FRANCI, Adriano
Nacque da Alessandro, appartenente a una nobile famiglia senese del Monte del popolo, tra la fine del XV e i primissimi anni del XVI secolo.
Nel 1529 sposò Margherita di Mariano Griffoli (Arch. di Stato di Siena, Gabella, 355, c. 5v) e dalle nozze nacquero quattro figli: Antonio, Curzio (nel 1538), Camilla (nel 1541) e Alessandro (nel 1542).
Il F. ricoprì numerose cariche pubbliche in Siena e svolse per conto della Repubblica vari incarichi fuori dalla città. Nel 1534, primo della sua famiglia, risiedette nella suprema magistratura cittadina, il Concistoro. Nel secondo semestre del 1539 fu dei Regolatori; l'anno seguente si recò a Roma come ambasciatore. Del breve periodo (marzo-giugno) che trascorse in questa città restano molte lettere da lui inviate alla Balia senese (Ibid., Balia, 661).
Si tratta di missive di grande interesse: egli, infatti, fu attento cronista della guerra che veniva combattuta in quei mesi tra il pontefice Paolo III e il feudatario ribelle Ascanio Colonna.
Tornato a Siena il F. fu inviato nuovamente, tra il 1545 e l'inizio dell'anno seguente, in varie comunità dello Stato, con molteplici incarichi, tra cui quello di catturare il pericoloso bandito Fabrizio da Buriano, che con i suoi compagni spargeva il terrore in Maremma (Ibid., 128, cc. 40r, 43v).
Nel febbraio del 1546 fu mandato di nuovo a Roma presso l'oratore cesareo don Giovanni de Vega. Il suo compito non era dei più facili: doveva, infatti, convincere l'ambasciatore e, attraverso di lui, Carlo V, della fedeltà di Siena alla causa imperiale. Fedeltà di cui era almeno lecito dubitare, visto che dopo un ennesimo tumulto scoppiato tra i "popolari" e i "noveschi" (filospagnoli) la guarnigione spagnola e lo stesso rappresentante imperiale, don Giovanni de Luna, erano stati allontanati dalla città. La missione del F. durò solo pochi giorni, dall'11 al 18 febbraio, e non ci è pervenuta nessuna delle lettere che egli, senza dubbio, inviò ai suoi governanti; l'esito dell'ambasceria fu comunque positivo. Don Giovanni de Vega credette, o finse di credere, alle parole del F. e in ogni caso decise di non provocare ulteriormente gli inquieti Senesi, per cui licenziò l'ambasciatore con lettere favorevoli, in cui si esortava la Repubblica a mantenersi fedele all'imperatore (Pecci, Memorie, III, pp. 153, 160). La Balia apprezzò l'operato del F. e decise, sempre nel febbraio, di inviarlo nuovamente a Roma; un attacco di gotta fermò però l'ambasciatore lungo la strada, a Torrenieri.
La carriera diplomatico-politica del F. continuò con incarichi sia in città sia nello Stato. Per il secondo semestre del 1546 ricoprì la carica di giudice del tribunale di mercanzia e nell'agosto dello stesso anno a Lucignano Val di Chiana partecipò alla stipulazione di un accordo tra questa Comunità e quella di Foiano. Nel gennaio del 1547 ebbe l'incarico di giudice del tribunale dei pupilli, nell'aprile fu inviato a Grosseto e per il bimestre luglio-agosto fu nominato capitano del Popolo.
È questa l'ultima carica da lui ricoperta e la sua vita non dovette durare molto a lungo. Non ci sono infatti più tracce di lui nella documentazione e nel libro della Lira (ruoli delle imposte) del 1549 compare "l'herede di Adriano Franci" (Arch. di Stato di Siena, Lira, 130, c. 52r). Il F. era evidentemente morto.
L'unica opera letteraria a lui attribuibile con certezza è un componimento poetico in cinque ottave: Stanze d'Adriano Franci a Verginia Salvi (Firenze, Bibl. nazionale, ms. Palatino 256, cc. 31r-32r). Egli partecipò alla vita culturale senese: fu infatti socio dell'Accademia degli Intronati con il soprannome de "il Cupo".
