CRISTOFALI (Cristofoli, Cristofori), Adriano
Figlio di Marcantonio e di Margherita Bellanti, nacque a Verona il 25 Marzo 1718.
Il padre era giardiniere presso il marchese G. B. Spolverini, erudito che introdusse subito il giovane C. nell'ambiente colto della Verona del primo Settecento, già fortemente pervaso di cultura illuministica: è l'ambiente del Maffei e dell'architetto Alessandro Pompei al quale il C. venne raccomandato dallo Spolverini. L'attività del giovane, che aveva studiato a Roma, si esplicò tuttavia dapprincipio come ingegnere idraulico al servizio della Repubblica di Venezia. Accanto a questa attività, forse proprio in seguito ad un viaggio a Roma insieme col Pompei, una serie di disegni, del Teatro e dell'Anfiteatro romani di Verona, pubblicati nel 1744 (cfr. Franzoni, 1961), testimonia di un particolare interesse per la cultura classica, che del resto caratterizzava la cultura veronese dei primi decenni del secolo. Nel 1743 fece il disegno per l'altare della chiesa della Beata Vergine di Povegliano (Da Persico, 1820-21, II, p. 244) in provincia di Verona; a questo seguiranno nel tempo altri altari - tra cui l'altar maggiore della chiesa di S. Fermo e quello tardo (1773) delle Grazie di S. Maria della Scala sempre a Verona -, tutti caratterizzati, come del resto i suoi monumenti funebri (ricordiamo quello per Vincenzo Pisani in S. Anastasia del 1757), da un forte accento classicista.
Tuttavia, come si è detto, la sua principale attività, specialmente negli anni giovanili, fu di ingegnere idraulico: nel 1748 ebbe l'ufficio di secondo ingegnere dell'Adige e dal 1754 al 1765 di primo ingegnere, carica che lo assorbì moltissimo: nel 1759, in seguito ad una piena del fiume, dovette ricostruire il ponte delle Navi e restaurare ponte Pietra a Verona (Da Persico, 1820-21, I, p. 189; II, p. 17; P. Gazzola, Ponte Pietra..., Firenze 1963, pp. 82 ss.). Di questa sua attività, oltre alle relazioni al Senato della, Repubblica di Venezia, restano alcune mappe del territorio veronese, assai interessanti anche dal punto di vista cartografico (Archivio di Stato di Verona). Nel 1765 il C. assunse la carica di ingegnere dei Tartaro, che tenne fino alla morte e che era particolarmente importante, ma anche gravosa, dato che il fiume scorreva anche nel territorio mantovano, ed era quindi causa di numerose liti tra le due città. Gli incarichi ufficiali e l'attività del C. come ingegnere ci spiegano perché la sua opera di architetto sia piuttosto scarsa: per lo più si tratta di rifacimenti di palazzi e di ville, spesso di edifici da lui progettati, ma portati a termine dai suoi collaboratori.
Nelle opere di architettura il C., specialmente nella prima sua attività, non si rivela molto originale: caratteristica della sua produzione, specie nei palazzi costruiti o progettati per Verona, è il ritorno e il recupero del linguaggio sammicheliano, che dà ai suoi edifici un particolare sapore. classicheggiante. là questo un dato di cultura che caratterizza fortemente l'architettura veronese almeno fino alla metà del '700. e, se in altre personalità più problematiche, quali il Maffei e il Pompei, si arricchisce di elementi più originali, nelle opere del C. costituisce invece un ritorno alla tradizione che del resto mai si era spenta, nemmeno durante tutto il Seicento. Il palazzo Salvi-Erbisti è, ad esempio, caratterizzato da una facciata assai lunga, semplicissima, mossa solo dal portale sporgente a lesene e semicolonne; nella facciata sul cortile modiglioni che animano i timpani delle finestre, in cui chiarissima è la derivazione dal Sammicheli, movimentano la parete con un gioco di masse abbastanza articolato; in maniera analoga, ma con una accentuazione ancora maggiore, la facciata del palazzo Tedeschi (ora hotel Accademia) è animata al pian terreno da un bugnato pesante e al piano nobile da una serie di lesene che separano le finestre a timpano fortemente aggettante.
Segue una serie di edifici caratterizzati dall'andamento longitudinale della pianta, che conferisce maestosità nuova e aspetto scenografico all'ambiente: così il palazzo Fracastoro, in cui la facciata si anima di bugnato agli angoli e attorno alle finestre, con un movimento chiaroscurale che alleggerisce l'altrimenti troppo rigido classicismo.
La componente scenografica, tuttavia, è più chiaramente visibile, anche per la posizione in uno spazio aperto, in alcune ville in cui il C. riprende un motivo già tipico dell'architettura veronese di villa sin dalla fine del '600, e. cioè lo sviluppo della facciata in senso longitudinale accompagnata dal rilievo dato al corpo centrale dell'edificio, sormontato da un attico ornato di statue.
Cosi avviene, ad esempio, nella villa Mosconi a Novare (Verona), ove la presenza di elementi classici, quali nel corpo centrale le doppie colonne che sostengono il timpano e racchiudono la finestra centrale molto sporgente, viene mitigata appunto dall'attico con statue, così da apparire come "classicismo razionalistico", piuttosto che come linguaggio "neoclassico". Uno sviluppo di questa concezione si ha, nella grandiosa villa Bettoni a Bogliaco sul lago di Garda.
