Cavalier, Alain
Nome d'arte di Alain Fraisse, regista cinematografico francese, nato il 14 settembre 1931 a Vendôme (Loir-et-Cher). Esponente di spicco del cinema indipendente francese a partire dagli anni Sessanta, C. ha lavorato alternando opere di finzione a documentari, combinando sguardo sociale e ripiegamento intimistico, classicismo e sperimentalismo. Esordiente nel filone cinematografico della Nouvelle vague definito della rive gauche, dotato di un'anima politica dichiarata, C. ha attraversato il periodo della 'saggezza' del cinema francese distinguendosi per gli adattamenti di drammi borghesi, come La chamade (1968), ma anche per essere stato tra i più abili assemblatori di sceneggiature. Dopo un lungo periodo di silenzio, è approdato a un cinema più intimo, per tipologia di soggetti e modi di realizzazione. Questa scelta non gli ha impedito di ottenere il suo maggior successo di critica (sei premi César) e di pubblico con Thérèse (1986), film in cui la povertà dei mezzi si abbina a un'acuta ricerca formale. Dalla fine degli anni Novanta, con il ritratto del pittore Georges de la Tour (1997) e con Vies (2000), C. si è distinto come uno dei registi più innovativi tra quelli passati all'uso della tecnologia digitale.
Dopo aver frequentato l'IDHEC, C. maturò professionalmente nell'ambito del nascente nuovo cinema francese: in particolare al fianco di Louis Malle, come assistente alla regia nel film Ascenseur pour l'échafaud (1957; Ascensore per il patibolo), e di Claude Chabrol che gli produsse il primo cortometraggio, Un américain (1958). Il suo esordio avvenne, però, nel segno di un cinema impegnato politicamente: i suoi due primi lungometraggi, Le combat dans l'île (1962; Gli amanti dell'isola) e L'insoumis (1964; Il ribelle di Algeri), sono una testimonianza della guerra di Algeria e delle azioni dell'OAS (Organisation Armée Secrète), in cui viene rinnovato il classico dilemma tra presa di coscienza politica e regole del cuore. Con i lavori successivi, tuttavia, C. impoverì una cifra stilistica già sicura in nome di ragioni commerciali. Solo dalla seconda metà degli anni Settanta il regista riprese un percorso più personale, trattando storie attuali come, per es., il triangolo amoroso sullo sfondo della guerra d'Indocina descritto dai suggestivi piani-sequenza di Martin e Léa (1979), o affondando nell'intimità con un cinema assai vicino a quello underground (Ce répondeur ne prend pas de message, 1979). Il ritorno a un equilibrio formale è avvenuto per tappe, dapprima con il road movie Un étrange voyage (1981), interpretato e co-sceneggiato da sua figlia Camille de Casabianca (n. 1960) che affronta un tema ‒ la ricerca della madre ‒ dal sapore autobiografico, poi con Thérèse, sguardo rivolto al mondo interiore della mistica francese Teresa di Lisieux, con cui il cinema di C. ha trovato un amalgama perfetto tra lo stile asciutto, ereditato dalla breve parentesi underground, e la cura formale degli esordi. La ricerca, intrapresa con questo film, è proseguita poi con una serie di ritratti di donne, realizzati per la televisione francese, e con una versione priva di musica e parole della storia della santa di Lisieux, Libera me (1993). Gli ultimi sviluppi della carriera di C. hanno restituito un regista desideroso di sperimentare nuove forme di racconto avvalendosi di tutte le potenzialità ‒ estetiche, narrative e produttive ‒ offerte dalla tecnologia digitale. In particolare Vies si è rivelato uno dei film più interessanti nel lasciare convergere il modello del ritratto documentario tradizionale insieme a quello contemporaneo del diario, che prevede la partecipazione del soggetto filmante alla composizione della scena.
J.-M. Frodon, L'âge moderne du cinéma français, Paris 1995, passim; R. Prédal, 50 ans de cinéma français, Paris 1996, pp. 193-94, 513-15.