino, vissuto nella seconda metà del sec. XVI. Fu al servizio di varie famiglie nobili piacentine (Scotti, Torelli, Landi) e particolarmente devoto agli Sfondrati. I pochi dati che si conoscono sulla sua vita sono raccolti in un passo delle Memorie del Poggiali, basato, sembra, solo sulle informazioni ricavabili dalle opere del Bissa.
Queste sono: Lettere volgari di diversi huomini saggi,e bei spiriti,scritte in diverse materie novamente stampate, libro primo, Cremona 1561; Epitetti et modi eloquenti di parlare usati da M. Francesco Petrarca et da altri eccellentiss. et dottissimi huomini,lumi della vera lingua volgar toscana…, Piacenza 1572; Gemme della lingua volgar,et latina,rinchiuse in cinque dialoghi... Et vi segue,il secondo volume delle sue lettere famigliari, Milano 1585; Le lettere famigliari di A. B…, in una de quali,i costumi,la vita,l'imperio,et la morte de gl'imperadori,sin' all'ellettione di Germania,et in un'altra simil ordine de pontefici,con altre cose notabili,si descrivono, Piacenza 1594.
In una lettera di Francesco Moroni al B. (in Gemme, pp. 109v-110v) lo si loda perché, dopo il primo volume delle Lettere, stava preparando "non solo il secondo volume de simili lettere, ma anchora i modi eloquenti di parlare... et appresso anco i singolari scelti da Paris de Putheo, Angelo, et della Prattica Pavese". L'ultima frase alluderà a una raccolta di indole giuridica di cui non abbiamo altre notizie.
Da queste opere si ricava che il B. fu in gioventù segretario del conte Amoratto Scotti e del conte Galeazzo Torelli (cfr. la lettera di Rinaldo Romano a Alberto Bracciforti, in Lettere, 1561, pp. 157 s.); servì anche da cancelliere a Francesco Sfondrati a Milano (dove lo Sfondrati serviva Francesco Sforza e poi Carlo V) e a Siena, dove lo Sfondrati era stato mandato da Carlo V (Lettere, 1561, pp. 111-112 e 119-121). Lo Sfondrati, che godeva il favore di Paolo III, divenne cardinale nel 1544; nel 1545 Paolo III creava per il figlio, Pier Luigi Farnese, il ducato di Parma e Piacenza. Il B., che aveva brigato per esser chiamato a Roma presso lo Sfondrati, cambiò idea (dovette restare a Piacenza "à preghiere di suo padre, il quale desiderava tenerlo appresso di se, havendo quel solo figliuolo",Lettere, 1561, pp. 119-121, e cfr. pp. 111-112), e il cardinale Sfondrati (d'accordo con Annibal Caro, primo segretario del Farnese) scrisse ad Apollonio Filarete, segretario del duca, raccomandando il B. per il posto di "Cancelliere della Segreteria" (ibid., pp. 111-112). Il B. non ebbe il posto di cancelliere, ma un posto di coadiutore, "il cui salario ordinario passa cinque scudi il mese, ne diffalca da l'esser Cancelliere se non de lire settanta l'anno" (ibid., p. 113); anzi "l'uffitio da se per esser solo, et dato dal Prencipe, à me pare che avanzi l'esser Cancelliere", e "in fine de l'anno, credo che tanto sopravanzarà il straordinario del coadiutore quello del Cancelliere che computato l'ordinario co'l straordinario ogn'uno sarà uguale" (ibid., pp. 114-115). Quando parve che il posto gli dovesse esser tolto, il B. chiese di nuovo aiuto al cardinale Sfondrati, pregandolo di scrivere ad Annibal Caro e a Paolopietro Guidi "presidente del Magistrato" (ibid., pp. 115-118): il cardinale scrisse direttamente nel 1546 a Pier Luigi Farnese (ibid., pp. 119-121). Più tardi il B. brigò per un posto nella cancelleria del Senato, "forse di Milano", come nota il Poggiali (lettera di Ottavio Landi da Londra,ibid., p. 150); in seguito (se l'ordine delle lettere è cronologico: in quasi tutte manca la data) volle tornare a servire gli Sfondrati a Roma (ibid., p. 153), e ottenne la cancelleria di Fermo, sotto il conte G. Landi (ibid., p. 154). Egli tornò poi al servizio degli Sfondrati, viaggiando per l'Italia e curando i loro interessi, come appare dalla prefazione di Giovanni Romano, zio del B. (ibid., pp. 129 ss.), agli Epitetti, alle Gemme e alle Lettere del 1594. In una lettera alle figlie "Angelica et Domitia Bisse" il B. chiede che preghino per lui e aggiunge: "Vi potresti forse stupire, ch'io non habbi almeno fatta mutatione di vita, in tanto tempo ch'io servo a questi Illustriss. Signori Sfondrati" (Gemme, pp 75r-76v); F. Moroni scrive che il B. non si mostrò indegno di servire il cardinale Sfondrati, "et hora d'essere molto caro alli Signori suoi figliuoli Illustriss. l'uno Cardinal in gratia di sua Santità, et l'altro in gratia di sua Maestà Catholica" (Gemme, pp. 109v-110v); di questi il secondo è Paolo, creato consigliere segreto da Filippo II, e il primo è Niccolò, che divenne cardinale nel 1583 e poi papa col nome di Gregorio XIV nel 1590. In una lettera da Milano del 10 dic. 1590 il B. chiede la benedizione del papa appena eletto, ricordandogli "che Vostra Santità in tenera età hò avuto più volte in braccio" (Lettere, 1594, p. 110).
