LAPINI, Agostino
Nacque a Firenze il 28 ott. 1515 da Iacopo di Fabiano; non si conosce il nome della madre. Ebbe sicuramente un fratello, Simone, cui spettò l'amministrazione del piccolo patrimonio familiare.
Tra le numerose famiglie omonime di Firenze, quella del L. è elencata tra i contribuenti nel quartiere S. Maria Novella, gonfalone Leon Rosso. Dalla decima del 1498 risulta che il padre del L. svolgeva il mestiere di ferravecchio ed esercitava insieme con il fratello Antonio in una bottega loro affittata dall'ospedale di S. Maria Nuova, nel quartiere di S. Giovanni. Più tardi Iacopo cambiò la sua attività in quella di fornaciaio, come risulta dalla registrazione di battesimo del Lapini. Nel 1498 la famiglia disponeva di un piccolo patrimonio, consistente in una mezza casa di proprietà in S. Frediano, di un podere detto la Fabbrica di Sotto nel "popolo" di S. Cipriano a Gaiole e di alcuni pezzi di terra non appoderati nel medesimo piviere. Non è escluso che i Lapini fossero originari di quella zona, compresa tra il Valdarno e il Chianti senese.
Mancano notizie della giovinezza del L. e del momento in cui entrò in religione. La sua fu una modesta carriera ecclesiastica, tutta interna alla fascia più umile del clero della cattedrale di S. Maria del Fiore, di cui fu cappellano. È questo tuttavia uno dei rari aspetti della sua vita che consente di ricavare qualche notizia biografica. Nel 1548 fu eletto alla carica di infermiere dalla borsa dei substituti cappellani, evidentemente uno dei gradi in cui si articolava l'Opera di carità. Nel 1564 figurava tra i cappellani che dovevano tenere il Libro dello Specchio, dove erano annotati gli obblighi dell'Opera di carità. Nel 1572 faceva parte anche di una delle più importanti confraternite assistenziali della città. In quell'anno era infatti diventato capo di guardia della Misericordia, carica tenuta fino al 23 nov. 1578, quando la rinunziò. Nel 1573 la cappella di sua titolarità era quella di S. Bartolomeo apostolo. Alla titolarità erano associati dei benefici per il mantenimento del prete: il L. godeva di un imprecisato beneficio nella diocesi di Fiesole ed era cappellano dell'oratorio casentinese di S. Caterina a Borgo alla Collina, del quale ottenne licenza di possesso dal duca Cosimo I il 9 ag. 1568. Fu inoltre provveditore dell'Opera di carità dei cappellani e infine fu eletto alla massima carica di priore il 15 ott. 1576.
Il L. fu inoltre basso di cappella del granduca di Toscana, cioè tra i preposti a cantare le messe alla corte di Cosimo. Nel diario del L. i numerosi riferimenti alle cerimonie accompagnate da un coro inducono a ritenere che egli vi prendesse parte attiva in numerose occasioni, cantando quindi anche al di fuori della cappella privata del duca. Fu verosimilmente una delle quaranta voci che interpretarono la canzone composta da Alessandro Striggio per il passaggio del cardinale Ippolito d'Este da Firenze nel luglio 1561. Quando non è protagonista, nel diario non si esime comunque dal segnalare chi in certe occasioni è preposto a cantare la messa (il nunzio o il vescovo Iacopo Guidi). Altre occasioni di giubilo cantato cui il L. prese parte furono la messa tenuta nel duomo dopo che era giunta la notizia della notte di S. Bartolomeo (23-24 ag. 1572) e, in precedenza, quella per la vittoria nella battaglia di Lepanto (7 ott. 1571). Nel luglio del 1581 fu certamente tra coloro che cantarono la messa per ringraziare il granduca Francesco, che aveva allora aumentato le donazioni al coro di S. Maria del Fiore. Nel marzo 1584 prese parte alla messa cantata in occasione dell'arrivo in città di Alessandro di Ottaviano de' Medici, arcivescovo di Firenze, allora ambasciatore a Roma, che era stato innalzato alla porpora nell'inverno del 1583.
Il L. morì a Firenze il 18 sett. 1592.
Oltre che prete e corista, il L. fu autore di una cronaca di Firenze dall'anno 252 al 22 apr. 1592. I tentativi di proseguirla non ebbero successo: nel 1594 fu stilato un unico ricordo e poco di più fu annotato, nel Settecento, da Stefano Lapini. Come si deduce dal contenuto, il L. iniziò a scrivere quando Ferdinando I era già granduca, dunque dopo il 1587. Per i secoli antichi la sua fonte principale fu la Cronaca di G. Villani, mentre per i decenni immediatamente precedenti attinse ampiamente al diario di L. Landucci. Di quest'ultimo riflette l'attenzione agli interventi architettonici e alle periodiche traslazioni delle immagini della Vergine dell'Impruneta in occasione di calamità. Tuttavia, mentre la figura di Landucci è ben presente nel diario, attraverso il racconto di vicende personali e le considerazioni sui personaggi e i fatti più importanti del tempo, quella del L. è assai meno tangibile. Nel diario mancano infatti pressoché del tutto riferimenti in qualche modo riconducibili alla sua persona, al patrimonio e alla famiglia. L'unico ricordo che lo riguarda, oltre ai fugaci accenni alle cerimonie e messe cantate, è quello di una grandinata caduta sul podere di famiglia, nonostante la quale "avemo ragionevole ricolta e di grano e di vino" (maggio 1581).