Eseguita con la collaborazione di altri architetti, di impianto classicistico, ma non neoclassico, si estende lunghissima sulla strada, ove pure il corpo centrale della facciata anteriore aggetta leggermente ed è animato da una serie di lesene che scandiscono il ritmo altrimenti monotono delle finestre; e anche in questo edificio ritorna il motivo dell'attico, vivace di statue e vasi rococò, che alleggerisce la struttura dell'edificio, ripetendosi anche nella facciata posteriore; al piano terreno, sul davanti, un portale a tre archi immette in un ampio atrio ove l'effetto delle strutture classiche è mitigato dal gioco scenografico degli elementi architettonici e delle aperture laterali, come nella veduta sul lago e nello scalone.
Del tutto opposta è la concezione che sta alla base del palazzo Canossa a Grezzano, edificio anch'esso a pianta allungata, ma con un altissimo basamento a bugnato liscio, ove il corpo centrale della fabbrica sporge leggermente in avanti e al primo piano ricorre il consueto motivo delle lesene che si alternano alle finestre.
Qui, tuttavia, la minore sporgenza delle strutture, il timpano liscio che copre questa parte dell'edificio, in sostituzione dell'attico, il piano terreno a bugnato, decisamente separato dal resto della struttura da una cornice marcapiano, conferiscono all'edificio un severo aspetto che già prelude, nonostante il periodo ancora precoce, a soluzioni neoclassiche, ad esempio quelle del Quarenghi.
Probabilmente l'ultima opera del C. come architetto civile è il porticato del teatro Filarmonico di Verona (1772), in cui adotta una soluzione assai interessante di colonne binate: il porticato, di severa misura classica, si doveva adattare all'edificio eseguito da D. Curtoni ai primi del Seicento sull'altro lato della strada e di cui il teatro costituiva urbanisticamente una continuità ideale.
Il C. progettò anche alcune chiese a Verona e nel territorio: abbiamo notizia di una commissione (Zannandreis, 1831-34, p. 399) per un tempio rotondo per la parrocchiale di Pescantina, di cui restavano fino all'800 i disegni. Nelle architetture di chiesa, tuttavia, il C. è molto tradizionalista, adottando una semplice pianta a una sola navata coperta di volta; e animando piuttosto le facciate con una serie di lesene sporgenti e di nicchie con statue (S. Michele extra). La più interessante resta ancora la chiesa parrocchiale di Cavalcaselle, eseguita dal 1755 in poi, a pianta ovale, con pronao classico con le consuete lesene che serrano il portale e la finestra termale. Tuttavia nemmeno questa soluzione può dirsi originale, ma piuttosto derivata dalla cultura veneziana, dove, già nel '600, abbiamo esempi di edifici religiosi a pianta rotonda od ovale.
Il C. morì a Verona il 28 genn. 1788; fu sepolto nella chiesa dei Riformati (ibid., p. 396). Anche un suo figlio, Gaetano, fu architetto.
Bibl.: Verona, Bibl. civica: S. Dalla Rosa, Catastico delle pitture e sculture esistenti a Verona nelle chiese e nei luoghi pubblici [ms., 1803-04]; G. Da Persico, Descriz. di Verona e della sua provincia, I-II, Verona 1820-21, ad Indicem; D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scult. e arch. veronesi [1831-34], a cura di G. Biadego, Verona 1891, pp. 394-99; Saggio di cartografia veneta, Venezia 1881, pp. 200, 241, 246, 288; L. Simeoni, Verona, Verona 1909, pp. 129, 167, 189, 220 s., 238, 250, 257, 264, 270, 371, 409, 511 s.; G. Silvestri, in Le ville venete (catal.), a cura di G. Mazzotti, Venezia 1954, ad Ind.; T. Lenotti, Palazzi di Verona, Verona 1955, p. 38; Id., Chiese e conventi scomparsi, Verona 1955, pp. 79 s.; L. Franzoni, A. C. nell'archeologia veronese, in Architetti Verona, III(1961), 10, pp. 26-30; C. Semenzato, Un archit. illuminista: A. Pompei, in Arte venera, XV (1961), pp. 193 s., 200; A. Cavallari Murat, Interpretazioni dell'architettura barocca nel Venero, in Boll. del Centro... A. Palladio, IV (1962), p. 90; P. Gazzola, Il neoclassicismo a Verona, ibid., V (1963), pp. 162 ss.; M. G. Rigo, L'architetto A. C., tesi di laurea, università di Padova, anno accad. 1965-66 (dà un elenco dei disegni conservati nell'Arch. di Stato di Verona; gli altri sono per la maggior parte perduti, alcuni conservati in qualche parrocchia); L. Grassi, Province dei barocco e dei rococò..., Milano 1966, p. 161; M. Brusatin, Illuminismo e archit. del '700 veneto, Castelfranco Veneto 1969, pp. 171- 173, 255, figg. 168 s.; F. Dal Forno, Case e palazzi di Verona, Verona 1973, ad Ind.; G. F. Viviani La villa nel Veronese, Verona 1975, pp. 128, 140, 346-400, 456, 489, 645, 651, 691, 694, 749; G. Borelli, Una città sul fiume..., Verona 1977, ad Ind.; Ritratto di Verona..., Verona 1978, pp. 222 fig. 93, 224 fig. 95, 483 fig. 312, 555; L. Rognini, Il paesaggio agrario nella pittura e nelle mappe, in Uomini e civiltà agrarie in territorio veronese, Verona 1982, p. 621; R. Brenzoni, Dizionario di artisti veneti..., Firenze 1972, pp. 98 s. (S. V. Cristofori Adriano); U. Thieme-F. Becker. Künstlerlexikon, VIII, pp. 114 s.