ADUA
(o Adwê; A. T., 116-117) - Capitale del Tigré (Etiopia), a 1965 m. s. m. È posta in parte sopra un piano lievemente inclinato, alle falde NO. del monte Addì Tsellimà, in parte su tre colli all'estremo O. del pendio, di elevazione degradante da S. a N. I tre colli portano le tre principali chiese, Endà Tsiòn, Endà Sellasé e Endà Medhanié Alèm, attorno ai quali si raggruppano i tre quartieri principali della città; un altro quartiere, con la chiesa di Endà Gabriél, è nell'estremo dello sperone N. del M. Addì Tsellimà; un quinto, quasi abbandonato, con la chiesa d'Endà Micael, è mezzo chilometro più a N., sotto il M. Scellodà. Un piccolo corso d'acqua corrente, il Mai Azèm, scorre a O. della città, a un chilometro dalla quale si fonde con un altro torrente, il Mai Guagnà. A 3 km. a O. dell'abitato è l'altura di Fremonà, su cui i gesuiti nel sec. XVII ebbero uno dei principali loro collegi; poco prima del 1880 divenne l'accampamento di re Giovanni, col nome di Endīét Nebberš. Sita in una conca fertile e salubre, Adua, sebbene compresa in una donazione apocrifa (stesa alla fine del sec. XV?) di re Gabra Mascal alla chiesa di Garià, non è mai menzionata dagli scrittori portoghesi dei sec: XVI-XVII, senza dubbio perché villaggio di poca importanza. Comincia ad acquistarne come sede del deggiàč Za-Mariàm durante le sue guerre contro Farès dell'Enderta (anno 1676 segg.); divenuta il centro politico del Tigré, e assurta ad alto grado con ras Micael (2ª metà del sec. XVIII), conservò di poi sempre la posizione raggiunta.
La sua popolazione oscillò fortemente, secondo le contingenze politiche: ora è valutata in circa 10.000 anime. Per la loro posizione geografica e strategica,) e immediate vicinanze di Adua, segnatamente quelle ad oriente della città, videro svolgersi parecchi dei più importanti e decisivi avvenimenti della storia abissina, segnatamente la sconfitta dei Turchi nel 1578 e quella degl'Italiani nel 1896, senza dire d'altri fatti locali che pur ebbero notevole portata, come la sconfitta di ras Micael Sehùl per opera del re Iyāsu I e quella del re Taela Ghiorgilsís per opera di deggiàč Tahsa, che vi conquista la sua elezione a re nel 1871.
Battaglia di Adua (1° marzo 1896). - Per i precedenti della battaglia v. Italo-abissina, guerra, 1895-96.
Alla fine del febbraio 1896 il corpo di operazioni italiano che, in seguito alla marcia di fianco delle forze abissine su Adua, si era raccolto nella posizione di Sauriá per coprire la Colonia Eritrea da una invasione, si trovava in condizioni critiche soprattutto per le deficienze logistiche, divenute tali da rendere necessaria una decisione: avanzare o ritirarsi; decisione grave in ambo i casi. In un consiglio di guerra, riunitosi la sera del 27, tutti i comandanti di brigata unanimemente espressero il parere di avanzare. E così fu deciso, nonostante il parere avverso del maggiore di stato maggiore Salsa. L'avanzata peraltro, nel piano concretato dal gen. Baratieri, non doveva condurre ad una battaglia offensiva, oltremodo rischiosa contro forze numeriche di gran lunga preponderanti, ma doveva limitarsi ad uno sbalzo avanti su una nuova posizione naturalmente forte, donde poter provocare il nemico ad attaccare od obbligarlo a ritirarsi. Nel primo caso si sarebbe avuta una battaglia difensiva in cui la forte posizione, la disciplina e la potenza delle armi, specie delle numerose artiglierie, avrebbero compensato l'inferiorità numerica degl'Italiani.
Forze e situazione dei belligeranti alla vigilia della battaglia. - Il 29 febbraio le forze e la dislocazione dei belligeranti erano le seguenti:
Forze italiane (parte bianche e parte indigene): nella posizione di Saurià: 20.170 uomini e 52 cannoni, ripartiti in 4 brigate (Arimondi, Dabormida, Ellena, Albertone); a guardia delle retrovie: 4286 uomini, dei quali 1250 (reggimento di Boccard) a Mai Marèt; nei varî presidî: 9215 uomini.
Oltre queste forze, verso la metà di febbraio erano state affrettatamente approntate in Italia 2 divisioni (circa 16.000 uomini) che alla fine del mese erano, parte in via di imbarcarsi a Napoli, parte in viaggio e parte già sbarcate a Massaua. Con questi rinforzi stava per arrivare in Eritrea anche il gen. Baldissera, destinato dal governo - senza di ciò dare avviso al gen. Baratieri - ad assumere il comando in capo delle truppe della colonia.