La narrazione dei fatti coevi è decisamente anestetizzata, priva di valenze critiche o di valutazioni personali sul governo principesco. Gli episodi più oscuri che coinvolgono in quegli anni la vita privata della famiglia granducale sono o taciuti o riferiti senza commenti ulteriori, come nel caso dei due delitti, nel luglio 1576, di Eleonora da Toledo, nipote dell'omonima duchessa di Firenze, uccisa dal marito Pietro de' Medici, fratello del granduca Francesco I e del cardinale Ferdinando, e di Isabella, sorella di questi ultimi, soffocata dal marito Paolo Giordano Orsini. Di entrambe il L. si limita a registrare la voce comune: di Eleonora "dissesi universalmente che fu ammazzata", mentre di Isabella "dissesi che era stata advelenata". Assolutamente niente dice dell'omicidio del cameriere Sforza Almeni da parte di Francesco de' Medici. Così, poco spazio trovano il violento dissenso contro il governo principesco rappresentato dalla congiura di Pandolfo Pucci nel 1559.
Per quanto non sia un iperbolico adulatore dei sovrani, il L. dà spazio soprattutto ai momenti della magnificenza e dell'autocelebrazione principesca, dei quali come cantante è spesso parte. Il cerimoniale che investiva la vita della corte e quella del principe diventa anche un elemento forte della rappresentazione e identificazione della società fiorentina sotto il principato. Si ricordano pertanto i banchetti pubblici offerti da Paolo Giordano Orsini sulla piazza di S. Lorenzo, la visita del cardinale Giovanni Morone, le nozze di Francesco de' Medici e Giovanna d'Austria. In questa cornice le esequie di Cosimo I rappresentano l'esempio più chiaro e dettagliato del trionfo del momento cerimoniale sulle vestigia della vecchia società cittadina. Dopo Cosimo la descrizione delle esequie dei sovrani diventa un topos dei racconti del L.: estremamente dettagliate sono, per esempio, quelle celebrate per la morte del principino Filippo, figlio del granduca Francesco e di Giovanna d'Austria. L'attenzione del L. è poi catturata dalle consuete note su eccezionali variazioni climatiche e meteorologiche. Ricorda l'alluvione del Bisenzio a Mercatale di Prato nel settembre 1575, a causa della quale morirono sessanta persone; la straordinaria siccità dell'inverno 1577; o le nevicate dell'agosto 1579. Ricorda anche l'alluvione dell'Arno del novembre 1579 e l'immediata siccità che fece a essa seguito. Il L. dà conto anche dei fenomeni astronomici straordinari, quali le eclissi di luna del dicembre 1573 e del febbraio 1578, nonché dell'eccezionale evento del novembre 1577, quando "si cominciò a vedere una cometa con razzo e chioma grande".
Divenuti protagonisti del diario i granduchi, le loro iniziative e loro vicissitudini, lo scenario internazionale affiora raramente. Così avviene in occasione della morte del sultano, dei sovrani europei, della conquista del Portogallo da parte di Filippo II, o della strage degli ugonotti nel 1572. Informazioni decisamente più specifiche sono quelle che in vario modo attengono al tessuto sociale della città, in particolare alla comunità ebraica. Il L. annota atti e disposizioni che riguardano gli ebrei: nel maggio del 1567 sono obbligati a portare una O gialla sul berretto; "con gran esborso di denari" nel gennaio 1571 il principe Francesco allestisce un quartiere dove rinchiuderli, scegliendo la zona della città prima occupata dalle prostitute; un ulteriore elemento di identificazione viene loro imposto nell'agosto 1571, quando devono mettere in testa "il tocco doré".
Utili ricordi il L. fornisce in merito alla costruzione dei palazzi del principe, palazzo Pitti, e di quelli dei suoi favoriti, come palazzo Montalvo (oggi Matteucci Ramirez di Montalvo, opera di Bartolomeo Ammannati, marzo 1568); mentre, significativamente, delle vecchie magistrature repubblicane si annotano non più le decisioni politiche ma il loro traslocare da palazzo all'altro.
Fonti e Bibl.: La cronaca del L. è stata pubblicata a cura di G.O. Corazzini a Firenze nel 1900 col titolo Diario fiorentino di Agostino Lapini dal 252 al 1596; Arch. di Stato di Firenze, Decima repubblicana, 22 (1498), c. 82; Decima granducale, 3617 (1534), cc. 301r-302r; Firenze, Arch. della Misericordia, Registro dei capi di guardia; Firenze, Biblioteca nazionale, Poligrafo Gargani, 1099-1100.