Non risiedono però in questi pochi versi, o nella sua partecipazione all'Accademia, le ragioni che hanno tramandato la memoria del Franci. Il suo nome è legato, piuttosto, alla complessa vicenda del Polito. Questo volume, edito a Roma da Ludovico Vicentino (L. Arrighi) e Lautizio Perugino (Lautizio di Bartolomeo dei Rotelli) con ogni probabilità nel 1525 (Rajna, p. 350), è intitolato De le lettere nuovamente aggiunte libro di Adriano Franci da Siena. Intitolato, il Polito. Benché il nome del F. appaia sul frontespizio - sia in questa prima edizione sia in quella successiva, e ampliata, uscita a Venezia, per i tipi di N. Zoppino, nel 1531: Il Polito di Adriano Franci da Siena delle lettere nuovamente aggiunte nella volgar lingua, con somma diligenza corretto e ristampato -, in realtà la grandissima maggioranza della critica è concorde nel sostenere che l'opera debba attribuirsi al senese Claudio Tolomei. Monsignor Tolomei, personaggio di ben altra statura culturale, unanimemente riconosciuto come uno dei precursori della grammatica storica italiana, sarebbe stato il vero autore del dialogo, mentre il F., che del Tolomei doveva essere certamente amico, sarebbe stato solo un prestanome. Già nel 1570, infatti, Benedetto Varchi nel suo Hercolano (Venetia 1570, p. 254) attribuì il Polito a "Messer Claudio", e qualche decennio dopo il senese Scipione Bargagli, pur non escludendo del tutto un contributo del F., identificò nel Tolomei l'autore del volume. Ancora più netta fu nel primo Settecento l'attribuzione dell'erudito Uberto Benvoglienti, studioso e grande estimatore del Tolomei, che parlò del "Polito di Claudio Tolomei che va sotto il nome di Adriano Franci" (Lettere, c. 25v). Dopo di loro la critica moderna ha continuato a sostenere l'attribuzione dell'opera al Tolomei, anche se alcuni studiosi (F. Sensi, F. Flamini, C. Trabalza), pur concordando sul ruolo del tutto eminente svolto da quest'ultimo, non hanno escluso una qualche collaborazione del F. al lavoro.
Le motivazioni che suffragano l'attribuzione sono numerose: tra esse la straordinaria somiglianza tra le tesi sostenute in quest'operetta e quelle avanzate in altri lavori del Tolomei, la raffinatezza e la profondità dell'opera che presuppone come autore uno studioso di tutto rispetto, e di riscontro, la scarsa rilevanza, da un punto di vista letterario, del F., che prima e dopo il Polito non avrebbe scritto praticamente più nulla. Di più difficile identificazione sono, invece, le ragioni che avrebbero spinto il Tolomei a nascondersi dietro il nome del Franci. Esse sarebbero nate dalla sua scarsa propensione a dare alle stampe le sue opere e soprattutto dalla sua volontà di non esporsi troppo, entrando direttamente in una questione che in quel momento stava infiammando gli animi degli studiosi. Il Polito nasce, infatti, come risposta all'Epistola delle lettere nuovamente aggiunte nella lingua italiana (1524) di Gian Giorgio Trissino, in cui si propugnava, tra l'altro, una riforma dell'alfabeto italiano basata sull'introduzione di nuove lettere. L'autore del Polito si schierava decisamente tra coloro che rifiutavano la riforma, ma la sua posizione non era esente da ambiguità. Egli, infatti, concordava con il Trissino sulle manchevolezze dell'alfabeto e sulla necessità quindi di introdurre altri caratteri, ma poi avocava la primogenitura dell'idea all'Accademia senese e finiva per concludere che solo un principe e non un singolo studioso avrebbe potuto imporre una simile riforma. Se si aggiunge a ciò che Tolomei pochi anni dopo avrebbe fatto stampare il primo volume delle sue lettere con un nuovo alfabeto, si può capire perché preferisse, nel Polito, celare la sua vera identità (Rajna, p. 356).