Forze abissine: secondo le notizie più attendibili, le forze etiopiche, accampate da circa un mese fra Adua e Mariam Sciauitù, pare sommassero a oltre 100.000 combattenti, fra cui 10.000 cavalieri, senza contare i nuclei campeggianti sulle retrovie del corpo eritreo.
Partendo da Saurià, due posizioni forti precedono la conca di Adua: la prima a sud di M Esciasciò sulla linea del M. Semajatà; la seconda costituita dal Scellodà e dall'Abba Garima. Il gen. Baratieri contava di occupare mediante una marcia notturna la prima delle indicate posizioni nell'intendimento che la marcia avanti, come s'è accennato, non dovesse condurre al combattimento se non nel caso che il nemico prendesse l'offensiva contro le nuove posizioni. In base a questo concetto, la sera del 29 febbraio il corpo d'operazioni (14.519 uomini e 56 pezzi, detratti i servizî), ripartito in quattro colonne, mosse per tre direttrici dalla posizione di Saurià alla posizione: colle Rebbi Ariennì-colle Chidanè Merèt, obbiettivo dell'avanzata.
a) colonna di destra (gen. Dabormida): 2a brigata fanteria; battagl. indigeni M. M.; 3 batterie - in totale 3800 uomini e 18 pezzi - pel Colle Zalà e Colle Guldam, al colle Rebbi Ariennì;
b) colonna del centro (gen. Arimondi): 1a brigata di fanteria (5 battaglioni); una compagnia indigena; 2 batterie - in totale 2493 uomini e 12 pezzi - per Adì Dichì e Gundaptà, al centro della posizione;
c) colonna di sinistra (gen. Albertone): 4 battaglioni indigeni; bande dell'Acchelè Guzai; 4 batterie - in totale 4076 uomini e 14 pezzi - pel colle Saurià e Adì Cheiras, al colle Chidanè Merèt;
d) riserva (gen. Ellena): 3ª brigata fanteria, 1° battaglione indigeni: 2 batterie a tiro rapido; mezza compagnia genio - totale 4150 uomini e 12 pezzi - dietro la colonna centrale a un'ora di distanza.
Nel concetto del comando in capo, la posizione Colle Rebbi Ariennì-Colle Chidanè Merèt avrebbe dovuto essere occupata dalle tre colonne contemporaneamente poco dopo le 5 del 1° marzo; ma la marcia della colonna centrale fu ritardata di oltre un'ora causa un disguido della colonna Albertone, la quale ne invase per un tratto la direttrice di marcia. Rimessasi sulla via giusta, la brigata Albertone, invece di moderare l'andatura e mantenere il contatto con la colonna centrale, accelerò la marcia e giunse alle 3 al colle Chidanè Merèt ove, secondo le intenzioni del comandante in capo, avrebbe dovuto arrestarsi. Se non che, o per errata interpretazione degli ordini, o per inesatta compilazione dello schizzo distribuito dal comando, o per inopportuna iniziativa, dopo un'ora di sosta, senza assicurarsi il collegamento verso destra, attenendosi alle informazioni di guide che affermavano essere il colle Chidanè Merèt più avanti, ripigliava la marcia e verso le 5,30 giungeva al colle Enda Chidanè Merèt con l'avanguardia (battaglione Turitto), la quale a sua volta, anziché sostare, si lanciava contro gli avamposti abissini dando così l'allarme al campo nemico. Nel frattempo le altre colonne giungevano alle posizioni loro indicate (Rebbi Ariennì-Monte Rajò); ma poiché il rumore del combattimento si faceva sempre più insistente nella direzione presa dalla colonna Albertone, il gen. Baratieri ordinò alla brigata Dabormida di spostarsi verso quella parte per appoggiare la brigata indigena. Ma la brigata Dabormida, trascinata dal terreno, invece di obliquare a sinistra si incanalò nel vallone di Mariàm Sciauitù e andò a urtare contro l'ala sinistra abissina, restando completamente separata dal resto delle forze. In conseguenza la battaglia venne a scindersi fin dall'inizio in tre parziali combattimenti, indipendenti l'uno dall'altro: al colle Enda Chidanè Merèt (colonna Albertone); al colle Rebbi Ariennì e al M. Rajò (colonne Arimondi ed Ellena); nel vallone di Mariàm Sciauitù (colonna Dabormida).