II Poggiali scrive che, "ridottosi stabilmente il B. nella Patria, ed accasatosi con fanciulla d'assai civil condizione per quanto pare, protrasse il viver suo fin quasi alla fine del secolo, e lasciò dopo di sé più figlioli da uno de' quali per avventura discende la nobile Famiglia di tal Cognome, che in Piacenza tuttavia sussiste oggidì". Fra le lettere del B. indirizzate a parenti ne troviamo, non datate, due ad Alessandro e a Bartolomea Scrolaveggia, in cui il B., firmandosi "vostro cugino e fratello", annuncia essergli "questa notte passata dalle due alle tre hore nasciuto un bel puttino" (Lettere, 1561, pp. 142-143); e fra le Lettere del 1594 ne troviamo indirizzate a Daria Bissa Sacca (p. 20), a Maddalena Bissa Levi (p. 25), a Angelica Bissa Fontanili (p. 25), a Domitia Bissa Balbi (p. 30), a Antonia Bissa (p. 51).
Le opere del B. non ebbero a quanto pare larga diffusione: nel Mazzuchelli e nelle Giunte del Narducci, come nel Trabalza, si trovano notizie inesatte; il Poggiali ignora gli Epitetti e dichiara di non aver potuto vedere le Lettere del 1594. Le Lettere del 1561 constano di oltre ottanta missive scritte dal B. o al B., e di altre sessanta scritte da e ad altri (fra cui sono A. Caro, G. Landi, A. Scotti; ma varie [Lettere, 1561, pp. 157-58] sarebbero scritte dal B. a nome di altri). Che questo fosse considerato dal B. come il primo libro delle sue lettere è indicato dal fatto che nel frontespizio delle Gemme si presenta il "secondo volume delle sue lettere famigliari", e che (come nota opportunamente il Poggiali) non ci è noto nessun altro testo che possa valere come primo volume. Giacomo Cavallo, nel dedicare il volume del 1561 a Girolamo de' Rossi, "Ducale Auditore, e Consigliero dignissimo della Magnifica Città di Piacenza", presenta queste "lettere di huomini saggi, scritte in lingua volgare Italiana" come esempi della "vera forma del ben scrivere". La stessa preoccupazione retorica appare chiara in tutta la produzione del B.: tranne poche eccezioni (le lettere nelle quali parla dei suoi problemi personali), pare che egli abbia mirato soprattutto a fornire vuoti modelli epistolografici; e la mancanza delle date non è di solito inadatta alla genericità dei testi. I suoi interessi retorici sono del resto confermati dagli Epitetti, dedicati a Lodovico Confalonieri, in cui il B. presenta una lista dei sostantivi del Petrarca, ordinati alfabeticamente, e fa seguire a ogni sostantivo gli aggettivi da cui esso è accompagnato. Le stesse inclinazioni si manifestano nella struttura dei cinque dialoghi delle Gemme; gli ultimi due dialoghi (che costituiscono il secondo volume delle Lettere) sembrano, come i primi due dialoghi, contenere solo "modi eloquenti, et dotte locutioni di ben parlare volgarmente" (Gemme, p. 3r): solo che negli ultimi due dialoghi tali "modi" sono in forma di "lettere", mentre nei primi due sono in forma di dialoghi veri e propri, su temi come "donna", "capegli", "affanno", ecc.
Più interessante è il terzo dialogo, dedicato al latino. Per ogni lettera dell'alfabeto si trova una lista di espressioni italiane, con traduzione latina, seguita da una lista di espressioni solo latine. Qui, dove l'accento è sul latino e non sul volgare, non si trovano gli enunciati piuttosto stucchevoli delle lettere italiane, ma (secondo la tradizione della lessicografia bilingue latina e volgare) forme apertamente dialettali; per esempio azzalino (ignarium),artichioco (scolumos, cinara),anchiova,banchero,brazzaletto,braga sive mudanda,beccaro,coppo,didale,naranzo,naso schizzo (simus),pellesina che divide gli grani del pomo granato.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 1270; C. Poggiali, Mem. per la storia letteraria di Piacenza, II, Piacenza 1789, pp. 212-214; E. Narducci, Giunte all'opera "Gli Scrittori d'Italia", Roma 1884, pp. 88-89; L. Mensi, Diz. biogr. piacentino, Piacenza 1899, p. 69; C. Trabalza, Storia della grammatica ital., Milano 1908, p. 217.