Alla tesi del Tolomei come autore del Polito si è opposto in passato solo un piccolo nucleo di studiosi che, con la sola esclusione di O. Lombardelli (L'arte del puntar gli scritti, p. 27) - che scriveva nel sec. XVI -, fanno tutti capo a I. Ugurgieri. Quest'ultimo, infatti, attribuiva al F. senza alcun dubbio la redazione del Polito (p. 568). La tesi fu poi ripresa da una parte della tradizione erudita senese: nei manoscritti genealogici settecenteschi conservati presso l'Archivio di Stato di Siena il F. è, infatti, ricordato come autore del Polito, alcune volte con esplicita citazione dell'Ugurgieri. L'ultimo sostenitore di tale attribuzione è l'abate De Angelis, che continuò, ancora nel sec. XVIII, a vedere nel F. l'autore dell'operetta, pur non escludendo un incitamento da parte del Tolomei.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Siena, Biccherna, 1135, c. 403v; 1136, c. 27v, 47v (per le date di nascita dei figli); Ibid., Gabella, 355, c. 5v; Ibid., Consiglio generale, 244, c. 110v; 245, cc. 109v, 129r, 153r; Ibid., Concistoro, 2093, n. 10; 2098, nn. 9, 14; 2338, cc. 36v, 76r; Ibid., Balia, 128, cc. 40r, 43v; 307, cc. 33r, 36v, 50v, 56v, 60v, 64v, 75v; 661, nn. 2-9, 11-13, 19, 23-25, 27-35, 37-44, 46, 48-51, 54-55, 57-63, 66 s., 69 s., 72; 685, n. 86; 686, nn. 12, 19, 73, 89; 687, nn. 1, 12, 18; 689, nn. 1, 57; 694, n. 40 (lettere scritte durante la sua attività politico-diplomatica); Ibid., Lira, 130, c. 52r; Ibid., Mss. A 11, c. 254; A 13, c. 406r; A 15, c. 153r; A 26, c. 160v; A 27, c. 70; A 30 II, c. 278r (manoscritti genealogici sulle famiglie nobili senesi); A 38, c. 31r; A 46, cc. 145r-146r; A 97, c. 64v; A 99, c. 151v; A 100, c. 141v (manoscritti con elenchi di appartenenti alle magistrature senesi); D 94, ad litteram; Siena, Bibl. com. degli Intronati, Mss. E IX 19: U. Benvoglienti, Lettere, XIX, cc. 23v-25r; Z 16: Id., Scrittori senesi, I, p. 55; A VII 35: G.A. Pecci, Indice degli scrittori senesi, II, c. 22r-v; P IV, 10: S. Bichi Borghesi, Biografia degli scrittori senesi, I, c. 417v; Z I 11: G.N. Bandiera, Bibliotheca Senensis sive Memoriae scriptorum Senensium, c. 340rv; ms. Y I 7: Zucchino primo continente il catalogo degl'Accademici Intronati, pp. 12, 153, 419, 599.
O. Lombardelli, L'arte del puntar gli scritti, Siena 1585, pp. 24, 27; Id., La difesa della zeta, Firenze 1586, c. 7v; O. Malavolti, Dell'historia di Siena, Venezia 1599, III, p. 145; S. Bargagli, Il Turamino. Ovvero del parlare, e dello scrivere sanese, Siena 1602, p. 50; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi…, I, Pistoia 1649, p. 568; G. Gigli, Diario sanese, I, Siena 1723, p. 239; G. Poleni, Exercitationes vitruvianae primae, Patavii 1739, p. 52; G.A. Pecci, Memorie storico-critiche della città di Siena, III, Siena 1758, pp. 153, 160; G. Poggiali, Serie de' testi di lingua stampati che si citano nel Vocabolario degli accademici della Crusca…, II, Livorno 1813, p. 229; L. De Angelis, Biografia degli scrittori sanesi, I, Siena 1824, pp. 305 s.; C. Mazzi, La Congrega dei Rozzi di Siena nel sec. XVI, II, Firenze 1882, pp. 398 s.; F. Sensi, M. C. Tolomei e le controversie sull'ortografia italiana nel sec. XVI, in Rend. della R. Acc. dei Lincei, cl. di scienze morali, stor. e filologiche, s. 4, VI (1890), pp. 317, 323; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano 1902, p. 135; C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Milano 1908, pp. 94, 98, 116, 143, 196, 278, 285, 333; P. Rajna, Questioni cronologiche concernenti la storia della lingua italiana, III, Datazione ed autore del "Polito", in La Rassegna bibl. della letteratura ital., XXIV (1916), pp. 350, 354-356; L. von Pastor, Storia dei papi…, V, Roma 1924, pp. 224-226; L. Petracchi Costantini, L'Accademia degli Intronati di Siena e una sua commedia, Siena 1929, p. 66; L. Sbaragli, Claudio Tolomei, umanista senese del Cinquecento, la vita e le opere, Siena 1939, pp. 18 s.; Id., "I tabelloni" degli Intronati, in Bull. senese di storia patria, XLIX (1942), pp. 186, 192; M. Messina, Rime del XVI secolo in un manoscritto autografo di G.B. Giraldi Cinzio e di B. Tasso, in La Bibliofilia, LVII (1955), pp. 125, 145; A. Cappagli - A.M. Pieraccini, Sugli inediti grammaticali di C. Tolomei, I, Formazione e storia del manoscritto senese, in Riv. di letteratura ital., III (1985), pp. 387 s.