Combattimento di Enda Chidanè Merèt. - All'avanzarsi della colonna Albertone, tutto l'esercito abissino si era posto in armi; date le limitate forze di cui disponeva e la mancanza di collegamento colle altre colonne, l'Albertone decise di mantenere il grosso delle forze sul declivio occidentale del M. Semajatà e fronteggiare l'insellatura di Enda Chidanè Merèt, cercando di disimpegnare l'avanguardia. Le truppe del grosso erano appena schierate (ore 8,30) quando si vide volgere in ritirata il battaglione d'avanguardia, e nel medesimo tempo coronare da numerosi stormi nemici l'Abba Garimà e lo Scellodà. Da queste posizioni gli assalitori tentarono scendere per l'insellatura, ma bersagliati specialmente dall'artiglieria, per ben quattro volte furono respinti. Più tardi però, mentre una parte della massa scioana insisteva nell'attacco frontale, una grossa colonna, scesa per le falde meridionali dell'Abba Garimà si diresse verso il Semajatà avviluppandone i difensori, che continuarono tuttavia ad opporsi validamente agli attacchi; ma quando l'avvolgimento divenne completo, caduta la maggior parte degli ufficiali, il gen. Albertone rimasto prigioniero, allora (ore 11) i pochi ascari rimasti, per sentieri diversi e alla spicciolata, si ritirarono in massima parte verso Saurià e di là verso N. L'artiglieria, rimasta in posizione, dopo consumate tutte le munizioni, cadde in mano del nemico.
Combattimento di Monte Rajò-Rebbi Ariennì. - Verso le otto la colonna Arimondi era avanzata fino al colle Rebbi Ariennì e vi si era ammassata. Il gen. Baratieri, dopo aver ordinato che la brigata Dabormida si dirigesse in soccorso del gen. Albertone, dispose che la brigata Arimondi si schierasse a cavallo del colle Belah, e sul monte omonimo, e che la brigata Ellena si ammassasse presso il Colle Rebbi Ariennì.
L'artiglieria della colonna Arimondi cominciò il fuoco contro le frotte nemiche che, aggirando l'ala sinistra della brigata Albertone, scendevano dalle falde del Semajatà incalzando gli ascari in ritirata. Ma verso le 11, quando fu disfatta la brigata indigena, le due masse scioane vincitrici di questa si diressero: quella di sinistra contro il M. Belah e l'altra, dal Semajatà, parte contro la fronte Chidanè Merèt-M. Rajò e parte verso la conca di Gundaptà, cioè sul tergo della posizione attaccata.
Mentre la brigata Arimondi si reggeva a stento contro il nemico attaccante sulla fronte e sul fianco sinistro, una terza massa abissina per M. Gusosò e M. Derar penetrava tra la brigata Arimondi e la lontana brigata Dabormida e giungeva di sorpresa sull'inoccupato sprone NO. di M. Belah, così repentinamente che neppure la riserva, la quale in gran parte si era già impegnata al Rebbi Ariennì senza darne avviso, poté con le poche forze disponibili opporsi in tempo agli assalitori. Questi continuarono ad avanzare, parte verso il colle Rebbi Ariennì e parte verso il Belah e il M. Rajò, separando le brigate Ellena e Arimondi le quali, completamente travolte (ore 12,30), si ritirarono in piena dissoluzione. Nuclei di sbandati si rifugiarono verso Adigràt ed altri verso Adi Ugri; ma la maggior parte si diresse verso Adì Caièh. Il gen. Arimondi era morto sul campo; le artiglierie erano tutte cadute in mano al nemico.
Combattimento di Mariàm Sciauitù. - La brigata Dabormida, ricevuto l'ordine di soccorrere la brigata Albertone, invece di seguire il battaglione di avanguardia, che si era diretto su M. Derar, trascurato il collegamento, si lasciò trascinare dal terreno verso il vallone Mariàm Sciauitù e andò così ad urtare contro una massa nemica ivi accampata, mentre l'avanguardia, rimasta isolata, veniva assalita dalla colonna abissina che, come si è detto, per monte Gusosò e M. Derar si dirigeva verso il Belah. La brigata Dabormida, nonostante l'inferiorità numerica, era riuscita a respingere i ripetuti attacchi frontali del nemico, ma dopo le 13, assalita anche a tergo dalle forze abissine che avevano sopraffatto le brigate Arimondi ed Ellena, venne a trovarsi attaccata su tre fronti.
Dopo una resistenza disperata, che si protrasse fin dopo le 14, anche la brigata Dabormida, minacciata di accerchiamento e ignara di quanto era avvenuto sul resto del campo di battaglia, fu costretta ad intraprendere la ritirata che, sotto la pressione del nemico, divenne come negli altri settori disastrosa.
Il gen. Dabormida venne ucciso e tutte le artiglierie furono perdute.
Bibl.: G. Bourelly, La battaglia di Abba Garima, Milano 1901; G. Menarini, la brigata Dabormida alla battaglia di Adua, Napoli 1898; V. Chiala, Il generale Dabormida nella giornata del 1° marzo 1896, Roma 1897; F. Arimondi, Sul seppellimento dei caduti nella battaglia di Adua (Relazione), Roma 1897; Documenti sulla battaglia di Adua e sulla operazione per la liberazione di Cassala, Roma 1896; E. B., La battaglia di Adua dal campo abissino e da fonti russe, Roma 1897; L. Guarnieri, La battaglia di Adua e il popolo italiano, Torino 1896; G. De Mayo, La battaglia fantasma, Roma 1906; A. Pollera, La battaglia di Adua dal 1° Marzo 1896, Firenze 1928.